Mentre i cantieri cinesi sfornano navi da guerra a un ritmo industriale, la produzione americana è ferma ai tempi delle lavagne e delle telefonate. A lanciare l’allarme è Mike Gallagher, ex deputato al Congresso e oggi capo della divisione Difesa difesa di Palantir. Senza un’accelerazione tecnologica nel settore navale, gli Stati Uniti rischiano di non essere pronti a contenere la minaccia cinese. Secondo Gallagher, questa accelerazione potrà essere favorita in primis dallo Stato, nel solco di quanto fatto durante la pandemia da Covid-19
La cantieristica americana, una volta spina dorsale dell’apparato militare-industriale che vinse la Seconda Guerra Mondiale, è oggi in affanno. Negli anni 80 gli Stati Uniti producevano tra le 15 e le 25 navi all’anno. Oggi, faticano a raggiungere le cinque. La Cina, nel frattempo, ha avviato una massiccia espansione della propria Marina militare, con una flotta che, secondo le stime, raggiungerà le 475 unità entro il 2035 — 160 in più rispetto alla Marina americana. Xi Jinping avrebbe dato indicazioni alle Forze armate cinesi di essere pronte alla “riunificazione” con Taiwan già nel 2027. Il tempo stringe.
Nel frattempo, negli Stati Uniti, l’intelligenza artificiale disegna progetti più velocemente degli ingegneri e guida i missili con precisione sub-millimetrica. Ma nei cantieri navali, la progettazione e la produzione procedono ancora con lavagne, telefonate e memoria d’ufficio. A lanciare l’allarme è Mike Gallagher, ex deputato repubblicano al Congresso e oggi a capo della divisione Difesa di Palantir: senza una trasformazione digitale profonda, la cantieristica americana non sarà in grado di reggere le sfide industriali del ventunesimo secolo, né di supportare la US Navy in eventuali scenari di crisi.
Cantieristica, top priority dell’amministrazione Trump
Lo scorso gennaio, Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per “ripristinare il dominio marittimo americano”. Al centro del documento c’è il riconoscimento che il sistema industriale navale americano – quello che nella Seconda Guerra Mondiale sfornava Liberty ships ogni tre giorni – oggi fatica a produrre cinque navi l’anno. L’ordine esecutivo, nonché l’istituzione di un ufficio dedicato allo shipbuilding presso la Casa Bianca, punta a rafforzare il settore, sia nel comparto militare sia in quello commerciale, istituendo zone di prosperità marittima e semplificando alcuni iter autorizzativi per i cantieri.
A monte, però, resta un problema di natura strutturale: catene di approvvigionamento fragili, manodopera in calo e sincronizzazione inefficiente tra cicli di progettazione e produzione. E proprio su queste debolezze strutturali che si innesta la proposta di Gallagher di lanciare un Warp Speed industriale per il comparto navale, sull’esempio di quanto fatto durante la pandemia in ambito farmaceutico.
Un precedente nel settore farmaceutico
Lanciata nel 2020 dall’amministrazione Trump, l’Operazione Warp Speed (Ows) è oggi considerata uno dei maggiori successi federali nella gestione dell’emergenza Covid-19. Il programma – un partenariato pubblico-privato coordinato dal Dipartimento della salute (Hhs) e da quello della Difesa (Dod) – quest’ultimo cruciale per la componente logistica – ha permesso di accelerare in modo senza precedenti la ricerca, lo sviluppo, la produzione e la distribuzione di vaccini e tecnologie biomediche per il contrasto alla pandemia. Il bilancio parla chiaro. Al 30 gennaio 2021, cinque dei sei candidati vaccinali sostenuti dall’Ows avevano già raggiunto la fase 3 della sperimentazione clinica. Due dei quali – Moderna e Pfizer/BioNTech – erano stati autorizzati all’uso d’emergenza da parte della Food and drug administration (Fda), segnando una svolta nella risposta sanitaria americana e mondiale. Secondo Arielle D’Souza, biotechnology fellow presso l’Institute for Progress, si è trattato di uno dei progetti governativi più innovativi della storia recente, paragonabile – per ambizione e impatto – al Progetto Manhattan o al Programma Apollo. Alla base del successo, spiega, ci sono quattro elementi fondamentali: “un obiettivo di mercato chiaro e definito; l’accettazione del rischio pubblico per superare i fallimenti del mercato; una strategia intergovernativa coordinata; e la disponibilità a semplificare il quadro normativo per ridurre tempi e incertezze”. Grazie a finanziamenti massicci e impegni regolatori espliciti, il governo è riuscito a ridurre l’incertezza per il settore privato, accelerando la transizione dalla ricerca alla produzione su larga scala. Un approccio che, secondo molti osservatori, potrebbe essere replicato in altri ambiti strategici per rilanciare il ruolo dello Stato come motore dell’innovazione.
Le emerging tech ora puntano alla cantieristica
L’idea di Gallagher è che i cantieri possano essere gestiti come sistemi complessi, dinamici e interconnessi, proprio come accade nel settore della difesa più avanzata. Palantir è infatti uno degli attori più interessanti nel panorama delle emerging tech Usa che si propongono come nuovi contractor per il Pentagono. Nate come aziende specializzate nel settore dell’IA, queste realtà sono cresciute a ritmi impressionanti, inglobando e acquisendo linee produttive già attive nel settore e guadagnandosi un accesso diretto per gli appalti della Difesa americana. Questo ha permesso a società che inizialmente puntavano esclusivamente sulle applicazioni software di entrare a gamba tesa anche nel campo dei sistemi d’arma fisici, aumentando il valore aggiunto grazie all’impiego di IA avanzate sia sul piano delle capacità operative sia della produzione in massa. Finora questo approccio si era limitato a sistemi d’arma aerei o terrestri (come droni e sminatori), ma adesso sembra proprio che Palantir sia pronta per un ulteriore salto di livello: la cantieristica navale militare.
Alcuni casi concreti di applicazione dell’IA nei processi produttivi sono già in corso. A Saronic, ad esempio, si sta costruendo un’infrastruttura completamente digitale per la produzione di droni navali di varie dimensioni (dai piccoli natanti ai large unmanned vessels). Il software di Palantir collega approvvigionamenti, progettazione e produzione in tempo reale, offrendo agli ingegneri una visibilità completa sull’intera filiera.
Secondo l’azienda, questo approccio ha già prodotto un’accelerazione di 200 volte nella responsività della supply chain, abilitando decisioni rapide, tracciabilità costante e una riduzione drastica dei colli di bottiglia. Lo stesso paradigma si sta estendendo anche a realtà internazionali, basti pensare al cantiere di Hyundai a Ulsan, in Corea del Sud, dove — avendo già integrato l’IA in questi processi — una singola struttura produce più navi commerciali di tutta l’attuale sistema cantieristico statunitense.
La partita è aperta
La cantieristica a stelle e strisce si confronta oggi con sfide sistemiche e tutt’altro che facili da superare. Più del 60% della forza lavoro ha oltre 45 anni, mentre le competenze specialistiche faticano a rigenerarsi. L’Intelligenza artificiale non sostituirà mai completamente il fattore umano, ma può creare le condizioni per aumentarne l’efficienza, ridurre gli errori e coordinare in tempo reale tutti i livelli della produzione. Specialmente in un’architettura industriale che negli anni ha accumulato ritardi che a loro volta hanno dato origine a svariati bottleneck logistici.
Il confronto con la Cina, che costruisce a un ritmo mai visto dal dopoguerra a oggi, pone una questione di scala, ma anche di velocità. La tecnologia è pronta, i casi d’uso esistono e l’interesse federale per queste innovazioni sta crescendo.