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Il difficile cammino verso un’unione militare europea. L’opinione di Braghini

Di Fabrizio Braghini

Mentre il conflitto in Ucraina e l’incertezza sulla posizione degli Stati Uniti impongono una risposta rapida e coesa, il percorso verso una vera Unione della Difesa resta ostacolato da divergenze politiche e difficoltà finanziarie. Il Libro Bianco della Commissione Europea e il programma Edip mirano a rilanciare il settore, ma i nodi da sciogliere sono ancora molti, tra cui il ruolo della Francia e le resistenze sui criteri di acquisto per gli equipaggiamenti militari

Mentre l’attenzione dell’opinione pubblica e dei governi, soprattutto nell’ultima settimana, è rivolta al caotico e disordinato rincorrersi di eventi politici tra Usa, Ue e Ucraina che incidono sulla sicurezza del continente, continuano sottotraccia e silenziosamente gli incontri tecnici tra istituzioni e stakeholders, lentamente e con tempi allungati sull’Edip (European Defence Industrial Program), più velocemente sul Libro Bianco sul futuro della difesa europea che il Commissario Andrius Kubilius presenterà il 19 marzo. 

L’imprevista emergenza securitaria sul conflitto ucraino, con il capovolgimento della posizione americana, trova i Paesi europei e l’Ue a ricercare soluzioni condivise, e un approccio più credibile e rapido e di credibilità e collaborazione con gli Stati Uniti. Tuttavia, il quadro d’insieme non è rassicurante in mancanza di una volontà politica comune a mettere in opera le raccomandazioni dei rapporti Draghi e Niinistö per recuperare ritardi e carenze. Se il Libro Bianco proporrà soluzioni politiche che è auspicabile generino un cambio di passo, i risultati concreti finora conseguiti trovano un freno nella lunghezza dei processi legislativi e della “machinery” comunitaria nonché dai paletti francesi. 

Un ampio consenso esiste tra i Paesi circa la ricerca di flessibilità nel Patto di Stabilità, l’estensione del mandato Bei (che intende preservare il rating AAA) ai progetti militari e non solo duali, il superamento delle difficoltà delle banche commerciali nella difesa, deduzioni dall’Iva, il ricorso ai fondi di coesione Ue, i programmi di comune interesse europeo per la difesa, il miglioramento della coerenza e del coordinamento tra gli strumenti Ue.

L’emergenza e l’acquisita consapevolezza di disporre di una deterrenza europea mettono in risalto l’attivismo di Ursula von der Leyen con un ruolo propositivo e di incitamento dei Paesi membri. L’obiettivo è assicurare un’autonomia strategica con capacità militari. Di rilievo la possibilità di riorientare 93 miliardi di euro di fondi Recovery and Resilience Facility post-pandemia non spesi alla difesa (sui circa 300 non spesi del Bilancio Ue). Sono ribadite necessità aggiuntive per 500 miliardi di euro nella decade, tra le opzioni si propongono Eurobonds e a Berlino l’esenzione dalla “regola costituzionale del freno del debito”.

L’adozione di una clausola di emergenza con l’esenzione dalle regole sul debito potrebbe essere spinta in primis da un gruppo importante di Paesi con la Commissione europea a supporto. Un esempio (o un precedente?) è l’esenzione dalla procedura e relative sanzioni per deficit eccessivo, concessa nel 2024 dal Consiglio Ue a Varsavia per il suo investimento nella difesa pari al 5% del Pil. La difesa è stata pertanto finanziata con debito sovrano, garantito dal suo buon risultato corrispondente al 50% del Pil. 

In parallelo si assiste a nuove dinamiche a seguito dei recenti incontri tra Paesi europei (willing) in nuove diverse configurazioni extra-Ue, finanziabili con uno Special Purpose Vehicle intergovernativo.

In questo complicato mosaico, Parigi assume un ruolo che tipicamente si differenzia dagli altri, con iniziative politiche estemporanee e divisive per porsi al centro del dibattito dentro e fuori l’Ue. Finora con scarsi risultati, un attivismo negoziale ambivalente sulle norme in discussione ricercando consenso tra i Paesi, un atteggiamento critico sulle convergenze tra gli altri Paesi. La stampa francofona riporta posizioni di stakeholders differenziate e critiche. Da una parte si registra una comune preoccupazione: “Blocage de la défense européenne, perdu l’élan, enlisement, il n’y a pas d’argent, rien ne change vraiment.” La lettera di Renew alla von der Leyen ha un tenore netto: azioni concrete per determinare e assicurare la propria sicurezza, urgente necessità di realizzare una vera Unione per la Difesa con capacità autonome da parte della UE, applicare il principio “Buy European First” nella difesa, assicurare un vero mercato unico della difesa.”

Tra le proposte prioritarie dell’Exagone nei diversi consessi rientrano la formalizzazione di un Consiglio formale sulla difesa a maggioranza qualificata, un piano di investimenti per l’industria della difesa da 100 miliardi di euro, la realizzazione di una struttura di comando europea. 

Dall’altra, coeva a queste proposte c’è opposizione sul fatto che la von der Leyen, appoggiata dai Baltici, ha elaborato un programma (Edip) mirato a inquadrare e armonizzare i programmi di acquisto per la difesa nella Ue: un mercato unico della difesa. Si obietta che la sua realizzazione minerebbe l’autonomia strategica francese ereditata dal gaullismo e le prerogative nazionali negli arbitraggi sugli equipaggiamenti, con l’industria dissolta in un blocco europeo privo di autonomia strategica. 

Il ministro della difesa ha promesso di essere “particulièrement dur et trés aggressif” nei negoziati.” Si tratta di dettagli tecnici sui criteri di eleggibilità – soglia di preferenza europea con % del valore dei componenti non-Ue; produzioni su licenza nella Ue di equipaggiamenti non-Ue – che hanno rilievo politico benché siano disponibili solo 1,5 miliardi di euro. 

Fermi restando punti chiave “storici” francesi come l’autonomia strategica e il Buy European per restringere l’acquisto di equipaggiamenti non-Ue in mancanza di alternative europee, appare altresì un atteggiamento più cauto e diplomatico finalizzato alla ricerca del consenso nei negoziati. Ad esempio, per il Libro Bianco, che ha l’obiettivo di inquadrare un nuovo approccio e identificare gli investimenti necessari, si afferma che non risulta opportuno discutere del ruolo della Ce né di un’estensione delle competenze sue al monitoraggio delle scelte nazionali nella difesa, limitandolo a quello di facilitatore per acquisti in comune e incentivi per ricerca e sviluppo, senza sostituirsi ai Paesi. Mentre nei casi di acquisti extra-UE, in assenza di principi e clausole sulla preferenza europea, si ipotizzano consultazioni ex-ante e una sorta di “moral suasion” dei Paesi Ue con un ruolo tecnico di conciliazione, giustificazioni e razionalità, garanzie in materia di approvvigionamento e interoperabilità.

Il “momentum” favorevole dell’opinione pubblica per la difesa è una rara occasione per decidere passi avanti (se non una riforma del sistema di difesa europeo), con soluzioni condivise, urgenti e finanziate in comune a garanzia della deterrenza, in uno scenario di una partnership transatlantica diversa e in evoluzione.

Accanto al rincorrersi di dichiarazioni e iniziative europee in corso e in definizione, anche in allineamento e complementarità con la Nato (pilastro europeo), emerge con insistenza l’esigenza di un cambio di passo che vada oltre a iniziative come la Rapid Deployment Capacity. Le incertezze sugli squilibri nell’architettura di sicurezza europea, di fronte al rischio di un ridimensionamento americano nel continente, rendono comunque la prospettiva di una autonomia strategica europea utile ma non sufficiente a garantire una deterrenza credibile, mancando le precondizioni politiche e finanziarie per costituire una capacità integrata. Il progetto della Comunità Europea di Difesa è lontano.


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