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L’Italia può contare (e pesare) nel futuro dell’Indo-Pacifico. La riflessione di Volpi

Di Raffaele Volpi

Nel cuore del XXI secolo, l’Indo-Pacifico è diventato il baricentro della competizione globale, dove si ridefiniscono alleanze, posture militari e filiere industriali. L’ascesa cinese, il ritorno di Trump, la corsa agli armamenti regionali e il nuovo tripolarismo tra Usa, Cina e India rendono questa regione il crocevia dei futuri equilibri planetari. In questo scenario dinamico e instabile, l’Italia ha l’opportunità – e la responsabilità – di ritagliarsi un ruolo strategico, industriale e diplomatico all’altezza delle sfide che verranno

Indo-Pacifico. Da qualche anno è questa la parola chiave di ogni agenda strategica, il cuore di ogni esercitazione militare rilevante, il baricentro di ogni riflessione geopolitica con ambizione globale. Ma non si tratta solo di un concetto geografico allargato: è lo specchio dell’era multipolare che stiamo vivendo, il luogo in cui si stanno ridefinendo le architetture di potere, le alleanze e le sfide tecnologiche del XXI secolo. In un mondo dove gli equilibri si muovono, l’Indo-Pacifico non è più una delle tante periferie globali, ma la nuova piattaforma centrale del confronto strategico planetario.

A cambiare non è solo la geografia, ma la grammatica stessa della politica internazionale. In questa area – che va dalle coste orientali dell’Africa fino al Giappone, e comprende l’Oceano Indiano, il Mare Cinese Meridionale, il Sud-Est asiatico e l’arcipelago indo-pacifico – si intersecano rotte commerciali, filiere industriali, interessi strategici, tensioni storiche e nuove posture militari. E si concentra il 60% del PIL globale, oltre al 60% della popolazione mondiale. In altre parole: il presente e il futuro si scrivono qui.

Il ritorno di Trump: nuove incognite strategiche

Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, il mondo assiste a un probabile cambio di passo nella postura americana nella regione. Ma se la linea di Biden era quella di costruire coalizioni multilaterali (Quad, AUKUS, rafforzamento dell’alleanza con il Giappone), il nuovo Trump potrebbe muoversi in modo più selettivo, bilaterale, e meno prevedibile. Trump, da sempre scettico verso le architetture multilaterali, potrebbe ridurre l’impegno americano in alcuni teatri, oppure al contrario alzare la soglia della deterrenza in modo unilaterale, senza consultare troppo gli alleati. In entrambi i casi, la pressione su Pechino – soprattutto in relazione a Taiwan – difficilmente diminuirà. Ma ciò che cambia è il tono, il metodo, la stabilità della risposta.

Per molti paesi dell’ASEAN, ma anche per alleati storici come Giappone e Corea del Sud, il nuovo ciclo trumpiano apre interrogativi: gli Stati Uniti saranno partner affidabili e coerenti? Oppure sarà il tempo del “deal-making”, con rischi di compromessi improvvisi e abbandoni strategici? In questo contesto di incertezza americana, la Cina vede una finestra di opportunità: intensifica le sue mosse nel Mar Cinese Meridionale, alza la pressione su Taiwan, consolida la presenza navale in aree lontane (come il Golfo di Aden e il Corno d’Africa). La sua terza portaerei, ormai operativa, è più di un simbolo: è un messaggio. Pechino è pronta a competere per il dominio marittimo, e lo fa con ambizione globale.

Taiwan, il punto di rottura

Lo Stretto di Taiwan resta il potenziale epicentro di una futura crisi sistemica. Le esercitazioni cinesi attorno all’isola sono diventate quotidiane, l’invio di aerei nella zona di identificazione aerea taiwanese è ormai parte della normalità strategica. Pechino considera Taiwan una questione interna, una ferita aperta della storia che va ricucita – pacificamente se possibile, ma con la forza se necessario. Taipei, sostenuta militarmente dagli Stati Uniti e da alcuni partner europei, sviluppa una strategia asimmetrica di difesa e resilienza. Ma la popolazione vive in una tensione sospesa, sapendo che ogni crisi, ogni “errore di calcolo”, potrebbe far esplodere una guerra a livello globale. Molti analisti fissano tra il 2025 e il 2030 il momento più critico: la Cina sarà sufficientemente pronta, gli Stati Uniti potenzialmente più divisi, e il mondo forse distratto da altre crisi. Ma è proprio in questo vuoto che si gioca il futuro dell’equilibrio mondiale.

L’Asia si arma. E si industrializza

Il riarmo nell’Indo-Pacifico è ormai un fatto. Cina e India guidano la corsa, con budget che crescono a ritmi sostenuti. Ma il fenomeno è più ampio: Indonesia, Vietnam, Filippine, Corea del Sud, Australia, persino nazioni più piccole come Malesia e Thailandia stanno potenziando le proprie capacità militari. Spesso con aiuti esterni, ma sempre più spesso anche con produzioni locali. La novità è proprio qui: non solo corsa agli armamenti, ma corsa alla capacità industriale autonoma. L’India investe sul “Make in India” per ridurre la dipendenza da importazioni e diventare essa stessa esportatrice. La Corea del Sud è già oggi un colosso industriale e tecnologico, capace di vendere carri armati alla Polonia, sottomarini all’Indonesia, aerei da addestramento alle Filippine. In questo contesto, l’industria bellica è parte integrante della strategia nazionale. Non si tratta solo di comprare armi, ma di costruire filiere, competenze, occupazione. Di essere meno vulnerabili e più rilevanti.

L’Italia tra spazio industriale e ruolo strategico

L’Italia ha iniziato a muoversi nella regione. Le commesse di Fincantieri con l’Indonesia (sei fregate FREMM), il ritorno di Leonardo in India, le collaborazioni nel settore spaziale con ISRO e Telespazio indicano un percorso già in atto. Ma si può – e si deve – fare di più. Il sistema industriale italiano ha know-how, affidabilità, tecnologia. Può offrire soluzioni avanzate e su misura a paesi che vogliono dotarsi di capacità moderne senza dipendere esclusivamente dai giganti americani, russi o cinesi. In questo l’Italia può giocare una partita da partner tecnologico credibile, anche grazie alla sua tradizione diplomatica di equilibrio e apertura.

Serve però una strategia di sistema. Coordinare le missioni economiche, rafforzare la presenza diplomatica, sostenere la diplomazia navale (come l’invio di navi militari in Asia già in programma), e – soprattutto – trasformare la nostra reputazione in proposte concrete. Il recente interesse verso il Corridoio India-Medio Oriente-Europa (IMEC), di cui l’Italia potrebbe diventare hub europeo, va letto in questa prospettiva. È l’alternativa euro-mediterranea alla Via della Seta cinese. È una scelta geopolitica, industriale, logistica. E può rappresentare una grande occasione per proiettare l’Italia nel futuro sistema eurasiatico.

Verso un mondo tripolare (e instabile)

Il mondo che si sta delineando non è più bipolare. Non è ancora multipolare. È, in questa fase, tripolare: Stati Uniti, Cina, India. Con l’Unione Europea che cerca un ruolo, e la Russia che sfrutta le zone d’ombra. In questo gioco, il baricentro si è spostato: non più l’Atlantico, ma l’Indo-Pacifico. E lì si incrociano interessi strategici, supply chain globali, cybersicurezza, rotte marittime, energie e tensioni ideologiche. Il rischio è che l’escalation sia continua: ogni passo cinese genera una reazione americana, che a sua volta rafforza l’assertività di Pechino. L’ASEAN, invece di essere una zona di stabilizzazione, rischia di diventare terra di contesa. La chiave sarà costruire nuove architetture di sicurezza che siano inclusive ma ferme. Che non siano semplicemente blocchi contrapposti, ma reti di cooperazione che limitino il rischio di crisi sistemiche. È un compito difficile, ma non impossibile.

Conclusione: perché l’Italia deve esserci

Per l’Italia, l’Indo-Pacifico non è solo un teatro lontano. È il luogo da cui passeranno le rotte marittime che alimentano la nostra economia, il mercato delle tecnologie del futuro, lo snodo delle relazioni euro-asiatiche. È il laboratorio del mondo che verrà. Stare fuori significa marginalizzarsi. Essere presenti – con diplomazia, industria, cultura, marina, scienza – significa avere voce. E possibilità. Il tempo delle scelte è adesso. Non possiamo più permetterci di guardare il nuovo centro del mondo da lontano.


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