Secondo Jörg Buck, consigliere delegato della Camera di commercio italo-germanica, Berlino e Roma dovranno superare ansie nazionali per costruire un partenariato paritario e sostenibile, in grado di rispondere alle sfide globali e di dare nuovo slancio alla competitività europea
Il nuovo cancelliere tedesco Friedrich Merz, insediatosi ieri alla guida di un governo di grande coalizione tra l’Unione Cdu-Csu e l’Spd, oggi è volato a Parigi per incontrare il presidente francese Emmanuel Macron e a Varsavia per incontrare il primo ministro polacco Donald Tusk. “Nelle prossime settimane” sarà a Kyiv, ha spiegato oggi. C’è attesa anche per un incontro con Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, che ieri ha sottolineato come “Germania e Italia, le due più importanti economie manifatturiere d’Europa possano fare la differenza per il rilancio della competitività, in particolare del settore automobilistico, così come per la costruzione di partenariati paritari con l’Africa e per il contrasto all’immigrazione irregolare”.
Secondo Jörg Buck, consigliere delegato della Camera di commercio italo-germanica (AHK Italien), i due “devono lavorare sulla base del Piano d’azione strategica firmato nel 2023” anche se, “a oggi, sembrano ancora timidi nell’individuarsi, reciprocamente, come partner fondamentali”.
Da dove partire?
Siamo i due Paesi manifatturieri d’Europa: ogni rilancio industriale passa per una strategia comune tra Italia e Germania. Industria, difesa, migrazioni, politiche europee e di governance dell’Unione europea: Italia e Germania hanno esigenze comuni, le risposte alle quali determineranno il destino di tutta l’Unione europea. Quando ci si pensa, ci si chiede come mai la cooperazione non si già strettissima. È probabile che sia la necessità stessa a spingere per una maggiore comprensione di questo destino comune. Ma non possiamo agire sulla scorta dell’emergenza, come spesso facciamo in Europa.
Che fare, dunque?
Entrambi i governi devono, da subito, iniziare a gettare le basi per una cooperazione proficua. L’Europa non è solo l’asse franco-tedesco, e anche su questo Merz deve andare oltre gli schemi consolidati della sua cultura di provenienza.
Guardando alle questioni interne, il nuovo governo tedesco ha annunciato misure urgenti per rilanciare la competitività industriale e avviare una profonda de‑burocratizzazione. Che cosa dobbiamo aspettarci?
Merz ha insistito molto sulla necessità di liberare velocemente il potenziale dell’economia tedesca, abbattendo burocrazia e tasse. Sono misure utilissime di cui le aziende hanno bisogno, e in un momento di crisi come quello attuale possono dare il giusto stimolo per una veloce ripresa economica e industriale. Ma i problemi che affrontiamo sono strutturali, e serviranno strategie radicali.
Per esempio?
Pensiamo all’energia: certo, gli aiuti alle aziende sono importanti, ma serve una profonda diversificazione delle forniture (avviata con successo negli scorsi anni) e strategie per fonti alternative, come l’idrogeno e le rinnovabili, per le quali è destinato un quinto del fondo infrastrutturale creato con l’allentamento del freno al debito. Serve anche ragionare con l’Italia su un patto sull’energia che favorisca il decoupling, come sostenuto dal ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, alcuni mese fa. Anche sui dossier industriali serve una strategia a lungo termine: dall’automotive alla manifattura nel suo complesso, affrontiamo una crisi da cui la Germania non può non uscire trasformata, e non può uscire agendo da sola. Serve allineare le strategie a livello europeo. Il nuovo governo dovrà lavorare da subito su questi temi.
Sul piano europeo, Merz punta a un’Europa più coesa dal punto di vista industriale e strategico. Quali iniziative politiche e progetti comuni dovrebbe promuovere la Germania per rafforzare questa unione?
Merz ha annunciato il “governo più europeista” dell’Unione: per realizzare questo progetto, serve un piano industriale europeo, serve agire nell’ottica dei report degli ex presidenti del Consiglio Mario Draghi ed Enrico Letta, e serve abbandonare gli sguardi nazionali per superare vecchi dogmi. Altrimenti sarà difficile incidere su settori in cui le nostre divisioni ci impediscono di mobilitare i giusti investimenti, pensiamo all’intelligenza artificiale. Merz ha iniziato a superarli con l’allentamento del freno al debito, e bisogna proseguire su questa strada. In una consultazione interna, anche le nostre aziende si sono espresse al 93% favorevolmente a rivedere le regole sul debito, adducendo come motivazione la necessità di sviluppare settori strategici e di rivedere regole ormai limitanti. Se la Germania e l’Europa si limiteranno a difendere uno status quo industriale precedente le grandi trasformazioni degli ultimi anni, rischiano di finire schiacciate in dinamiche più grandi.
Che cosa dobbiamo aspettarci, invece, dal governo tedesco alla luce delle politiche dell’amministrazione Trump verso l’Unione europea e del complesso rapporto con la Cina soprattutto con riferimento al transizione green-tech?
Credo che Merz finora si sia dimostrato molto lucido nel guardare agli Stati Uniti: il rapporto atlantico è fondamentale, ma dagli Stati Uniti deve arrivare stabilità. Italia e Germania rappresentano il 42,5% dell’export dell’Unione europea verso Washington, e i dazi riguarderanno oltre 130 miliardi italo-tedeschi (quasi il 60% del nostro export oltre atlantico congiunto), a cui va aggiunto l’impatto sulle catene del valore intra-europee. Il 70% delle nostre imprese prevede effetti negativi dalla situazione attuale. Per giunta, negli scorsi anni sia la Germania che l’Italia hanno intensificato gli scambi con gli Stati Uniti. I dazi potrebbero invertire questo trend, con tutto ciò che ne consegue sul tema dipendenze strategiche in ottica di transizione green e tech. Soprattutto, di fronte al nuovo atteggiamento statunitense vanno trovati nuovi mercati di sbocco. Pensiamo, per esempio, al Mercosur, da tempo vittima di resistenza incrociate, ma che garantirebbe alle nostre merci alimentare un buon sostituto del mercato statunitense. Sul tema, l’atteggiamento italiano deve cambiare, e bisogna vedere le potenzialità dell’accordo: possiamo vincere la sfida competitiva se non ci arrocchiamo in difesa.