Gli Stati membri della Ue possono contare di più all’interno dell’Alleanza Atlantica solo se progettano e realizzano un piano pluriennale ben articolato sulla base di strutture, apparati, ruoli e gerarchie ben definite. Non sarà un processo facile perché si tratta di superare gradualmente l’attuale organizzazione in cui i 23 paesi Ue danno ciascuno il proprio contributo alla Nato su base individuale. Il commento di Marco Mayer e Valeria Fargion
Le forze di centro sinistra hanno condiviso sin dai tempi della famosa intervista di Berlinguer a Giampaolo Pansa la presenza italiana nella Nato, ma hanno sempre criticato (giustamente) l’eccessiva predominanza politica e militare degli Stati Uniti all’interno dell’Alleanza. Oggi la situazione è cambiata. È vero che nel comunicato congiunto del recente vertice tra il presidente Donald Trump e Giorgia Meloni a Washington si ribadisce solennemente l’impegno degli Stati Uniti e dell’Italia a favore della Nato. United States – Italy Joint Leaders’ Statement. Tuttavia i segnali di un minore impegno degli Stati Uniti sono più che evidenti. Ciò si inquadra nel contesto di un indebolimento complessivo degli Stati Uniti nell’ arena internazionale dovuto soprattutto alle ondivaghe politiche protezioniste di Trump nonché alle tensioni che nelle ultime settimane hanno segnato il Pentagono, il Dipartimento di Stato e lo stesso Consiglio di sicurezza nazionale. Quale occasione migliore per aumentare il peso politico, militare e finanziario dell’Europa nell’alleanza atlantica?
Ma non è così. Il Pd per il timore di essere scavalcato da Giuseppe Conte ha scelto una posizione ambigua. È indubbio che le modalità con cui Ursula Von Der Layen ha comunicato il potenziamento della difesa europea hanno avuto un effetto boomerang. Ma un errore di comunicazione non può giustificare l’assenza di una politica lungimirante. Di fronte alle inedite incognite americane e alle persistenti minacce di Russia, Iran, Corea del Nord e Cina (ribadite in questi giorni dal Copasir presieduto da Lorenzo Guerini) e tutta l’opposizione dovrebbero aprire una discussione seria allo scopo di definire una volta per tutte una strategia efficace in materia di sicurezza senza lasciare questo tema cruciale per la nostra libertà e la nostra democrazia al monopolio della destra.
In queste ultime ore le indiscrezioni sulla presunta decisione di Pechino di inviare d’urgenza al Pakistan i missili aria-aria a lungo raggio (i PL-15) sembrano indicare un pericoloso segnale di escalation rispetto alle tensioni esplose in Kashmir. E comunque al di là della contingenza il grafico pubblicato sul numero appena uscito di Foreign Affairs dimostra inequivocabilmente come negli ultimi 20 anni la Cina abbia perseguito con pervicacia una politica di riarmo. Il paradosso é che nessuno parla del riarmo cinese mentre in tanti criticano quello europeo che in realtà rappresenta il primo vero tentativo di riequilibrare gli impegni militari tra Europa e Stati Uniti all’interno della Nato.
La prima cosa da chiarire è che la spesa effettivamente proposta dalla Ue è di 150 miliardi (e non 800 – ipotesi puramente teorica ma continuamente sbandierata). La seconda osservazione è che i 150 miliardi sono vincolati al common procurement che rappresenta un primo tassello della difesa comune creando le condizioni per una interoperabilità dei sistemi di difesa degli Stati membri della Ue. Non solo, ma vengono anche specificati gli ambiti strategici a cui destinare le risorse a partire dalla difesa delle infrastrutture civili e dalla cybersecurity, ecc. Si tratta ovviamente di un primo passo, ma nella direzione giusta. Il “pilastro europeo” della Nato non deve restare una formula vuota, utile soltanto per le conferenza stampa.
Gli Stati membri della Ue possono contare di più all’interno dell’Alleanza Atlantica solo se progettano e realizzano un piano pluriennale ben articolato sulla base di strutture, apparati, ruoli e gerarchie ben definite. Non sarà un processo facile perché si tratta di superare gradualmente l’attuale organizzazione in cui i 23 paesi Ue danno ciascuno il proprio contributo alla Nato su base individuale. L’acquisto congiunto costringe ad un cambio di direzione, ma il cammino da fare è ancora molto perché occorre passare dall’idea di un pilastro europeo della Nato ad un progetto esecutivo. Su questa prospettiva il ministro Guido Crosetto potrebbe avviare in parlamento un confronto con le opposizioni. “Roma non è stata fatta in un giorno”… e neppure l’euro.