Aperte le candidature al posto di direttore della politica di difesa della Commissione europea. L’auspicio di Alessandro Butticé, generale della Guardia di Finanza in congedo, primo militare italiano in servizio (nel 1990) presso le istituzioni Ue e dirigente emerito della Commissione europea
Attraverso la propria Direzione Generale per l’Industria della Difesa e lo Spazio (DG DEFIS), la Commissione europea ha aperto le candidature per un ruolo di dirigenza di primaria importanza. Quello di direttore della nuova Direzione della “Politica di Difesa”. L’annuncio, che riguarda una posizione di grado AD 14 (su un massimo di 15/16 livelli gerarchici), rappresenta molto più di una semplice offerta di impiego presso l’esecutivo Ue. È infatti un invito a plasmare il futuro della sicurezza europea in un momento di sfide globali senza precedenti.
La DG DEFIS, come motore propulsivo dell’innovazione e della competitività nell’industria della difesa e nel settore spaziale europeo, si trova al centro di una missione cruciale: rendere l’Europa un attore più forte e resiliente nel panorama internazionale. La nuova Direzione “Politica di Difesa” sarà il fulcro di questa ambizione, responsabile di guidare lo sviluppo e l’attuazione di politiche che spaziano dall’innovazione tecnologica al sostegno all’Ucraina, dalla mobilità militare alla lotta contro le minacce ibride.
Attualmente nessun dirigente italiano nella Direzione Difesa
Il ruolo del direttore è poliedrico e stimolante. Si tratta di fornire una visione strategica, coordinare iniziative complesse e costruire ponti tra le diverse realtà che compongono l’ecosistema della difesa europea, dagli Stati membri alle agenzie internazionali. Il candidato ideale dovrà possedere una profonda conoscenza delle dinamiche geopolitiche, una comprovata esperienza nella gestione di team di alto livello e una spiccata capacità di negoziazione e di leadership.
Ma c’è un aspetto di questo annuncio che merita una riflessione più approfondita, soprattutto per la comunità professionale italiana. I dati parlano chiaro: anche se su un totale di 238 posizioni all’interno della DG DEFIS, ben 33 sono occupate da italiani, pari al 13.9%, in posizioni dirigenziali (direttore generale, direttore generale aggiunto, direttore e capo unità) vi sono solo 2 capi unità italiani: Mauro Facchini e Giancarlo Granero. Il primo nella Direzione “Navigazione satellitare e osservazione terrestre” (Spaziale) e il secondo nella Direzione Risorse e Affari generali. Quindi, nessuno dei due nell’unica Direzione attualmente esistente che si occupa di Difesa. Quando, in un contesto in cui l’Italia è uno dei principali contributori al bilancio europeo e un attore chiave nella politica di difesa continentale, questa sottorappresentazione merita essere corretta.
Priorità a candidati di indiscusse qualità
La Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione europea, diretta dall’ottimo ambasciatore Vincenzo Celeste, segue con grande attenzione il personale italiano presso le istituzioni Ue. Attenzione sicuramente accentuata, rispetto al passato. Non solo perché l’ambasciatore Celeste, nel precedente incarico presso la Rappresentanza, all’inizio dello scorso decennio, si è occupato anche di seguire il personale italiano presso le istituzioni Ue. E chi scrive ha avuto esperienza diretta di come lo facesse in modo attento e professionale, che non sempre ha caratterizzato il monitoraggio del personale italiano nelle gestioni precedenti alla sua. Ma anche su discreto, ma fermo impulso, del vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani. Il quale, in forza della sua grande esperienza di ex presidente del Parlamento europeo, e vicepresidente della Commissione europea, ben conosce i complessi meccanismi delle amministrazioni Ue. Compresi quelli che riguardano le procedure di nomina dei suoi dirigenti.
Promuovere il merito e non ostacolare i migliori potenziali candidati
Anche se, tradizionalmente, l’Italia tende, come giusto e doveroso (e ogni sempre possibile eccezione ne conferma la regola) a promuovere il merito individuale, assieme all’indipendenza della funzione pubblica europea contro ogni tentativo di rinazionalizzarla. Come invece vorrebbero alcuni dei Paesi “sottorappresentati”, e in particolare quelli che propugnano concorsi per nazionalità. Ragione per la quale l’Italia ha recentemente portato il Parlamento europeo dinnanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, contestando concorsi riservati a olandesi, austriaci, lussemburghesi e ciprioti.
Mettere quindi tra gli obiettivi della Rappresentanza permanente d’Italia quello di collocare personale italiano in base a indici numerici, come alcuni hanno ipotizzato, sarebbe, oltre che irrispettoso dell’indipendenza istituzionale, poco saggio. Perché, se i candidati sostenuti poi non sono di livello adeguato, e non rendono come dovrebbero durante le severe procedure di selezione, la colpa non può essere attribuita alla nostra diplomazia.
Non si può tuttavia negare che questa disparità nelle posizioni manageriali alla DG DEFI non sia solo una questione di numeri, ma anche di qualità, che includono il genere, dei candidati che possono concorrere in determinate posizioni. Alla quale corrisponde la capacità di influenza nazionale e diplomatica di incidere sulle decisioni che plasmeranno il futuro della sicurezza europea.
E, come ho già sottolineato in altri miei articoli per Formiche, a proposito della selezione attualmente in corso del prossimo direttore generale dell’Ufficio europeo per la lotta alla Frode (OLAF), l’importanza di avere figure italiane di spicco nelle istituzioni europee è cruciale per garantire la salvaguardia degli interessi finanziari dell’Unione e per promuovere una cultura di integrità e trasparenza.
Nei due articoli (qui e qui) in cui ho auspicato la nomina di un Generale della Guardia di Finanza alla guida dell’OLAF, ho già evidenziato come la competenza specifica e la leadership esperta dei migliori ufficiali delle Fiamme Gialle siano preziose per contrastare le frodi economico-finanziarie a livello europeo. Allo stesso modo, la presenza di professionisti italiani qualificati, provenienti dalle Forze Armate o da Industrie della Difesa, come, per esempio, Leonardo e Fincantieri, all’interno della DG DEFIS sarebbe fondamentale per garantire che le politiche di difesa europee tengano conto delle specificità, ma anche delle esigenze, del nostro Paese.
Il ruolo di Forze Armate e industrie
Per questo motivo, come fatto a novembre per la Guardia di Finanza, rinnovo l’auspicio che entro il 13 maggio (termine ultimo per la presentazione delle candidature) vi siano diversi autentici cavalli di razza e talenti italiani a concorrere a tale posizione. Senza essere ostacolati dalle loro Forze Armate o Industrie di provenienza, come a volte accade, per semplici gelosie o desiderio di non privarsene. Incoraggiando candidature di minore valore, che si vorrebbero “premiare” o delle quali ci si vorrebbe liberare. Ma senza neppure fare il grande errore di dare l’impressione di volerle “imporle” come candidati ufficiali e nazionali, dimenticando e oltraggiando le regole di indipendenza della Commissione europea, e del relativo obbligo da parte di tutti i suoi funzionari, che perdono la loro veste nazionale, di esercitare le proprie mansioni e agire “nell’esclusivo interesse dell’Unione”. Senza “chiedere né accettare istruzioni da alcun governo, autorità, organizzazione o persona estranei all’istituzione di appartenenza”, e svolgendo le mansioni affidategli “in maniera obiettiva e imparziale e nel rispetto del proprio dovere di lealtà verso l’Unione”. Obblighi che – giova ricordarlo – soprattutto in ambito gerarchico militare devono essere scrupolosamente rispettati. Senza dimenticare sono regole prescritte da Regolamenti comunitari. Quindi da leggi direttamente applicabili in Italia e che, se violate, comporterebbero violazioni – sia da parte di chi le violasse, che da parte di chi potesse istigarne la violazione – passibili di costituire fattispecie penalmente rilevanti anche sul piano nazionale italiano, oltre che su quelli degli stati membri sedi delle Istituzioni. Oltre che violazioni del solenne giuramento che ogni militare italiano presta di “osservare la Costituzione e le leggi, e di adempiere, con disciplina e onore tutti i doveri del proprio stato”. Che, nel caso di un funzionario dell’Ue, anche se ancora militare italiano, sono quelli previsti dallo Statuto dei funzionari e altri agenti Ue.
Un’occasione da non perdere
Per i talenti italiani della difesa, è questa però un’occasione da non perdere per mettere a frutto le loro competenze e la propria passione al servizio di un progetto di portata storica. Non si tratta solo di ambire a una posizione di prestigio, ma di assumersi la responsabilità di rappresentare anche l’esperienza del nostro paese e di contribuire a costruire un’Europa più sicura, prospera e coesa.
I requisiti per la candidatura sono elevati, ma accessibili ai più brillanti Generali delle Forze Armate o Dirigenti delle industrie della Difesa in possesso, oltre che della preparazione, anche di una convincente motivazione: cittadinanza europea, laurea o diploma universitario, almeno 15 anni di esperienza professionale post-laurea (di cui almeno 5 in ruoli dirigenziali di alto livello) e una solida conoscenza di almeno due lingue europee (per esperienza di chi scrive, oltre all’italiano, di preferenza l’inglese o il francese).
Non resta quindi che da sperare in ottime candidature italiane. Dimostrando all’Europa e al mondo che l’Italia ha le competenze e la leadership necessarie per giocare un ruolo da protagonista nel futuro della difesa europea.
Continuando a invertire la tendenza, come già fatto a proposito della lotta alla frode e alla criminalità organizzata, e di garantire che la voce dell’Italia sia ascoltata con la forza e l’autorevolezza che merita, non solo nel campo della lotta alla frode e alla corruzione, ma anche in quello della Difesa.
Forza e autorevolezza che, sull’esempio di grandi italiani unanimemente rispettati in Europa e nel mondo, come Antonio Tajani e Mario Draghi, si acquisisce con la serietà, l’affidabilità e l’esempio nei fatti. Un grammo dei quali vale sempre più di quintali di parole, pugni sul tavolo o invettive davanti alle telecamere o sui social.