Qual è il futuro del soft power americano e soprattutto Donald Trump lo ha compreso? Si interroga sul tema, nel numero di maggio della rivista Formiche (in una delle sue ultime riflessioni pubbliche) il politologo americano Joseph S. Nye, già preside della Harvard Kennedy school, scomparso in questi giorni. Ne riportiamo qui un estratto
Il potere è la capacità di convincere gli altri a fare ciò che si vuole. Si può ottenere attraverso la coercizione (“bastoni”); il pagamento (“carote”) e l’attrazione (“miele”). I primi due sono hard power, l’attrazione rappresenta, invece, il soft power. Quest’ultimo nasce dalla cultura di un Paese, dalla sua politica interna e dalla sua politica estera. Nel breve termine, quello di tipo hard, ovvero duro, di solito prevale su quello soft, ma nel lungo termine, quest’ultimo potrebbe arrivare anche a prevalere. Josef Stalin una volta chiese ironicamente “quante divisioni ha il Papa?”. Ma il papato continua ancora oggi, mentre l’Unione Sovietica di Stalin è ormai scomparsa da tempo. Anche nel breve periodo, il soft power è importante. Se sei attraente per gli altri, puoi risparmiare sul bastone e sulla carota. Se un alleato ti vede come una persona benigna e affidabile, è più facile persuaderlo e portarlo a seguire il tuo esempio. Se ti vede come un prepotente inaffidabile, è più probabile che procrastini e riduca la sua interdipendenza quando può.
Purtroppo, Donald Trump non comprende il soft power o il suo ruolo nella politica estera. Attraverso la coercizione diretta verso gli alleati democratici, come la Danimarca o il Canada, si indebolisce la fiducia nelle nostre alleanze, minacciare Panama risveglia i timori di imperialismo in tutta l’America Latina e paralizzare l’Agenzia per lo sviluppo internazionale (Aid), creata da John F. Kennedy nel 1961, mina la nostra reputazione di benevolenza. Imporre tariffe doganali agli amici, e alla Cina, riduce il soft power americano, così come intraprendere azioni che congelano la libertà di parola. Gli scettici dicono: “E allora?”. La politica internazionale è una partita di baseball, non di softball. L’approccio coercitivo e commerciale di Trump sta già concedendo compromessi, con la promessa che ne arrivino degli altri.
Ma il soft power culturale americano sopravviverà a una flessione dello stesso messa in atto dal governo nei prossimi quattro anni? Non se danneggiamo la nostra democrazia in patria e agiamo da prepotenti all’estero. L’altra domanda che ci si pone è: la democrazia americana sopravviverà a quattro anni di amministrazione Trump?
Naturalmente il futuro è incerto, ma penso che la risposta sia probabilmente sì. Il Paese ha una cultura politica resiliente e una costituzione federale che incoraggia i controlli e gli equilibri. Inoltre, la società civile rimane forte e i tribunali indipendenti. Molte organizzazioni hanno avviato azioni legali contro le decisioni di Trump. Dopo l’invasione dell’Ucraina, la Russia ha perso gran parte del potere che aveva, ma la Cina si sta impegnando per colmare le lacune create da Trump. Si considera il leader del Sud globale, quelli che un tempo erano chiamati Paesi non allineati, e mira a spodestare l’ordine americano di alleanze e istituzioni internazionali. Pechino è ora il più grande partner commerciale per un numero maggiore di Paesi rispetto a Washington. Il presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato che l’oriente sta prendendo il sopravvento sull’occidente e ha promesso di sostituire l’ordine liberale creato dagli Stati Uniti dopo il 1945. Se Trump pensa di poter competere con la Cina – indebolendo la fiducia tra gli alleati americani, affermando aspirazioni imperiali, distruggendo l’Aid, sfidando le leggi interne e ritirandosi dalle agenzie delle Nazioni Unite – rischia di rimanere deluso. E lo stesso vale per noi.
Formiche 213