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Vi spiego la rilevanza economica del Piano di riarmo europeo. L’analisi di Scandizzo

Sicurezza e stabilità, ma anche innovazione e dinamismo sono il vero output da perseguire nello sviluppo dell’industria della difesa europea, con il compito di produrre beni pubblici senza di cui mercati e sistemi economici non possono prosperare. L’analisi di Pasquale Lucio Scandizzo

L’annuncio di Ursula von der Leyen riguardo al Piano di riarmo europeo propone una scelta cruciale per l’Unione europea, in risposta a una sfida non più eludibile al suo disegno istituzionale. Il piano, che mira a mobilitare fino a 800 miliardi di euro, suscita molti interrogativi, sia dal punto di vista della determinazione necessaria da parte degli stati membri, sia da quello del suo impatto sulla economia europea di breve e lungo termine. Molti si domandano se e come esso possa essere sostenibile e quali sacrifici saremmo costretti a sopportare, se i governi europei decidessero di adottarlo e di procedere speditamente nella sua esecuzione.

I costi previsti sono elevati e sembrano richiedere sacrifici eccessivi a molti degli stati membri i cui bilanci pubblici sono già oberati da oneri sociali crescenti. Altri obiettano che il piano non creerebbe una vera difesa europea, perché sarebbe in massima parte finanziato e gestito dai singoli stati. I benefici del piano, tuttavia, non derivano solo dalla possibilità di fornire una risposta al sostegno dell’Ucraina alle esigenze della sicurezza europea. Essi consistono in opportunità di investire in una serie di beni pubblici e privati, trasformando l’industria della difesa in un settore trainante per la crescita economica dell’Ue. Ampliando il programma InvestEu, promettono inoltre di generare investimenti pubblici e privati facendo leva su finanziamenti europei a lungo termine.

L’industria della difesa è un insieme di settori eterogenei che includono imprese e tecnologie molto diverse tra loro per dimensioni, struttura e beni e servizi prodotti. Pur se in modo confuso e spesso implicito, l’idea che prevale nell’immaginario collettivo è quella di un settore improduttivo, un’area grigia dell’economia che trasforma risorse in strumenti di distruzione. Nel dibattito pubblico, essa è spesso considerata una parte di una macchina militare costosa, apparentemente sterile, il cui unico output tangibile sono armi e munizioni. Questa visione, tuttavia, ignora l’aspetto più importante della industria militare come settore di sviluppo endogeno dell’economia: la produzione di beni pubblici quali la sicurezza, la tecnologia e l’innovazione. In realtà, l’industria della difesa è un insieme di settori in larga parte distinti da quelli della produzione di armi, che sono la base di catene del valore internazionali che plasmano la geopolitica, lo sviluppo industriale e la competitività economica delle nazioni.

È importante inoltre distinguere la spesa militare dagli investimenti nella industria della difesa. La spesa militare rappresenta i costi monetari della manutenzione e del funzionamento delle forze armate, mentre gli investimenti nell’industria della difesa riguardano il finanziamento di ricerca, sviluppo e produzione dei beni capitali: immobili, armamenti, mezzi di trasporto, equipaggiamenti, capitale umano, know how e tecnologie militari.
La spesa militare europea, stimata in 326 miliardi di euro nel 2024 (più 70 miliardi circa se includiamo il Regno Unito), è costituita per il 45- 50% da costi del personale e stipendi, circa il 20% da costi di manutenzione, e da circa il 30 % da acquisti di armamenti (caccia, carri armati, droni, missili, sistemi di difesa antiaerea).

Questa spesa è quella effettuata da o per conto dell’apparato militare di ciascun paese, che produce servizi di difesa attraverso una vasta burocrazia che include gli eserciti e altre organizzazioni militari. Gli acquisti di armamenti sono tecnicamente investimenti, nel senso che essi sono costituiti da beni durevoli che integrano le capacità di fornire servizi di difesa agli apparati militari. Tuttavia, essi non si traducono necessariamente in incrementi di capacità produttiva dell’industria europea e in gran parte sono invece beni importati che alimentano la capacità produttiva in altre aree del mondo e, prevalentemente, negli Usa.

Gli investimenti nel settore industriale della difesa sono invece spese destinate ad accrescere la capacità produttiva dell’Europa nella ricerca, lo sviluppo, la produzione di tecnologie, la innovazione e il progresso scientifico degli apparati di difesa. Questi includono non solo gli armamenti, ma anche i sistemi di protezione cibernetica, i sistemi di comunicazione, di sorveglianza, le reti satellitari e programmi di ricerca ed applicazioni che possono andare molto al di là dei prodotti convenzionalmente ascritti al settore difesa. Le spese europee di investimento attuali in questo settore sono modeste e a seconda dei criteri di classificazione, sono stimate tra i 40 e i 100 miliardi di euro.

Naturalmente le spese militari e gli investimenti della difesa, pur essendo distinti, sono interrelati e molti benefici derivano proprio da questa interdipendenza, che può consentire lo sviluppo di programmi ambiziosi di grande scala, e di lungo termine, che altrimenti non sarebbero possibili o attraenti per singole imprese. Tra questi benefici, che nel passato sono stati soprattutto il frutto dell’impegno militare degli USA, possiamo citare la creazione di Internet, lo sviluppo dei sistemi Gps e i grandi programmi spaziali.

Pur nell’ombra della geopolitica e delle controversie sul dilemma tra burro e cannoni, la difesa produce importanti beni pubblici. In aggiunta alla generazione di sicurezza e fiducia nelle istituzioni, essa è la piattaforma su cui si sviluppano tecnologie di avanguardia, da cui nascono innovazioni che plasmano il mondo civile, e attraverso cui gli Stati costruiscono la loro autonomia strategica. Il potere di mercato in questo settore non definisce solo la capacità di un Paese o di una impresa di imporre i propri prezzi e di escludere i concorrenti, ma anche la sua vulnerabilità e dipendenza e il grado di resilienza che può aspettarsi a fronte di eventi avversi. Consentire posizioni dominanti altrui in questo settore minaccia non solo di compromettere la sicurezza nazionale, ma anche di assegnare ad altri il privilegio di stabilire le regole del gioco dell’economia globale.

Le strategie di investimento civile-militare sono in parte scelte deliberate dei governi e in parte il risultato della dinamica dei mercati e del commercio internazionale. Esse riflettono distinte priorità economiche, politiche e strategiche, che includono approcci diversi all’integrazione dell’innovazione tecnologica nelle applicazioni della difesa. Pur tra forti contributi dei governi, gli Stati Uniti hanno tradizionalmente fatto leva su un modello di innovazione guidato dal mercato e dal settore privato. Al contrario la Cina ha impiegato una strategia di fusione militare-civile diretta dallo Stato per accelerare l’integrazione tecnologica in tutti i settori.

A fronte di queste due strategie opposte, l’Unione europea ha condiviso con gli Usa l’apertura ai mercati internazionali, ma ha anche tentato un approccio più complesso basato sul coordinamento multilaterale con la supervisione normativa, nella prospettiva di un progressivo rafforzamento istituzionale che ha come obiettivo la creazione di una capacità di difesa europea unificata. Questo non significa solo una capacità di dispiegamento militare europeo, ma anche la creazione di un complesso industriale civile-militare autonomo, come fondamento di un esercito europeo. Investire nella difesa, quindi, non implica necessariamente l’espansione dei costi degli attuali apparati pubblici militari, che sono già rilevanti e potrebbero essere ridotti dal coordinamento e dalla integrazione in un apparato europeo più razionale ed efficiente. Al contrario, una politica di investimenti europei implica una ristrutturazione industriale per una integrazione più forte dell’Europa basata sulla sicurezza, la stabilità e lo sviluppo economico.

Come per tutti gli investimenti, la creazione di capacità produttiva richiederà tempo, e la fase di costruzione, che dovrebbe cominciare immediatamente, non coinciderà certo con la fase operativa. Questa differenza spiega perché è necessario procedere subito, senza lasciare che la prospettiva di unificazione della difesa comune e di creazione di un esercito europeo, solo perseguibile nel lungo termine, diventi un ostacolo alla sua stessa realizzazione. Nella fase di costruzione, la spesa per gli investimenti servirà a far crescere la domanda in una serie di settori collegati, ma largamente distinti da quelli dell’apparato militare. Questi settori includono infrastrutture essenziali, le costruzioni, la logistica, la manifattura specializzata, le macchine utensili, gli strumenti di precisione, i mezzi di trasporto, e altri ancora le cui forniture sono essenziali per costruire l’ossatura di una industria militare avanzata con capacità duali di produzione, ricerca e sviluppo.

Nella fase operativa, soprattutto se favoriti da politiche di mercato comuni, questi settori possono agire da catalizzatori del settore privato, determinando investimenti aggiuntivi, secondo lo schema di successo già sperimentato con il Piano Juncker. Il successo di questa politica, che accomuna una azione immediata a una graduale integrazione delle iniziative di difesa europea, dipende realisticamente non solo dalla spinta della spesa pubblica, ma dalla sua capacità di suscitare un momentum sufficiente e di lungo termine nella crescita della industria privata e delle tecnologie più avanzate. Tra queste, l’intelligenza artificiale e il quantum computing sono certamente le sfide più avanzate, difficili però da vincere, senza la massa critica degli investimenti pubblici e il concorso di quelli privati.

In conclusione, sicurezza e stabilità, ma anche innovazione e dinamismo sono il vero output da perseguire nello sviluppo dell’industria della difesa europea, con il compito di produrre beni pubblici senza di cui mercati e sistemi economici non possono prosperare. Si tratta di beni pubblici che possono essere prodotti solo in una condizione di reciproco sostegno con i beni privati per generare fiducia nel futuro e comportamenti sociali cooperativi. In questo senso l’industria della difesa è legata all’obiettivo più ambizioso di una Europa che genera crescita endogena, ossia crescita economica virtuosa, che si autoalimenta perché egualmente ricca di beni pubblici e privati.


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