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L’assassinio di Kikli destabilizza Tripoli. Nuovi combattimenti in Libia

Di Massimiliano Boccolini e Emanuele Rossi

Tripoli ora vive il dramma di uno scontro tra forze “ufficiali”, mentre “le istituzioni statali restano paralizzate”, spiega l’esperto libico Zahir. Una nuova crisi militare in Libia mette civili e istituzioni sull’orlo del caos. Dopo un cessate il fuoco immediato e l’assistenza ai civili, pare evidente la necessità di procedere verso un rinnovato accordo unitario che possa prima di tutto controllare il potere delle milizie

Questa mattina Misurata ha dichiarato la mobilitazione generale in seguito alle segnalazioni secondo cui le forze del capo miliziano della regione orientale libica, il leader militare della Cirenaica Khalifa Haftar, si stanno spostando verso ovest da Sirte. Nel frattempo, a Tripoli altre milizie combattono per mantenere posizioni di potere attorno al Governo di unità nazionale che l’Onu ha installato anni fa nella capitale — un esecutivo che nel corso del tempo è diventato sempre più dipendente da umori e interessi delle milizie, esasperando il contesto interno (e le mosse di Haftar, che da anni agogna il potere totale nel Paese, potrebbero anche legarsi allo sfruttare questa opportunità).

Nel caos politico e securitario seguito alla caduta del regime di Gheddafi, Tripoli è diventata un mosaico di domini militari. Tra questi, il Dispositivo di Supporto alla Stabilità, istituito nel gennaio 2021 dal Consiglio Presidenziale, massimo organo amministrativo onusiano ai tempi guidato da Fayez al-Sarraj, è stato uno degli strumenti più emblematici della “formalizzazione” delle milizie. Alla sua guida, Abdul Ghani Kikli — noto come Ghneiwa — ha incarnato l’ascesa di un potere militare ibrido, radicato nella legittimazione istituzionale ma fondato sulla forza armata.

Kikli è stato ucciso ieri, durante una riunione tra miliziani a Tripoli, che si è trasformata in un agguato. Una vicenda cruciale per gli attuali (e futuri) sviluppi. Kikli aveva integrato i suoi uomini nel Dispositivo, ottenendo stipendi pubblici e accesso alle leve della burocrazia statale. Il suo potere si è esteso rapidamente: ha imposto “tasse” arbitrarie, ha manipolato le istituzioni economiche e di vigilanza, e persino condizionato la politica estera. Nonostante le gravi accuse di violazioni dei diritti umani — detenzioni arbitrarie, torture, omicidi extragiudiziali — Kikli era stato ricevuto in Europa, suscitando interrogativi sul ruolo informale giocato nei rapporti bilaterali.

Le tensioni con le altre formazioni, in particolare la 444ª Brigata guidata da Mahmoud Hamza e le brigate 111 e 112 legate a Misurata, hanno raggiunto il culmine a fine aprile con l’assalto alle sedi della Compagnia delle Telecomunicazioni. Questo atto è stato il casus belli che ha portato all’eliminazione di Kikli, la cui matrice si lega più in generale al fatto che avesse ottenuto eccessivo potere. Come in un regolamento tra bande, il 12 maggio 2025 è stato convocato presso il campo Takbali e ucciso insieme ai suoi uomini in una sala riunioni. In poche ore, tutte le basi del Dispositivo di Supporto alla Stabilità sono state occupate. Il silenzio calato su Tripoli dopo gli scontri ha segnato la fine di un’epoca: quella in cui attraverso i finanziamenti governativi le milizie restavano controllate. La possibilità di usare quantità di finanziamenti eccessivi è chiusa, la Banca centrale libica ha scelto di controllare i sussidi e i fondi forniti all’esecutivo di Abdelhamid Dabaiba — innescando una trafila di tensioni, atti e ritorsioni che ha portato nei mesi scorsi alla sostituzione della leadership dell’istituto e alla riapertura di una stagione di scontro (per ora politico e verbale, poche mosse militari) con la Cirenaica hafatariana.

Tripoli sotto assedio: una nuova guerra urbana

A seguito dell’assassini di Kikli, da oltre 24 ore Tripoli è di nuovo piombata nel buio dei combattimenti. Le fonti locali raccontano che “ci siamo di nuovo”, ricordando che nell’ultima dozzina di anni fasi di coprifuoco e blackout (non solo per ragioni militari) sono state più o meno continue. Le zone attorno a Souq al-Juma e Midan al-Shuhada sono diventate epicentro degli scontri. Migliaia di civili sono chiusi in casa, mentre scuole, ospedali e uffici pubblici hanno interrotto le attività. L’aeroporto Mitiga è stato evacuato e tutti i voli dirottati su Misurata. Il centro è deserto, la città sotto shock.

La capitale è precipitata in una nuova fase di scontri, stavolta tra la Forza di Deterrenza di Abdul-Raouf Kara — sostenuta da una mobilitazione popolare a Souq al-Juma — e una coalizione di milizie fedeli al governo Dabaiba: la 444ª Brigata, la Forza Congiunta e la 111ª Brigata, con base a Misurata. La violenza si è rapidamente trasformata in guerriglia urbana, con scontri tra vicoli e arterie principali, uso massiccio di droni armati, artiglieria e mortai. La Forza di Deterrenza ha persino colpito con droni il campo Takbali in una mossa che rappresenta una drammatica escalation — anche nei temi i degli assetti coinvolti, circostanza che racconta come il teorico embargo Onu sulle armi funziona soltanto in parte.

Accuse politiche e vuoto decisionale

Le proteste a Souq al-Juma denunciano apertamente il premier Dabaiba, accusato di “scatenare il conflitto per fini personali”. Secondo l’Accordo Politico, solo il Consiglio Presidenziale può autorizzare operazioni militari, ma ha smentito di averlo fatto. Il Capo di Stato Maggiore, il generale El-Haddad, “ha scelto la linea del disimpegno, il  risultato: Tripoli è nelle mani delle armi, non della legge”, spiega una fonte libica.

Ristrutturazione delle forze di sicurezza: misura o maquillage?

In risposta agli scontri, il governo ha avviato una serie di riforme. La prima è lo scioglimento di agenzie legate alla giustizia e alla sicurezza, poi ha trasferito poteri al ministero dell’Interno, nominato nuovi vertici nel settore dell’intelligence, creato una commissione con la magistratura per rivedere le prassi carcerarie.

Ma secondo l’analista libico Ahmed Zahir, “le misure colpiscono alcuni apparati ma lasciano intatto il cuore del problema: il Servizio di Supporto alla Stabilità non è stato formalmente sciolto”. La centralizzazione resta limitata, con troppi centri di potere in competizione. “Il rimpatrio di Mahmoud Najim ha anche messo in luce le falle nella cooperazione internazionale”, nota Zahir, secondo cui “senza un decreto organico, la frammentazione continuerà.”

Un appello urgente alla comunità internazionale

La crisi in corso richiede risposte urgenti. La popolazione civile è priva di protezione, mentre le istituzioni si neutralizzano a vicenda. È essenziale un cessate il fuoco verificabile, corridoi umanitari sicuri, sostegno internazionale a una vera riforma del sistema di sicurezza.

Recentemente gli Stati Uniti hanno tenuto incontri con delegati dei vari fronti, sia in Triplitania che in Cirenaica. L’obiettivo di questo sforzo, attualmente guidato dal Pentagono, è quello di costruire proprio dal tessuto delle milizie una forma di stabilizzazione per trovare una quadra anche politico-istituzionale nel Paese. Washington è consapevole che quello delle milizie è il livello che ha maggiore peso nel controllo del potere; e sono anche consapevoli che senza qualche genere di intesa la situazione rischia di esplodere portando a una destabilizzazione totale. Una situazione che potrebbe riaprire stagioni di guerra guerreggiata in Libia con riflesso su equilibri e interessi dell’Europa (meridionale) e facilitando le attività destabilizzanti e anti-occidentali condotte da forze rivali come la Russia — presente e ben organizzata nell’Est, alle spalle di Haftar.

La parabola di Kikli e il fall-out successivo rivela il fallimento della strategia di incorporare le milizie nello Stato senza criteri di trasparenza e responsabilità, senza un disarmo precedente e soprattutto senza un’istituzione centrale e unitaria che abbia capacità di gestire gli equilibri nel comparto militare. Da figura dominante nel sistema tripolino, Kikli è divenuto vittima di un apparato che ha contribuito a costruire e che appare sempre più insostenibile.

“Tripoli ora vive il dramma di uno scontro tra forze ‘ufficiali’, mentre le istituzioni statali restano paralizzate: serve subito un decreto vincolante del Consiglio Presidenziale, supportato da un’azione internazionale, per fermare la carneficina e avviare la costruzione di un sistema di sicurezza unificato, la nascita di un comando unico di sicurezza trasparente e responsabile, nel rispetto della legge e della vita dei cittadini”, analizza Zahir.


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