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Nazionalizzare British Steel. L’idea di Londra che piace anche a Roma

Il governo britannico sta valutando la nazionalizzazione dello storico colosso oggi di proprietà del gruppo cinese Jingye

Tutte le opzioni restano sul tavolo per quanto riguarda il futuro di British Steel, compresa la nazionalizzazione dello storico colosso dell’acciaio britannico di proprietà del gruppo cinese Jingye. È quanto ha dichiarato ieri la cancelliera dello Scacchiere, Rachel Reeves, dopo che Jingye ha annunciato la chiusura, dovuta anche ai dazi americani, degli altiforni di Scunthorpe (Inghilterra orientale) e di altri impianti, che ha aperto la strada a licenziamenti destinati a colpire fra i 2.000 e i 2.700 dipendenti. “Stiamo facendo tutto il possibile per preservare quei posti di lavoro”, ha detto Reeves, aprendo all’ipotesi di una nazionalizzazione (che potrebbe avvenire tramite le leggi antiterrorismo). “Tutte le opzioni restano sul tavolo” ha ribadito la cancelliera, specificando che il governo è in già “in discussioni attive con proprietari e sindacati” per evitare la chiusura degli ultimi altiforni del Regno Unito.

A pesare è anche il fatto che finora non sono andati a buon fine i tentativi di raggiungere un accordo tra la società e l’esecutivo su un pacchetto finanziario per la transizione verso una produzione “più ecologica”. Il mese scorso l’azienda cinese ha rifiutato un pacchetto di sostegno da 500 milioni di sterline offerto dai ministri britannici per facilitare la transizione verso forme di produzione più ecologiche.

British Steel è l’ultimo produttore rimasto nel Regno Unito di acciaio primario, dopo la chiusura dei due altiforni di Tata Steel lo scorso anno. L’azienda è stata salvata dal collasso finanziario grazie all’intervento di Jingye nel 2020. Il gruppo cinese ha affermato di aver investito da allora “più di 1,2 miliardi di sterline per gestire le operazioni” ma da tempo ha sottolineato i forti problemi nel portare avanti le attività in un settore in crisi.

La sfida è industriale. Come evidenza il Financial Times, gran parte della produzione di British Steel viene venduta sul mercato interno. Le autorità britanniche stanno valutando se sia necessario mantenere una capacità interna di produzione di acciaio “primario”, alla luce del possibile impatto dei dazi americani sulle catene di approvvigionamento. Ciò richiederebbe il funzionamento continuativo degli altiforni almeno nel medio termine. L’alternativa, riporta lo stesso giornale, consiste nei forni elettrici ad arco, meno inquinanti, che fondono acciaio riciclato ma non possono produrre acciaio partendo da materie prime. Il governo dovrebbe rendere nota la propria posizione nella strategia per l’acciaio che ha promesso di pubblicare entro la fine della primavera.

Quanto sta accadendo nel Regno Unito viene osservato nel mondo. Anche in Italia, pensando all’ex Ilya di Taranto, che per ragioni logistiche e produttive può diventare un importante polo cantieristico navale (il tutto mentre sono giorni decisivi per le trattative tra Renexia, socia della cinese MingYang, e la turca Yilport per l’acquisto di quote del porto di Taranto e lavorare sulle rinnovabili). “Perché non possiamo pensare a una soluzione simile anche per Ilva se l’alternativa è darla alla compagine azera rimettendoci per giunta circa 4 [miliardi] di denaro pubblico?”, ha scritto su X Gianclaudio Torlizzi, consigliere del ministro della Difesa Guido Crosetto.

Ipotesi abbracciata anche dal sindacato Usb dopo l’incontro con i commissari delle amministrazioni straordinarie di Ilva e di Acciaierie d’Italia. “Se Baku Steel non dovesse dare sufficienti garanzie in merito alla salvaguardia dell’occupazione e al rispetto del piano di rilancio e dell’occupazione previsto dall’accordo del 2018, non potrà esserci altra soluzione che la nazionalizzazione di tutti gli asset di Acciaierie d’Italia, come unica strada in grado di garantire la piena tutela occupazionale, il rilancio produttivo su basi industriali solide e durature, e il rispetto della questione ambientale”, ha dichiarato il sindacato. “Proprio in questo momento, il governo del Regno Unito sta valutando la possibilità di nazionalizzare British Steel per salvaguardare migliaia di posti di lavoro e garantire la continuità produttiva. Questo dimostra come la nazionalizzazione sia una strada percorribile e attuale per la tutela di settori strategici”, si legge nella nota.


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