“Liberiamo Moro dal caso Moro” del giornalista Angelo Picariello, edizioni San Paolo, è un libro che trova uno spazio specialissimo nell’ormai sconfinata bibliografia sullo statista pugliese, perché sceglie di non far deragliare la narrazione della ricca personalità di Moro con i 55 giorni che hanno ipnotizzato gran parte della pubblicistica, per parlare soprattutto dell’uomo, delle diverse fasi della sua vita pubblica ma anche privata, della sua speciale attenzione rivolta alle giovani generazioni. La rubrica di Pino Pisicchio
Angelo Picariello è un giornalista con il gusto della ricerca storica e la passione per la politica, che scrive sul quotidiano cattolico l’Avvenire, come parlamentarista e quirinalista. La sua visione del mondo attinge dall’insegnamento del cattolicesimo sociale che, negli anni da studente di Giurisprudenza, si tradusse anche in militanza nel movimento di Comunione e Liberazione fondato da don Giussani. Messe così le carte in tavola possiamo meglio comprendere quanto studio, quanta passione, quanto coinvolgimento spirituale, quanta fatica, s’incontrino in un libro poderoso di 470 pagine dedicato ad Aldo Moro con l’esplicito intento di disincarnare dalla vicenda umana di una delle personalità più importanti della storia d’Italia, il suo epilogo raccontato dall’eterna narrazione sul maledetto raid delle brigate rosse – con tutta l’interminabile scia di parole intinte di orrore – lasciando, invece emergere, come dice il cardinale Matteo Zuppi nella prefazione, la grande “visione” dell’uomo e del politico che ancora oggi parla ai contemporanei.
“Liberiamo Moro dal caso Moro”(edizioni San Paolo 2025) è dunque un libro necessario che trova uno spazio specialissimo nell’ormai sconfinata bibliografia sullo statista pugliese, perché sceglie di non far deragliare la narrazione della ricca personalità di Moro con i 55 giorni che hanno ipnotizzato gran parte della pubblicistica, per parlare soprattutto dell’uomo che nella sua visione metteva al centro l’uomo, delle diverse fasi della sua vita pubblica ma anche privata, della sua speciale attenzione rivolta alle giovani generazioni.
È un Moro a tutto tondo, che parte dagli anni giovanili, nella Fuci che rappresentò davvero uno spazio di crescita per personalità straordinarie sia dal punto di vista politico che dal punto di vista teologico, con papa Montini che ne fu riferimento spirituale e che in quegli anni intrecciò con il leader degli universitari cattolici un’amicizia ed un rapporto di stima, consolidato da comuni letture e sensibilità, che non si sarebbe mai più sciolta. È molto ben costruita la scansione temporale e, insieme, evolutiva del pensiero di Moro nei dieci capitoli che compongono il volume e che raccontano del suo essere antifascista “naturaliter”, postura che venne esplicitata in Assemblea Costituente con nettezza, rigettando la propensione verso posizioni “a-fasciste” manifestate da qualcuno; che parlano del giovane professore di filosofia del diritto e di diritto penale a Bari, dove cominciò un dialogo con gli studenti che non finì mai; dell’immensa stagione all’Assemblea Costituente, dove fu protagonista non ancora trentenne con circa trecento interventi in sottocommissione e in assemblea plenaria, concorrendo fattivamente non solo a costruire il catalogo dei principi contenuti nella prima parte, con particolare incisività nei primi articoli – l’art. 2 e 3 – considerati la “grundnorm” dell’intero impianto costituzionale, ma lasciando il suo contributo nei dibattiti sulla scuola, sulla famiglia, sulla forma-partito, sull’organizzazione dello Stato, sui diritti dell’imputato, sul voto palese nelle aule parlamentari, sulla parità tra uomo e donna, sull’insegnamento della religione nelle scuole, tanto per citare solo alcuni degli interventi del giovane costituente che manifestò a chiare lettere non solo la sua autorevolezza politica ma anche il suo stile, aperto al dialogo con tutte le culture, da quella comunista a quella liberale a quelle socialista ed azionista.
Se volessimo cercare una sola chiave per comprendere la “visione” di Aldo Moro che emerge da questo libro importante di Picariello non tradendo affatto ma anzi secondando l’autenticità dell’interpretazione, questa è, dunque, quella della sacrale considerazione della persona umana, della sua “anteriorità” rispetto allo stesso Stato. Tutto si ricompone, infatti, partendo dalla traccia degli studi sul personalismo comunitario di Mounier e Maritain, dalla sua sensibilità di cristiano, dal grande contributo alle norme fondamentali della Costituzione dove il principio viene scolpito nell’art.3 che lo vide con Dossetti protagonista, dall’idea-forza che lo ispirò come filosofo del diritto e come giuspenalista dell’unità del reato – perché dietro ogni azione c’è sempre l’uomo – fino alle lettere dolorose dal carcere brigatista dove, in piena linea di coerenza col suo pensiero, rivendicava la preminenza di ogni vita umana rispetto alla ragione di Stato. E poi il suo rapporto con le giovani generazioni.
Ho un ricordo personale assai nitido: Bari, 1977, un anno in cui la violenza urbana attraversava la seconda contestazione studentesca. Eravamo con Moro, il maresciallo Leonardi, il Rettore dell’Università Ernesto Quagliariello, io che rappresentavo gli studenti nell’organo di governo dell’Ateneo barese, e un ristretto numero di autorità locali, nella Cattedrale di Bari. Verso la fine della messa il maresciallo Leonardi, che di lì ad un anno sarebbe stato ucciso in via Fani, si avvicinò a Moro e disse qualcosa che poi capimmo essere stato un invito ad uscire dalla sagrestia perché dalla porta centrale c’era il rischio di un impatto pericoloso: davanti al sagrato si era riempito di studenti bellicosi – indiani metropolitani – con un paio di cani lupo di sostegno. Moro non ne volle sapere di scappare davanti agli studenti e uscimmo così tutti dall’ingresso principale, Moro in testa. Allora io vidi la straordinaria forza del dialogo all’opera: durò una diecina di minuti, con i manifestanti che si ammansivano momento dopo momento e Moro che faceva loro domande con quella fermezza dolce che lo contraddistingueva. I manifestanti, cani-lupo in testa, fecero dietro-front. Le autorità locali, assiepate dietro Moro, levarono un sospiro di sollievo.