Cosa significa essere filoputiniano? Quale senso può avere per un partito o un movimento europeo guardare Mosca come punto di riferimento geo-politico? Quale lezione etica o politica può apprendere un raggruppamento politico europeo da Vladimir Putin? In sintesi: quali indicazioni culturali o etiche può dare la Russia oggi? L’analisi di Elio Cadelo
Molte organizzazioni politiche europee, piccole e meno piccole, come l’Afd in Germania, la Lega e il Movimento 5 Stelle in Italia, il Rassemblement National in Francia, il PVV di Geert Wilders in Olanda, Reform di Nigel Farage in Inghilterra e molti altri hanno manifestato, o manifestano ancor oggi, simpatia verso la Russia di Putin.
Ma cosa significa essere filoputiniano? Quale senso può avere per un partito o un movimento europeo guardare Mosca come punto di riferimento geo-politico? Quale lezione etica o politica può apprendere un raggruppamento politico europeo da Vladimir Putin? In sintesi: quali indicazioni culturali o etiche può dare la Russia oggi?
La Federazione Russa si estende dalla frontiera con l’Ucraina fino all’Oceano Pacifico e al mar Glaciale Artico, dal mar Baltico fino al mar Caspio. Si tratta di un continente che ingloba la Russia europea, il Caucaso del nord e la Siberia. Per superficie è il più grande Stato al mondo che copre 11 fusi orari. Da un punto di vista geografico San Pietroburgo è più vicina a New York che non a Vladivostok e questa è più vicina a Seattle che non a Mosca. La Federazione Russa riunisce popoli e culture antichissime diverse per lingua, cultura e religione. Tra questi i Russi, i Siberiani, i Baschiri, i Careli, i Calmucchi, i Cabardino-Balcari, i Buriati, gli Osseti, i Ceceni, i Comi, i Mari e molti altri ancora. In totale la Russia ha oggi 146 milioni di abitati, ma erano circa 250 milioni nei primi del ‘900: le stragi staliniane – più o meno 50 milioni di morti – e la seconda guerra mondiale insieme a una speranza di vita molto bassa hanno quasi dimezzato in un secolo la popolazione che rimane un crogiuolo di diversità etniche e culturali che fanno della Russia una realtà a sé.
Vladimir Putin esercita il suo potere su questa composita realtà della quale fanno parte culture che poco o nulla hanno a che vedere con la tradizione europea. Anche se tra l”800 e i primi anni del ‘900 un nutrito gruppo di scrittori del calibro di Dostoevskij, Cechov, Puškin, Gogol, Tolstoj, Gor’kij e musicisti come Šostakovič, Čajkovskij, Rachmaninov, Prokof’ev, Stravinskij e Rimskij-Korsakov che s’ispirava alla cultura francese, tedesca e italiana, ha introdotto – non in Russia – ma in una ristretta cerchia della borghesia e aristocrazia russa alcuni aspetti della cultura europea, ciò non ha contribuito a creare un ponte tra la Russia e l’Europa, anzi, come vedremo, ha rafforzato uno spirito sciovinista.
Ferdinand de Ossendowski, autore di numerosi saggi, è stato giornalista e scrittore polacco che ha lavorato in Russia prima e durante la Rivoluzione Bolscevica del 1917. Tra le sue note si legge: “Tolstoj fu il primo romanziere russo a dire che il suo popolo portava Dio nella propria anima: lo definì “il corriere di Dio”… Ma prima di dedicarsi alla ricerca e alla scoperta di quei principi innovatori e nobilitanti…descrisse con sincerità spietata l’animo del contadino russo: ferocia, istinti brutali, passione primitiva, odio e una mano sempre pronta ad uccidere…”. Per Ossendowki gli scrittori che operarono a cavallo del ‘900 sono tutti colpevoli di aver dato un’anima a chi non l’ha mai avuta e di aver manipolato l’humus culturale nel quale servi della gleba, contadini, sottoproletariato urbano e classe operaia affondavano le loro radici. In altre parole, hanno descritto una Russia deformata dalla lente della letteratura europea e lontana dalla realtà. Una manipolazione culturale che ebbe fine con l’affermazione dell’Urss.
Durante quegli anni, Stalin diede l’avvio alla persecuzione non solo dei seguaci di Tolstoj ma di tutti coloro che si rifacevano alla cultura europea, ebrei compresi. L’affermazione del Realismo Socialista su ogni altra forma d’espressione culturale provocò la fuga della gran parte degli scrittori e dei musicisti che si rifugiarono in Francia e in Inghilterra. Fu in quegli anni che le strade della Russia e dell’Europa, già separate, si divisero definitivamente.
Oltre che per la repressione culturale, l’era staliniana si caratterizzò per la nascita di un’economia clandestina, parallela all’economia comunista, che però assicurava a quest’ultima una certa funzionalità contrabbandando beni occidentali e di lusso. Durante quegli anni, inoltre, si rafforzarono molte organizzazioni criminali che nel tempo divennero sempre più ricche e influenti fino a fondersi con l’economia comunista. Furono queste organizzazioni a diffondere la corruzione all’interno della Nomenklatura, la casta dominante dell’Unione Sovietica, istituendo stretti legami tra regime e criminalità.
Con la morte di Stalin, che ora Putin intende riabilitare, e l’allargamento delle maglie della “macchina del terrore”, che aveva caratterizzato quel periodo, si spianò la strada all’espansione della delinquenza: i nuovi boss si spartirono traffici e zone d’influenza mentre interi clan familiari si incaricavano di spostare beni e denaro aiutando indirettamente il regime a sopravvivere.
Da quegli anni la corruzione e l’illegalità si estesero a tutta la società sovietica e negli anni ‘80 il collegamento tra burocrazia e criminalità, in particolare tra KGB e organizzazioni criminali, si rinsaldò in maniera così profonda da segnare il destino della Russia fino ad oggi.
Il Kgb, potentissimo “Stato nello Stato”, iniziò a reclutare sistematicamente capi-mafia come informatori e agenti di influenza. In questo modo penetrava il mondo criminale utilizzandolo come strumento del regime per reprimere il dissenso, sfruttare l’”economia parallela”, fornire beni di lusso alla dirigenza comunista, compromettere e ricattare stranieri per reclutarli come informatori e agenti d’influenza al servizio del regime sovietico. Durante la Perestrojka di Michail Gorbaciov, che ebbe inizio nel 1986-87, l’economia russa cominciò ad aprirsi verso il mercato e ciò permise al Kgb e alla criminalità organizzata di sviluppare sinergie tese ad acquisire posizioni dominanti durante la transizione.
Verso la fine degli anni 80 – prima del collasso dell’Urss – il Kgb e la criminalità organizzata operarono strettamente insieme per riciclare e reinvestire in Occidente gli enormi capitali del Partito Comunista. Lo scopo era da una parte salvaguardare il potere economico e finanziario della Nomenklatura e dello stesso Kgb, dall’altra usare il denaro per infiltrarsi nelle istituzioni politiche ed economiche europee. Così, forse avvertendo l’approssimarsi del collasso dell’Urss avvenuto nel dicembre 1991, le organizzazioni criminali riciclarono ingenti risorse finanziarie, illecitamente sottratte allo Stato, in Nord America, in Europa e in Italia.
La penetrazione in tutti i settori dell’economia europea e la capacità di condizionare scelte politiche ed economiche fu così evidente e articolata che spinse Jean Ziegler a denunciare le scarse misure poste in essere dai singoli Stati a protezione della legalità e per frenare il dilagare delle mafie russe, “I cartelli della criminalità organizzata (russa) – scrive Ziegler – costituiscono lo stadio supremo e l’essenza del modo di produzione capitalistica, e beneficiano largamente della “deficienza immunitaria” dei dirigenti della società capitalistica contemporanea. La globalizzazione dei mercati finanziari indebolisce lo Stato di diritto, la sua sovranità e la sua capacità di risposta, mentre l’ideologia neoliberista, che legittima o (peggio ancora) naturalizza le pratiche delle oligarchie finanziarie mondiali, ignora la legge, debilita la volontà collettiva e priva gli uomini della possibilità di decidere liberamente della propria vita”(I Signori del Crimine, Marco Tropea Editore).
Era l’alba di una nuova èra che vedeva la comparsa sulla scena politica europea delle potenti organizzazioni russe che operavano al di fuori della legge dei singoli Stati. Nel 1990 Anatolij Aleksandrovič Sobča fu eletto sindaco di San Pietroburgo e nominò nel ‘91 suo vice Vladimir Putin la cui attività principale, come riferito dalla gran parte dei suoi biografi, fu consolidare il rapporto di collaborazione tra i servizi segreti – eredi del Kgb – e le maggiori organizzazioni mafiose. Il suo progetto era inizialmente dominare l’economia di San Pietroburgo a proprio beneficio ma quando nel 1999 conquistò la presidenza della Russia, grazie alla commistione tra servizi segreti e criminalità, il suo disegno si estese dal Pacifico all’Atlantico.
Una volta eletto, il capo del Cremlino si è servito delle organizzazioni criminali locali per scopi politici come quello di fomentare il separatismo nei Paesi post-sovietici come la Moldova, la Georgia e l’Ucraina, creare il caos in Transnistria, Abkhazia, Ossezia del Sud, Crimea e Donbass. Nel febbraio-marzo 2014, l’Fsb (il Servizio Federale per la Sicurezza della Federazione Russa), utilizzò le mafie locali, oltre alle forze speciali, per annettere la Crimea nei cui uffici di governo furono insediati molti dei capi-mafia che parteciparono ai disordini. Nell’Ucraina orientale i sodalizi mafiosi, controllati dai servizi russi, furono impiegati nel 2014 per sostenere insurrezioni armate antigovernative e portare a termine sabotaggi e attacchi terroristici.
Una pratica che, secondo i servizi d’intelligence europei, continua tutt’oggi ad opera del Gru, il servizio di intelligence militare russo. Dall’inizio del 2024, infatti, i servizi russi hanno intensificato una campagna di attentati con esplosivi, incendi dolosi e sabotaggi alle infrastrutture in tutta Europa. Ad esempio: in Svezia si sono verificati molteplici deragliamenti di treni; un vasto incendio ha colpito una fabbrica a Berlino della società Diehl (che fornisce armi all’Ucraina); attacchi di guerra elettronica hanno scombussolato il traffico aereo nella regione del Mar Baltico ma anche in Italia colpendo istituzioni e banche; in Germania i servizi americani e tedeschi hanno sventato un tentativo dell’intelligence russa di assassinare l’amministratore delegato della Rheinmetall, una delle principali aziende tedesche del settore della difesa. I servizi russi si avvalgono soprattutto di gruppi criminali e delinquenti comuni come proxy per compiere omicidi e attentati ma anche per creare problemi di ordine pubblico. Lo scopo di questa guerra ibrida, che potrebbe diventare nei prossimi mesi più violenta, ha una duplice finalità: spingere i decisori politici europei a cessare l’assistenza militare e finanziaria all’Ucraina e, secondo molti analisti, compiere azioni destabilizzanti per raccogliere informazioni utili al fine di pianificare un’offensiva terroristica futura di più alta intensità, individuando bersagli vulnerabili e osservando le reazioni delle Autorità dei Paesi colpiti.
Anche in Italia la presenza della Russia è ben radicata. Si stima, infatti, che il budget di RussiaToday, organo d’informazione finanziato dal Cremlino tradotto in 25 lingue, abbia sfiorato i 900 milioni di euro nel biennio 2022-2024, diffondendo 180 video di propaganda solo sull’Ucraina che sono stati messi in circolo grazie a una imponente presenza di un personale composto da circa 2mila unità. (I dati sono del sito “Stop Propaganda russa”, coordinato da forze politiche laiche, come Azione, i Radicali di + Europa, il Partito Socialista, insieme a realtà dell’associazionismo, dal Mean, il Movimento europeo per un’azione non violenta a Base Italia, fino al Comitato Ventotene).
La gran parte dell’élite della Russia putiniana proviene, oltre che da organizzazioni mafiose, dalla polizia segreta e da altri apparati di sicurezza. Questa struttura di potere, però, è per sua natura instabile e priva di prospettive di lungo periodo. Per giustificare il governo e tenere unite le diverse anime che compongono la Federazione Russa, che rischia di deflagrare in qualsiasi momento in una miriade di movimenti separatisti diretti proprio dalle organizzazioni criminali locali, Putin ha riesumato dagli archivi della storia l’obiettivo di riportare la Russia ai fasti di grande potenza globale – che l’Occidente le avrebbe tolto fraudolentemente – e per questo chiama il popolo russo a unirsi nella difesa dell’integrità territoriale minacciata dall’Occidente e dalla Nato.
Da capo politico Putin si è trasformato in una sorta di “profeta”, di “salvatore della Madre Russia” minacciata ancora una volta dai nemici di sempre: l’Occidente.
Ecco qualche frase estrapolata dai suoi discorsi: “Dopo la disgregazione dell’Urss, l’Occidente ha deciso che il mondo avrebbe sempre dovuto rassegnarsi al suo diktat: L’Occidente pensava che la Russia si sarebbe sciolta…e invece …” (dal discorso tenuto il 22 settembre 2022 in occasione dell’ingresso nella Russia delle Repubbliche del Donbass e delle regioni di Zaporizhie e Kherson). “Sottolineiamo che senza una forte e sovrana Russia è impossibile qualsiasi ordine mondiale solido….Una serie di Stati stanno smantellando le norme della morale e l’istituto della famiglia..Noi invece” scegliamo la vita, saremo il baluardo dei valori tradizionali (dal messaggio sullo stato della Nazione, febbraio 2024).
Supporre che l’idea di riportare la Russia agli “antichi fasti” sia propaganda insensata di un regime che intende guadagnare il consenso popolare per nascondere i disastrosi risultati della gestione del Paese, sarebbe un errore. La Russia, come si è detto, non è solo Mosca e San Pietroburgo ma un insieme di realtà composite e conflittuali, che convivono non sempre pacificamente, governate perlopiù da gruppi di potere poco trasparenti. Ciò fa sì che una sconfitta sul campo in Ucraina o l’accettare una pace di compromesso, potrebbe avere gravi conseguenze interne e provocare l’implosione del sistema.
Ma c’è ancora un altro elemento da prendere in considerazione. Già nel 1997 Zbigniew Brzezinski, consigliere per la Sicurezza Nazionale durante la presidenza di Jimmy Carter, avvertiva che lo scenario più pericoloso sarebbe stato un’alleanza “anti- egemonica” tra Cina, Russia e Iran, uniti non da ideologia comune ma da una profonda avversione verso l’Occidente. Tale previsione sembra oggi materializzarsi. Secondo un rapporto del Council on Foreign Relations, questo “filo rosso” che lega questi tre Paesi rappresenta la minaccia più grave agli interessi occidentali degli ultimi sessant’anni. Gli sforzi congiunti per minare le politiche americane ed europee hanno compiuto progressi notevoli negli ultimi anni e prevedibilmente proseguiranno nel prossimo futuro. Le strategie di questo inedito raggruppamento non mirano a costruire un ordine internazionale multipolare, ma una nuova leadership mondiale.
Questo “nuovo” scenario, che si sta dispiegando sotto i nostri occhi, vede oggi il Cremlino interpretare la politica (interna ed estera) come una vera e propria guerra tra bande che si fronteggiano non per la conquista di sfere di influenza, ma per l’egemonia. In altre parole, più che sedersi intorno ad un tavolo diplomatico per giungere a soluzioni condivise e durature, Putin, similmente alle organizzazioni criminali, alza continuamente la posta in gioco per umiliare l’interlocutore non concedendogli nulla: tutto ciò nella certezza che le minacce crescenti, insieme alle sconfitte sul campo, piegheranno presto l’Occidente.
In conclusione: date queste premesse è difficile supporre che in tempi brevi si possa giungere in Ucraina a una pace duratura. Al contrario tutto lascia supporre che nel prossimo futuro si potrebbe aprire uno scenario politico molto pericoloso e ricco di incognite.