Ezechia Paolo Reale è stato un importante giurista, molto impegnato nell’istituire la Corte penale internazionale, nelle iniziative sul carcere, per l’iniziativa sul diritto alla conoscenza, per la lotta alla disinformazione. L’intervento di Matteo Angioli, segretario del Global Committee for the Rule of Law, alla commemorazione al Siracusa International Institute
Un eminente giurista, un esperto di diritto internazionale, un politico, e un amico. Paolo ha agito con la stessa dedizione e serietà sia nella sua comunità più prossima che nella comunità internazionale.
Era divenuto Segretario Generale del Siracusa International Institute nel 2010, raccogliendo pienamente l’eredità del professor Cherif Bassiouni. Poco più di un anno dopo avrei finalmente conosciuto personalmente – da militante del Partito Radicale e collaboratore di Marco Pannella – coloro che erano considerati tra i principali artefici della realizzazione della Corte Penale Internazionale, Cherif Bassiouni e Paolo Reale appunto. Li conobbi insieme proprio qui all’Istituto.
È noto il suo contributo all’elaborazione dello Statuto di Roma del 1998 e la sua partecipazione alla Conferenza di Revisione a Kampala nel 2010 dove si era occupato dell’avanzamento della definizione del crimine di aggressione.
Non è un caso che sia stato proprio Paolo Reale, in una riunione con l’allora ministro della Giustizia Marta Cartabia – riunione alla quale aveva partecipato anche Giulio Terzi – ad aver contribuito alla creazione di una commissione, di cui era membro, incaricata di recepire nell’ordinamento interno le norme sanzionatorie contro i crimini internazionali e di aggressione.
Il suo impegno per la giustizia e la legalità internazionale sta lentamente dando frutti, in particolare a livello europeo in merito alla guerra in Ucraina. Nell’ultimo Consiglio europeo del 20 marzo infatti, l’UE ha ribadito l’impegno a “garantire la piena responsabilità per i crimini di guerra e gli altri crimini più gravi commessi in relazione alla guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina. In questo contesto, i progressi compiuti nell’istituzione di un Tribunale speciale per il crimine di aggressione contro l’Ucraina, nel quadro del Consiglio d’Europa, rappresentano un passo importante”. Su questo ci tornerò tra poco.
Naturalmente Paolo non ha mancato di interessarsi ed occuparsi anche di carcere, con il Partito Radicale e Nessuno Tocchi Caino, contribuendo a portare a conoscenza dei governi e dell’opinione pubblica la grave situazione che detenuti e agenti penitenziari subiscono, e contribuendo ad elaborare proposte legislative per superare, almeno parzialmente, l’annosa questione carceraria e della lentezza della giustizia italiana.
Ma vorrei tornare all’incontro di oltre dieci anni fa per ripercorrere alcune delle considerazioni e delle parole di Paolo che trovo importanti. Quel giorno convenimmo che la minaccia per la democrazia era vera e che la proposta nata con Marco Pannella di lavorare ad un “diritto alla conoscenza” andasse nella direzione giusta. Avviamo un percorso con una conferenza in cui Cherif Bassiouni disse: “Siamo su una strada radicalmente diversa da quella sulla quale eravamo nel 1948, la strada dei diritti umani e della responsabilità individuale degli attori che violano questi diritti”. Gli fece eco Paolo parlando dell’indivisibilità ed interdipendenza dei diritti umani fondamentali e del tentativo di farli divenire “patrimonio culturale di tutti” poiché il rischio è che, caduto uno, anche gli altri perdano mano a mano senso. Così, Paolo è divenuto da subito una colonna portante nell’iniziativa per l’affermazione del diritto alla conoscenza che infatti è stato riconosciuto dal Consiglio d’Europa nel 2021 e dalla Commissione per la Tutela dei Diritti Umani del Senato nel 2022.
I pericoli tradizionali per la libertà e la democrazia li conosciamo, diceva. Arbitrio assoluto nel non consentire il dissenso, nell’imprigionare, nel discriminare, nel torturare, nell’uccidere. Quello era il modo di esercitare il potere ed è stato fermato attraverso il diritto. È stato tolto dalle mani di chi lo deteneva e lo esercitava arbitrariamente ed è stato assegnato al popolo con la democrazia rappresentativa. Oggi il pericolo, per le democrazie, non è fisico, è immateriale. “Dobbiamo chiederci cosa minaccia la libertà nel nuovo mondo globale”, sosteneva.
Ad essere in pericolo è sempre lo stesso bene, cioè la partecipazione democratica e i processi decisionali pubblici. Non più attraverso l’attacco e il controllo fisico e violento, ma sottraendo ai cittadini la disponibilità delle informazioni rilevanti in modo che essi non possano controllare la correttezza e la legittimità delle decisioni. Decisioni spesso eterodirette e funzionali agli interessi di grandi gruppi o entità o governi ostili. La nostra libertà oggi è sotto attacco attraverso l’accaparramento e l’utilizzo, spesso manipolatorio, dell’enorme massa di informazioni e dati disponibili in un circuito assolutamente privo di regole e quindi privo di tutela.
Con questo spirito, nel 2020, Paolo Reale aveva intrapreso tra l’altro un’azione giudiziaria, coordinata con la FLE, di richiesta di accesso agli atti al Dipartimento di protezione civile presso la PdC. L’obiettivo era ottenere copia dei verbali e degli atti allegati del Comitato Tecnico Scientifico a supporto dei decreti della PdC emanati durante l’emergenza Covid-19.
Ricordo il motto di Paolo: “Trasformare l’informazione in conoscenza”. Credo lo avesse ispirato lo scrittore americano John Nesbitt che aveva scritto: “Siamo saturi di informazione ma disperatamente affamati di conoscenza”
La massa di informazioni e di fonti infatti è talmente enorme che spesso non si è certi di quale sia giusta e quale sia sbagliata. In tal senso faceva l’esempio di Wikileaks. La divulgazione disordinata di una tale mole di documenti ha prodotto una qualche differenza nella conduzione degli affari dei governi o nella consapevolezza dei cittadini? No.
Il 6 giugno 2022 in occasione dell’assemblea del Comitato Globale per lo Stato di Diritto “Marco Pannella”, convocato e organizzato a Roma anche grazie alla straordinaria generosità di Paolo e del Siracusa International Institute, Paolo pronunciò un discorso molto significativo che, assieme ad un articolo pubblicato il 3 maggio 2022 in occasione della giornata mondiale della stampa – intitolato “La sottile linea rossa tra propaganda e crimine internazionale” – credo racchiuda il pensiero e l’azione di Paolo.
Partendo dalla sua vasta opera in ambito di diritto internazionale e specificamente sul crimine di aggressione, Paolo ribadì il concetto per cui “la propaganda in favore di un crimine internazionale non è libertà di manifestazione di un pensiero, è un crimine.”
Il crimine di aggressione, che è stato protagonista al processo di Norimberga, è un crimine internazionale che va punito. Paolo sottolineava che all’interno di questo crimine – aggredire cioè il territorio di uno Stato libero e democratico – alcuni dei capi di accusa contro gli imputati tedeschi erano quelli di aver portato la dittatura in Germania e dunque di aver consentito il consolidarsi del Partito nazional-socialista con la finalità di porre in essere azioni politiche che comprendevano la persecuzione delle minoranze e l’avvio di guerre di aggressione.
Quindi anche il solo costituire, rafforzare ed implementare l’azione di un partito politico con quelle finalità a livello nazionale è stato considerato un crimine. Un crimine internazionale.
Questa è la grande lezione di Paolo, a mio avviso. Allertava del pericolo che la putrefazione di uno Stato, la perdita di diritti e libertà, col tempo rappresenta un problema anche per gli altri Stati, a cominciare da quelli vicini. Mi sembra che la Russia ne sia esempio.
“Oggi – diceva Paolo – bisognerebbe probabilmente ricominciare a parlare di queste cose perché sono convinto che le nostre democrazie stiano subendo un attacco da parte delle dittature, dei regimi illiberali. Stanno subendo un attacco dove siamo più permeabili, dove ci sono le nostre libertà alle quali non sappiamo rinunziare e delle quali qualcuno può approfittare.”
“La libertà di manifestazione del pensiero è il tipico esempio. Abbiamo questa libertà e abbiamo il dovere di tutelarla perché senza di essa non esiste democrazia. Allo stesso tempo dobbiamo esser consapevoli che attraverso di essa può penetrare qualsiasi cosa: un attacco al cuore della democrazia con l’alterazione dei risultati elettorali e anche dei convincimenti e dei valori che custodiamo”.
Paolo spiegava come la nostra libertà dipenda dal funzionamento democratico fondato su tre elementi chiave: il primo è un approfondito e congruo dibattito parlamentare, il secondo è la stampa libera e indipendente che deve contribuire a connettere opinione pubblica e istituzioni; il terzo è la sfera accademica e il mondo dei think-tank che dovrebbe analizzare scientificamente le informazioni.
La cinghia di trasmissione della stampa è fondamentale e Paolo notava che la giurisprudenza internazionale conosce rilevanti esempi di giornalisti e editori riconosciuti colpevoli di crimini internazionali per le parole di odio, le manipolazioni e la disinformazione veicolata al pubblico attraverso i mezzi di comunicazione.
Alcuni esempi: il giornalista Julius Strejcher, fondatore della rivista tedesca “Der Stürmer”, fu condannato dal Tribunale di Norimberga per crimini contro l’umanità perché le falsità con le quali aveva descritto gli ebrei si erano rivelate un formidabile incentivo per attivare la persecuzione contro di loro.
Hans Fritzsche conduttore di un programma radiofonico e poi sottosegretario del ministero della Propaganda del regime nazista, fu assolto a Norimberga perché giudicato troppo poco significativo rispetto al disegno complessivo nazista, ma fu condannato da un tribunale ordinario tedesco a sette anni di reclusione.
La stessa sorte subì Otto Dietrich, capo ufficio stampa del Reich e sottosegretario allo stesso ministero della Propaganda.
Il caso più recente e significativo è quello esaminato dal Tribunale Internazionale per il Ruanda che è risultato già nel 2003 nella condanna all’ergastolo e a 35 anni di reclusione per i due fondatori di “Radio Mille Colline”, conosciuta come “Radio Machete” e “Radio Odio”, e all’ergastolo del fondatore ed editore del settimanale Kangura, per la campagna di odio e di disinformazione che contribuì al genocidio dei Tutsi.
Ci sono in Russia oggi voci come quelle dei condannati che ho evocato? Credo di sì. E non solo in Russia. Cosa succederà se non saranno spente attraverso i meccanismi della giustizia internazionale? Cosa succederà ai russi e non solo a loro se costoro continueranno a diffondere le loro parole d’odio, se continueranno ad avvelenare i pozzi? Penso che possiamo indovinare cosa avrebbe detto Paolo.
Paolo è stato un prezioso protagonista nel percorso di costruzione della giustizia internazionale e di promozione dello stato di diritto e dei diritti umani. Poter condividere con lui anni di attività nel Global Committee for the Rule of Law, presieduto da Giulio Terzi, è stato un onore ed un privilegio. Ed è anche a nome suo che continueremo le nostre attività.
Ai miei occhi, le iniziative, le ricerche, gli interventi, le attività sempre impegnative e non scontate che curava erano da lui condotte con sicurezza e serenità, e ciò faceva di Paolo una persona in totale armonia con la straordinarietà. Grazie Paolo.