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Pechino continua a stringere il cerchio sulla sicurezza a Hong Kong

Hong Kong propone un’integrazione alla Legge sulla sicurezza nazionale che rafforza l’Ufficio di Pechino: obbligo di cooperazione, segreto d’ufficio con multe e carcere, “luoghi proibiti” e immunità per chi assiste. E la propaganda cinese dipinge la sicurezza come presupposto di libertà e prosperità

Le autorità cinesi di Hong Kong hanno annunciato l’intenzione di rafforzare la controversa legge sulla sicurezza nazionale, in una mossa che rischia di comprimere ulteriormente l’autonomia dell’ex colonia britannica. Lo riferisce il South China Morning Post. A oltre un anno dall’entrata in vigore della legge sulla sicurezza interna imposta da Pechino, il governo della regione amministrativa speciale di Hong Kong ha presentato ieri un disegno di legge che ne dettaglia l’attuazione locale e rafforza il ruolo dell’Ufficio per la salvaguardia della sicurezza nazionale di stanza in città, nato nel 2020 con la controversa Legge sulla sicurezza nazionale.

In base all’articolo 55 della legge quadro, l’Ufficio di Pechino può assumere la giurisdizione su un caso quando l’amministrazione locale non sia in grado di far rispettare la legge o in altre due circostanze speciali. Con la nuova normativa secondaria, qualsiasi dipartimento governativo o funzionario pubblico dovrà fornire “tutte le necessarie e ragionevoli assistenza, facilitazione, supporto, copertura e protezione” all’Ufficio, “conformemente alla legge e in modo tempestivo”.

Il provvedimento introduce inoltre il segreto d’ufficio per chi venga a conoscenza di indagini: è vietato “divulgare a terzi qualsiasi informazione relativa a un’indagine in corso”, salvo che l’Ufficio non renda pubblici i dati o non conferisca esplicita autorizzazione. Chi ottiene, possiede o diffonde informazioni senza permesso rischia sanzioni fino a 500.000 dollari hongkonghesi di multa e sette anni di carcere. Tra le nuove fattispecie di reato si annoverano l’“ostacolo volontario” all’attività dell’Ufficio e la mancata assistenza, mentre chi agisse “in buona fede” nel supportare l’indagine beneficerà di immunità da responsabilità civile. Un altro punto chiave è la possibilità per il capo dell’esecutivo di dichiarare “luoghi proibiti” gli edifici in cui l’Ufficio opera: si tratta di una misura volta a “minimizzare i rischi per la sicurezza nazionale”, assicurano i proponenti, che precisano come non siano coinvolte abitazioni private né vi saranno “impatti irragionevoli sulla comunità circostante”.

Il permanere di forti tensioni tra Stati Uniti e Cina fa da sfondo a questa iniziativa, interpretata dagli osservatori come una mossa preventiva per tappare eventuali “scappatoie” nell’applicazione della legge e assicurare un controllo più stringente sulle attività considerate sensibili. La proposta sarà sottoposta a consultazione pubblica e a “veto negativo” in Consiglio legislativo, entrando in vigore già il giorno di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, salvo emendamenti dell’ultima ora.

Vale la pena esaminare come la propaganda ufficiale cinese stia riformulando il concetto di sicurezza nazionale: un op-ed pubblicato su China Daily in queste ore e firmato da Jane Lee, presidente del think tank filocinese Our Hong Kong Foundation, definisce la sicurezza come “multidimensionale” e condizione imprescindibile per libertà, prosperità ed evoluzione. L’autrice sostiene che cultura, economia e vita quotidiana non possano prescindere da una “rete di difesa” che coinvolga l’intera società, dalle imprese ai singoli cittadini. E ancora: equiparare sicurezza e repressione sarebbe un “pericoloso equivoco”: nella nuova narrazione, proteggere la nazione significa preservare anche “l’ecosistema finanziario” di Hong Kong, il suo ruolo di ponte globale e la “identità culturale” dei giovani. Tale retorica, veicolata attraverso media e istituzioni, serve a legittimare misure sempre più invasive come quelle ora in discussione, in nome di un’idea di sicurezza che diventa così sinonimo di stabilità e ordine pubblico.


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