Pasquale Lucio Scanidizzo approfondisce la sfida competitiva che l’Europa si appresta a raccogliere a seguito della evoluzione economica e politica degli Stati Uniti. L’Europa e gli Usa sono due realtà economiche e sociali molto diverse e il successo dei loro modelli di crescita dipende in larga misura proprio dai legami commerciali e culturali creati da questa diversità, sviluppatasi all’interno di una cornice di valori comuni
Il dibattito sulla competitività si è recentemente (19 Marzo) arricchito di un nuovo documento della Commissione Europea dal titolo “Unione del risparmio e degli investimenti: una strategia per promuovere la ricchezza e la competitività economica dei cittadini nell’Ue”. Nel documento si ritorna sulla questione della competitività tra Europa e Usa già messa a fuoco dalle analisi di Mario Draghi e di Enrico Letta. Riprendendo quest’ultima analisi, meno citata nel discorso pubblico, il documento sottolinea l’urgenza di integrare i mercati finanziari europei, creando un mercato finanziario unico per mobilitare efficacemente i risparmi privati verso investimenti strategici. Questo perché “mantenere l’Europa come potenza economica è anche una questione di sicurezza collettiva, di rafforzamento della preparazione e della resilienza e di rafforzamento della sua autonomia strategica aperta”.
Per comprendere meglio l’importanza e i limiti di questo documento, e dei molti altri che l’accelerazione attuale del dibattito politico europeo sta generando, è utile riflettere sul significato della sfida competitiva che l’Europa si appresta a raccogliere a seguito della evoluzione economica e politica degli Stati Uniti. Per far ciò è essenziale riconoscere che l’Europa e gli Usa sono due realtà economiche e sociali molto diverse e il successo dei loro modelli di crescita dipende in larga misura proprio dai legami commerciali e culturali creati da questa diversità, sviluppatasi all’interno di una cornice di valori comuni.
Anzitutto le due economie sono molto diverse dal punto di vista degli insediamenti demografici, del ruolo degli spazi e del decoro urbano e della vita quotidiana della popolazione. Gli Usa si presentano come una economia che ha conquistato i vasti spazi del Paese attraverso una colonizzazione materiale leggera, basata su edifici relativamente di modeste dimensioni, a bassa densità, frutto di tecnologie poco invasive, basate su materiali quali il legno, i metalli, il vetro e la plastica, con limitato utilizzo di minerali o cemento. Le infrastrutture tendono ad essere anch’esse leggere e i trasporti prevalentemente su gomma, con scarso spazio dei trasporti pubblici e grande enfasi sulla mobilità individuale. L’Europa è invece basata su una colonizzazione del territorio frutto di secoli di insediamenti successivi, con una più alta densità demografica, e una proporzione molto maggiore di edifici e spazi costruiti attraverso l’uso di materiali di lunga durata. Le infrastrutture sono molto più pervasive e abbondanti e i trasporti danno molto più largo spazio alla componente pubblica e ai sistemi su rotaia e su vettori fluviali e marittimi.
Queste differenze riflettono la struttura industriale. L’economia Usa è basata prevalentemente sulla produzione di servizi, con una bassa quota della manifattura (meno dell’11% del Pil e in caduta), alti livelli di automazione, grandi imprese con elevato potere di mercato e un’alta quota di tecnologie avanzate e di R&D. L’Europa presenta invece una economia in cui la manifattura ha ancora un peso notevole (12-16 % del Pil), un numero minore di imprese di grandi dimensioni, e minore intensità delle tecnologie avanzate e dell’innovazione. Gli Usa mantengono il primato in innovazione grazie a un ecosistema integrato tra imprese, università e finanza, mentre l’Europa non solo sembra non tenere il passo, ma utilizza una parte notevole del proprio risparmio per finanziare imprese innovative negli Usa.
Nel 2023, gli scambi bilaterali tra gli Stati Uniti e l’Europa hanno raggiunto un valore di circa 1600 miliardi di dollari, pari al 6.4% e al 9.5% del Pil, rispettivamente degli Usa e della Ue. Questi scambi riflettono un surplus netto tutto sommato modesto tra merci e servizi di circa 48 miliardi di dollari, ma è la loro ampiezza e diversificazione che spiega come, al di là delle differenze di performance, le due economie siano infatti cresciute insieme, pur mantenendo rilevanti differenze di struttura e di stili di vita. Tenendo conto delle diverse dinamiche dei prezzi e utilizzando gli indici di parità di potere di acquisto, infatti, le statistiche mostrano che i Paesi dell’Europa occidentale, il cui reddito pro-capite era caduto dall’88% all’80% di quello degli Usa nel periodo 1980-2004, hanno realizzato una crescita economica che ha consentito di mantenere questa posizione, pur se tra varie fluttuazioni, negli anni successivi.
Allo stesso tempo gli indici di benessere diversi dal Pil dei Paesi europei sono in molti casi migliorati, rispetto a quelli degli Usa. Per esempio, la speranza di vita alla nascita ha raggiunto gli 84 anni per l’Europa occidentale (81.5 anni per la Ue nel suo insieme), mentre è risalita a circa 79 anni negli Usa dopo una significativa riduzione dovuta al Covid. Le statistiche sul reddito pro-capite e sulla vita attesa sono interconnesse, poiché il valore medio di una vita umana, che sarebbe più basso nel caso europeo a causa del minor reddito pro-capite, recupera una parte dello svantaggio per il fatto che la vita attesa è più lunga da questa parte dell’oceano. Più in generale, in termini di indicatori di benessere e tenendo conto della distribuzione del reddito, l’Europa occidentale presenta una performance socioeconomica superiore agli Usa, garantendo più anni di vita, meno disabilità, migliore qualità della vita e risultati economici e sanitari più equi, con una spesa sanitaria pro capite molto più bassa (meno della metà di quella degli Usa) e un Pil pro capite solo moderatamente più basso. Nel resto della Ue, d’altra parte, pur se con base di partenza meno elevata, la dinamica economica e sociale appare anch’essa favorevole, con i paesi dell’Ue orientale che sono passati dal 32% del Pil pro capite degli Stati Uniti nel 1995 al 55% nel 2022 e con le statistiche della speranza e della qualità della vita anch’esse in rapido miglioramento.
Se gli scambi riflettono una evidente complementarità delle due economie, che segue la logica dei vantaggi comparati e la divisione internazionale del lavoro del libero scambio, le differenze e le sinergie sono specialmente evidenti nella formazione del capitale. Secondo una analisi recente della Bei (la Banca Europea per gli Investimenti), le quote degli investimenti fissi lordi rispetto al Pil in Europa e negli Usa riflettono le differenze strutturali delle due economie, sia nella composizione del capitale fisso, sia negli orientamenti produttivi. In linea con la maggiore “materialità” degli insediamenti umani e industriali, le abitazioni, gli altri edifici e le costruzioni (incluse le infrastrutture di vario tipo) rappresentano quasi il 50% degli investimenti fissi lordi nell’Ue-27, contro circa il 40% degli Stati Uniti. Benché una parte di questi investimenti non riflettano capitale direttamente produttivo, i minori investimenti in infrastrutture negli Usa (accumulatisi negli ultimi decenni) sono un indice significativo di minor efficienza produttiva dal punto di vista del trasporto pubblico e indicano un gap con i paesi più sviluppati per l’intera rete logistica nazionale. Questo divario trova riscontro anche nel minore investimento nei mezzi di trasporto, la cui quota sul Pil è notevolmente maggiore nell’Ue (9,1%) che negli Stati Uniti (6,4%). A fronte di queste cifre che segnalano una maggiore fornitura di capitale fisso di lunga durata nella Ue, gli Usa investono comparativamente di più per le apparecchiature e i beni intangibili. In particolare, la quota degli investimenti sul Pil è maggiore negli Stati Uniti che nella Ue per i computer e per le apparecchiature di telecomunicazione, (rispettivamente 2.5% contro 1.8% e 2.7% contro 1.4 %,) e per gli investimenti in software e banche dati, (l’11.1%, contro l’8.2%). Differenze più elevate si registrano infine nei settori di prodotti di proprietà intellettuale (5% negli Usa contro meno dell’1% nella UE) e nella ricerca e sviluppo (15.3% contro il 13.7%).
Quanto alla dinamica degli investimenti, questa mostra un gap emergente a favore degli Usa dopo la crisi finanziaria del 2008-2010 e, in particolare, nel periodo 2010-2013, ma a partire del 2014, gli investimenti europei sono cresciuti a un ritmo superiore a quelli degli Stati Uniti, soprattutto nei settori più direttamente produttivi (ossia al netto degli investimenti nelle costruzioni). Lo studio della Bei mostra che i tassi di crescita dal 2013 per le due economie sono molto simili, anche se persiste il divario emerso negli anni immediatamente successivi alla crisi.
Nel complesso, questi dati confermano i profili di due economie, entrambe su un sentiero di crescita sostenuta, la cui complementarità è fondata su una progressiva divergenza strutturale. L’Ue appare come una economia dipendente da una base manufatturiera ancora estesa, in cui si combinano fragilità e resilienza, con una rilevante parte del suo capitale fisso ancorata a beni pubblici globali quali le infrastrutture di trasporto e della sanità e gli immobili strumentali e residenziali, molti dei quali legati alla funzione centrale delle sue aree urbane e dei siti storici. Gli Usa appaiono invece una economia più fluida, meno dipendente dall’hardware urbano e territoriale, e più dinamicamente collegata allo sviluppo e all’applicazione delle tecnologie e dell’innovazione.
La complementarità delle due economie, che ha radici storiche e si è consolidata nel tempo, si riflette negli scambi commerciali, che mostrano un surplus europeo nelle merci e un surplus Usa nei servizi, a loro volta lo specchio della maggiore “materialità” della produzione europea rispetto a quella Usa. In termini di risparmio, tuttavia, i livelli europei sono molto maggiori di quelli Usa, sia perché devono servire quote di capitale fisso più elevate, sia perché una parte di essi finanzia investimenti negli Usa. Questi investimenti, prevalentemente nei settori dei beni immateriali, accentuano le differenze tra le due economie e sottraggono risorse preziose a una crescita più equilibrata di entrambe.
Il problema dei risparmi della Ue che nasce da questo quadro, che sembra rassicurante e contraddittorio al tempo stesso, è complesso. Esso è determinato dalla combinazione per certi aspetti paradossale di una larga disponibilità di risorse a fronte e di una loro scarsa capacità di generare rendimenti soddisfacenti. Ciò perché la grande quantità di fondi liquidi risultante dai risparmi accumulati, pari circa 10.000 miliardi di euro, è detenuta principalmente nella forma di depositi bancari. Secondo il citato documento strategico della Commissione, se le famiglie dell’Ue dovessero allineare il loro rapporto depositi/attività finanziarie a quello delle famiglie statunitensi, fino a 8.000 miliardi di euro potrebbero essere reindirizzati verso investimenti basati sul mercato, generando potenzialmente un flusso di circa 350 miliardi di euro all’anno. Contemporaneamente, ogni anno una quota significativa di risparmio europeo viene investita negli Stati Uniti, contribuendo a finanziare l’economia americana.
Il documento della Commissione indica una serie di misure da mettere in atto per creare un ampio e profondo mercato comune dei capitali nell’Unione Europea. Tra queste, la creazione di conti di risparmio e investimento europei, una strategia di alfabetizzazione finanziaria, e il potenziamento della supervisione integrata per stimolare investimenti in equity e pensioni supplementari, rimuovendo barriere transfrontaliere e modernizzando il quadro legislativo. Forse per timidezza politica nei confronti di una proposta controversa, ma sempre più centrale nel dibattito europeo, il documento sembra però trascurare lo strumento potenzialmente più efficace per potenziare un mercato dei capitali europeo: la creazione di un safe asset europeo, ovvero titoli di debito comune emessi a livello sovranazionale.
Questi titoli potrebbero infatti attrarre una parte significativa dei capitali europei attualmente investiti in titoli di Stato statunitensi. Basti considerare che al 31 Dicembre 2024 il debito pubblico Usa era pari a 120% del Pil, a fronte di un debito europeo dell’82% del Pil. Inoltre, gli investitori esteri detenevano circa 8,500 miliardi di dollari in titoli del debito pubblico americano, pari al 30,2% dei titoli in circolazione, di cui circa 1790n miliardi posseduti da soggetti dell’area euro.