Solo il 31,4% delle persone con disabilità lavora, e appena il 12% dei contratti collettivi prevede misure dedicate. Ma il digitale, se usato con una visione umana e sociale, può colmare questo divario. A Roma un confronto promosso da SuperJob ha messo al centro il valore della diversità, il potenziale inespresso e il ruolo della tecnologia per trasformare l’innovazione in inclusione e giustizia sociale
La trasformazione tecnologica sta cambiando radicalmente il mondo del lavoro. Ma innovazione non può e non deve significare solo strumenti e automazione: serve un cambio di mentalità, una cultura capace di mettere al centro le persone e le loro potenzialità. In questo contesto, il digitale può diventare un ponte tra persone con disabilità e il mondo del lavoro, contribuendo a costruire un sistema più giusto, accessibile e produttivo. Secondo i dati del Cnel, solo il 31,4% delle persone con disabilità in età lavorativa ha un impiego. Un dato che non solo denuncia un problema strutturale, ma evidenzia anche un’occasione persa: quella di valorizzare talenti spesso invisibili, che possono portare ricchezza – umana, sociale e produttiva – tanto alle aziende quanto alla collettività. Eppure, solo il 12% dei contratti collettivi nazionali di lavoro prevede misure specifiche per l’inclusione delle persone con disabilità. Proprio per affrontare questi nodi si è tenuto a Roma un confronto tra istituzioni, imprese, esperti del settore e associazioni, promosso da SuperJob con il supporto di Neopharmed Gentili, in collaborazione con Michael Page e la Federazione Disability Management. “È un onore confrontarmi con voi su un tema così importante come l’inclusione sul mondo del lavoro”, ha aperto così i lavori Ottavia Landi di Chiavenna, head of communications and external relations di Neopharmed Gentili e Istituto Gentili Italia e presidente di SuperJob. “La diversità è sempre una ricchezza da cui trarre ispirazione,” ha aggiunto.
IL VALORE DELL’INCLUSIONE
“Oggi più che mai le aziende hanno come obiettivo quello dell’inclusione”, spiega Francesca Caricchia, senior executive director central & southern Italy presso PageGroup e componente del comitato scientifico di SuperJob. “I giovani vogliono lavorare per aziende inclusive”, ha aggiunto,sottolineando un duplice valore dell’inclusione, si attrae valore e si crea valore aggiunto. Anche Vincenzo Falabella, presidente della Federazione italiana per il superamento dell’handicap, ha richiamato il vantaggio competitivo dell’inclusione: “Negli ultimi anni, le aziende che hanno puntato sulla persona – prima ancora di vedere la disabilità – ne hanno tratto giovamento”. L’inclusione è prima di tutto “un diritto umano”, ha sottolineato Andrea Catizone, avvocata e legal advisor su gender equality, diversity & inclusion e consigliere del ministro dell’Università e della Ricerca, che ha affermato: “Ogni volta che parliamo di disabilità, lo facciamo come se l’inclusione fosse una concessione. Ma non è così: parliamo di diritti. Diritti umani, che dobbiamo riconoscere senza se e senza ma”. E su questo aspetto, ha aggiunto, “dobbiamo ringraziare le nuove generazioni per la rivoluzione silenziosa che stanno facendo”.
OLTRE GLI OBBLIGHI DI LEGGE
Nel corso del confronto è stata sottolineata la necessità di promuovere una revisione dell’attuale paradigma normativo per riconoscere il valore della persona con disabilità, superando la logica sanzionatoria prevista dalla legge 68/1999. Uno spunto forte è arrivato anche dalla testimonianza di Stefania Leone, informatica presso Almaviva e presidente nazionale dell’Associazione disabili visivi, che partendo anche dalla sua esperienza personale ha sottolineato: “Perché le aziende devono assumere persone con disabilità? Non solo per adempiere a un obbligo di legge, ma perché la persona disabile – se messa in condizione di lavorare – è spesso più produttiva degli altri. Le persone con disabilità che lavorano non solo non gravano sul sistema assistenziale, ma portano valore aggiunto alle aziende e, soprattutto, valore umano”. Tanti esempi di innovazioni tecnologiche e sociali sono infatti partiti “da bisogni concreti delle persone con disabilità, che le aziende hanno saputo trasformare in soluzioni di valore”, ha ricordato Haydée Longo, vicepresidente della Federazione disability management. “L’inclusione – ha spiegato Longo – genera fattori potenzianti che, diversamente, le aziende non riescono nemmeno a percepire”. Ma, quindi, come trasformare la tecnologia in uno strumento concreto di inclusione? Per Silvia Gabbioneta, diversity and inclusion manager di Nokia, tutto parte dal processo di selezione in cui: “Dobbiamo guardare al potenziale, non al limite”.
RECRUITMENT INCLUSIVO
Un esempio pratico è SuperJob, piattaforma di e-recruitment pensata per facilitare l’incontro tra persone con disabilità e aziende: “Abbiamo creato questa piattaforma con l’intento di capovolgere il percepito rispetto alla disabilità”, spiega la presidente Landi di Chiavenna. La piattaforma ha messo “la tecnologia al servizio della costruzione di una rete sociale che supporti l’inserimento lavorativo”. Un obiettivo che si andando a colmare il mismatch tra domanda e offerta e promuovendo nuove visioni nelle realtà produttive del Paese. “Ognuno è un talento da scoprire, e il nostro impegno è aiutare a renderlo visibile”, ha aggiunto. Una visione condivisa anche da Umberto Febbraro, esperto in comunicazione d’impresa e componente del comitato scientifico della piattaforma che ha spiegato l’idea alla base del progetto: “Ci sono due elementi fondamentali, la dignità della persona e la creazione di valore”. A moderare l’incontro è stata Alessandra Micelli, condirettore di Formiche e direttore di Healthcare Policy, che ha concluso: “L’inclusione non è un risultato della tecnologia. È un risultato che noi, come società, produciamo attraverso la tecnologia. Siamo noi a dover avere l’obiettivo dell’inclusione. E progetti che mirano a questo obiettivo sono progetti di valore, che trasformano innovazione in giustizia sociale”.