Con il piano ReArm, Bruxelles propone incentivi sotto forma di prestiti, ma senza fondi diretti o sovvenzioni, suscitando interrogativi sull’efficacia dello schema. La sfida di von der Leyen è ottenere il consenso dei governi senza alimentare divisioni tra i Paesi membri, garantendo nel contempo una strategia di difesa realmente integrata
È un percorso accidentato quello con cui si cimenterà la Commissione europea con il lancio da parte di Ursula von der Leyen del Rearm Europe plan (Reap), soggetto all’adozione da parte dei Paesi membri. Trattandosi di un piano, sono elencate macro-tematiche mentre si rimane sul vago sulle condizioni attuative. Per prima cosa la Commissione si è premurata di specificare che il Reap rimane nell’alveo delle proprie pur limitate competenze, per evitare il diniego di alcuni Paesi membri che temono un’estensione delle sue prerogative. Esemplificativo il comunicato della Commissione al riguardo: “Questa serie di proposte si concentra su come utilizzare tutte le leve finanziarie a nostra disposizione”. Ovviamente il Reap si deve valutare come una delle nuove iniziative comunitarie per la difesa in fieri insieme con Edis, Edip, Libro Bianco, Mff. Il Piano indica una disponibilità – teorica -fino a ottocento miliardi, di cui 150 prestiti per acquisti in comune, e 650 nell’ipotesi di un aumento degli investimenti dell’1,5% dei Pil nazionali in quattro anni, nello spazio fiscale che verrà creato dall’esclusione del Patto di Stabilità.
Va da sé che le proposte del Piano non possono prescindere dai principi, logiche e vincoli legislativi europei, i quali non sempre sono compatibili, ad eccezione della rapida e strutturata risposta Ue al Covid, con l’accelerata tempistica delle esigenze di deterrenza.
Elemento chiave del Reap è la proposta di massima flessibilità possibile all’interno del Patto di stabilità per i singoli Paesi, con l’attivazione temporanea per 4 anni della clausola di esenzione dal Patto. Due Regolamenti disciplinano il Patto che contiene, per la sua sospensione, due “clausole di salvaguardia” attivabili dal Consiglio dietro raccomandazione della Commissione. Una “clausola di salvaguardia generale” per tutti i Paesi Ue che deve essere giustificata in caso di gravi crisi economiche. Una “clausola di salvaguardia nazionale” attivabile nel caso di circostanze eccezionali esterne, fuori dal controllo dei Paesi membri e con forti impatti sulle finanze pubbliche. Tra le circostanze dovrebbero rientrare l’aggressione russa e le misure annunciate dall’amministrazione Usa. Von der Leyen, nella lettera al Consiglio europeo, ha previsto a breve l’attivazione coordinata della “clausola di salvaguardia nazionale” per singoli Paesi “in modo controllato e condizionato”, lungo la sottile linea tra aumento degli investimenti, sostenibilità fiscale e sostenibilità finanziaria.
È essenziale porre grande attenzione alla fase di formulazione delle condizioni di utilizzo della clausola nazionale per i singoli Paesi, in quanto potrebbe favorire quelli “frugali” o con maggiore spazio fiscale, e in ogni risulterà fondamentale per adeguare gli investimenti nazionali ai target obiettivi Nato sulle percentuali rispetto al Pil.
Lo scorporo degli investimenti difesa dal Patto di stabilità è una disposizione di particolare rilievo avanzata dall’Italia e condivisa da von der Leyen, Francia e altri Paesi; e oggi il cancelliere Friedrich Merz va oltre la stessa logica per modificare le regole fiscali e consentire un mega finanziamento di cinquecento miliardi di euro per infrastrutture e difesa.
La vischiosità e sensibilità del tema difesa nella Ue mostra la cautela della Commissione. Passi “non in avanti” si ritrovano nelle assenze di riferimenti per una revisione dei Trattati (da unanimità a maggioranza); non si affronta il tema del budget comune per la difesa; né degli Eurobonds; non si prevede “denaro fresco” come le sovvenzioni, bensì l’utilizzo di “prestiti sostenuti dal bilancio dell’Ue” al posto delle sovvenzioni, che peraltro sono già utilizzati per i progetti di ricerca e sviluppo nell’European defence fund, strumento di successo apprezzato da operatori e Paesi, nonché dall’Edirpa per il procurement congiunto.
Dunque, nel suo ruolo di facilitatore e incitamento con investimenti addizionali, la Commissione prevede incentivi sotto forma di prestiti. Lo schema non è uno strumento di bilancio, ma un “prestiti a prestiti.” Il nuovo strumento verrà attivato sulla base dell’art.122 Trattato sul funzionamento dell’Ue (Tfue) che ha la particolarità di avere due basi legali relative a misure sia di politica economica che emergenziale. La prima deve essere giustificata in caso di gravi crisi economiche, art.122(1). Finora è stata impiegata per le misure sui prezzi dell’energia e le misure di coordinamento per la riduzione della domanda di gas. Non essendo questa precondizione valida nell’attuale contesto per la difesa, dovrebbe applicarsi la seconda base legale, art. 122(2). Questa prevede come condizioni le circostanze eccezionali esterne fuori dal controllo dei Paesi Ue e l’assistenza finanziaria. È stata utilizzata per l’European financial stabilisation mechanism e il Recovery instrument. Sarà anche necessario affrontare l’irrisolta questione politica sulle condizioni di eleggibilità di imprese non-Ue, come si riscontra nell’Edip che è bloccato. Occorrerà inoltre verificare l’efficacia dello schema dei prestiti in funzione del vantaggio o meno dei tassi di interesse rispetto a quelli attuali sul mercato, e considerare la risposta dei mercati sulla loro “appetibilità”. Questi investimenti faranno un reale differenza? È anche opportuno evitare il rischio di una ulteriore frammentazione dei progetti, e quindi dell’offerta, se non si prevede una governance efficace circa le priorità e la selezione dei progetti proposti dai Paesi. Si cercherà presumibilmente di non ripetere gli errori della Pesco, molti progetti di modesta scala con duplicazioni e non coordinati, o l’”assalto alla diligenza” Edirpa tra Paesi in concorrenza tra loro.
La Commissione ha dichiarato che “abbiamo scelto di utilizzare tutte le leve disponibili per mobilitare tutti i finanziamenti rapidamente”. Nelle prossime settimane si vedrà se von der Leyen riuscirà ad ottenere un consenso da parte dei Paesi membri per aprire la strada anche a un prestito comune e investimenti diretti europei.