Il progetto lanciato da Xi nel 2013 ha moltiplicato le rotte commerciali e migliorato infrastrutture di trasporto e logistica, ma ha anche favorito l’espansione delle reti di merci contraffatte. L’ultimo rapporto congiunto Ocse-Euipo mette in luce una crescita dei traffici illeciti correlati agli investimenti in trasporti con evidenti cambi di strategia dei contraffattori. Nel contesto europeo, i porti italiani emergono come snodi chiave: Gioia Tauro, Genoa, La Spezia e Vado Ligure
Lanciata dal leader Xi Jinping nel 2013, la Belt and Road Initiative (la cosiddetta Via della Seta), è diventata uno dei pilastri della politica estera cinese, promettendo di trasformare le infrastrutture globali e potenziare i collegamenti commerciali tra Asia, Europa e Africa. Ma secondo un recente rapporto congiunto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e dell’Ufficio per la proprietà intellettuale dell’Unione europea, dietro la narrazione ufficiale si cela una realtà più oscura: questo progetto sta facilitando la diffusione globale delle reti di contraffazione.
Un’equazione allarmante
Secondo il report, esiste una correlazione diretta tra gli investimenti cinesi in infrastrutture di trasporto e la crescita delle esportazioni di merci false dai Paesi beneficiari. In particolare, i Paesi che ricevono investimenti Belt and Road Initiative superiori allo 0,5% del loro prodotto interno lordo mostrano un aumento significativo delle esportazioni di prodotti contraffatti. Se da un lato la Cina dichiara di voler combattere la contraffazione, dall’altro lato i dati mostrano l’opposto: mentre le esportazioni marittime cinesi verso l’Unione europea sono raddoppiate tra il 2015 e il 2022, i sequestri doganali di merci false provenienti dalla Cina sono crollati del 60%. Non si tratta, secondo il rapporto, di un miglioramento della conformità, ma di una sofisticata elusione dei controlli.
Le nuove rotte dei falsari
Il report documenta un chiaro adattamento logistico da parte dei contraffattori: i sequestri via mare sono crollati, mentre quelli via treno e, soprattutto, attraverso pacchi postali e spedizioni rapide, sono aumentati. I falsari sfruttano le maglie larghe dell’e-commerce e dei sistemi di spedizione frammentati per ridurre il rischio di intercettazione. Questo passaggio da grandi container a spedizioni frammentate è emblematico: nel 2015 le autorità europee sequestravano oltre 1.000 spedizioni contraffatte provenienti dalla Cina via mare; nel 2022, questo numero è sceso sotto le 400. Parallelamente, l’uso di modalità postali è esploso, complicando ulteriormente il lavoro delle dogane europee.
I porti italiani al centro della partita
Nel contesto europeo, l’Italia, che nel 2019 (governo Conte I) aveva aderito alla Belt and Road Initiative prima del mancato rinnovo dell’accordo un anno fa (governo Meloni) gioca un ruolo centrale. Infatti, il nostro Paese ospita diversi porti strategici su cui operatori cinesi detengono partecipazioni rilevanti, in particolare tramite colossi come Cosco e China Merchants Port. Tra gli esempi più significativi: Gioia Tauro, dove la cinese MSC-COSCO detiene una quota importante nel terminal container; La Spezia, anch’esso coinvolto in attività logistiche con operatori cinesi; Vado Ligure, sede del Vado Gateway, primo terminal in Italia a essere gestito in maggioranza da un gruppo cinese; Genova, che pur non avendo una partecipazione cinese diretta nei terminal, è parte integrante del flusso delle merci legate alla Belt and Road Initiative.
Il flusso nei porti
Secondo i dati del report, tra il 2015 e il 2022 la quota dei container in entrata nei porti europei con investimenti cinesi è passata dal 50% al 70% del volume totale. Tuttavia, proprio in questi porti, le autorità hanno registrato un aumento delle merci false provenienti da Paesi terzi, segnale che le reti di contraffazione si stanno riorganizzando per sfruttare i vantaggi infrastrutturali creati dalla Belt and Road Initiative.
Una rete pensata anche per l’illecito
Il documento è chiaro: non si tratta di coincidenze, ma di un uso sistematico delle reti logistiche create con la Belt and Road Initiative da parte delle organizzazioni criminali. I vantaggi offerti — infrastrutture moderne, maggiore velocità dei traffici, maggiore volume commerciale — non sono stati accompagnati da un potenziamento equivalente dei controlli, lasciando spazio agli abusi. I falsari approfittano di tre vulnerabilità principali: supply chain complesse che rendono difficile tracciare l’origine reale delle merci; sovraccarico delle dogane, non attrezzate per monitorare efficacemente l’aumento del volume commerciale; controllo strategico dei punti d’ingresso, dove i porti a partecipazione cinese diventano colli di bottiglia critici per l’ingresso di beni illeciti.
Le possibili contromisure
Come sottolinea il rapporto, serve una risposta sistemica: rafforzamento delle capacità ispettive a livello nazionale; cooperazione doganale europea mirata sui porti più esposti; maggiore trasparenza sugli investimenti infrastrutturali stranieri. In conclusione, la Belt and Road Initiative ha certamente migliorato le connessioni economiche globali, ma ha anche offerto nuove opportunità a traffici illeciti altamente organizzati. Per l’Italia, la sfida è doppia: salvaguardare la propria integrità economica e contribuire alla protezione dell’intera Unione europea da una minaccia che non si muove più solo su grandi navi, ma viaggia nascosta nei piccoli pacchi che ogni giorno attraversano le nostre frontiere.