La Democrazia cristiana ha incarnato una laicità autentica, mai subordinata al magistero ecclesiastico, ma fondata sull’autonomia dei laici in politica. Diversamente dagli odierni “atei devoti”, i leader Dc non strumentalizzavano la Chiesa, ma agivano con coerenza e sobrietà. La riflessione di Giorgio Merlo
Tra i non pochi meriti che vanno ricordati quando si parla della Democrazia cristiana – “il partito italiano” per eccellenza, per dirla con lo storico cattolico Agostino Giovagnoli – non possiamo non annoverare una sana e credibile laicità dell’azione politica. Una laicità non solo predicata ma autenticamente praticata dai suoi principali leader e statisti. Sia quelli che avevano più dimestichezza con le alte gerarchie ecclesiastiche e sia coloro che si limitavano anche solo ad una formazione culturale, etica e politica ricevuta dall’impegno nell’associazionismo giovanile cattolico.
Perchè di questo si tratta. E lo abbiamo sperimentato, in modo persino plateale, proprio in questi ultimi giorni di lutto per la cattolicità mondiale. Ora, il punto centrale non è quello di commentare – o di impadronirsi – di singoli pezzi dell’insegnamento della Chiesa. Un’operazione di “taglio e cuci” che, comunque sia, è apparsa ridicola e grottesca messa in atto da alcuni capi partito nel nostro paese durante il recente dibattito parlamentare sull’eredità del papa argentino. Semmai, e al contrario, quello che emerge è la radicale assenza di quella laicità dell’azione politica che, invece, ha sempre caratterizzato il comportamento concreto della stragrande maggioranza dei leader della Dc.
Ovvero, e senza scivolare nella scorciatoia integralistica o, peggio ancora, di natura confessionale, la laicità dei leader democristiani è sempre stata ispirata a due criteri di fondo. Innanzitutto il progetto politico del partito, e soprattutto le singole scelte politiche, non erano mai la mera e passiva traduzione dell’insegnamento della Chiesa. E questo perchè l’autonomia dei laici impegnati in politica è sempre stata un punto cardinale dell’azione politica dei cattolici italiani che si riconoscevano nella Dc e nei partiti che sono succeduti alla stessa Dc.
In secondo luogo non era una prassi richiesta ed usuale quella di manifestare pubblicamente l’adesione a singoli pezzi del magistero della Chiesa a conferma della non ostilità rispetto all’insegnamento della Chiesa stessa. Una prassi, questa, che ha trovato piena cittadinanza con l’esperienza dei cosiddetti “atei devoti” – presenti, purtroppo, in quasi tutti i partiti – e, soprattutto, in coloro che sono radicalmente estranei alla cultura e alla tradizione del cattolicesimo politico italiano ma che poi fingono di impossessarsi di singoli valori trasmessi alla Chiesa per essere più realisti del re, come si suol dire. Ecco, la Dc, con i suoi leader, era tutt’altra cosa