Un’operazione di intelligence turca ha smascherato in cinque città di Turchia (Istanbul, Izmir, Manisa, Balikesir e Bursa) una rete di spionaggio gestita da sette cittadini cinesi. Usando sofisticati dispositivi camuffati da torri mobili, intercettavano comunicazioni di membri della diaspora uigura e di funzionari turchi
Le autorità turche hanno annunciato di aver smantellato una delle più sofisticate reti di spionaggio mai scoperte nel Paese, ordita da sette cittadini cinesi che, per oltre cinque anni, hanno utilizzato stazioni-base telefoniche finte per intercettare comunicazioni di membri della comunità uigura e di funzionari pubblici turchi.
La scoperta
Il servizio di intelligence turco ha colto i sospetti con le mani nel sacco durante controlli in strada: nei veicoli dei sette sono stati rinvenuti dispositivi IMSI-catcher, apparecchiature che simulano torri di telefonia mobile e catturano automaticamente i dati di tutti i telefoni nel raggio di 50 metri. Grazie all’operazione, pianificata con intercettazioni e pedinamenti, è stato documentato il continuo passaggio dei veicoli in prossimità di obiettivi sensibili, tra cui sedi associative uigure e uffici governativi.
Tecnologie e logistica ai massimi livelli
Ciò che distingue questa cellula spionistica da quelle solitamente attribuite a Stati come Israele o Iran è l’impiego di strumentazioni auto-prodotte e la totale indipendenza operativa. I sette non si sono appoggiati a detective privati locali né a collaboratori esterni: il loro complesso arrivo in Turchia – uno portava solo antenne, un altro sole batterie, altri i componenti rimanenti – dimostra meticolosità e capacità di occultamento uniche.
L’architetto dell’operazione
Stando ai media turchi, il presunto capo rete, identificato come Zhenhua Liu, ha varcato il confine turco cinque anni fa. Con l’apertura di due società di comodo (una di logistica e un’impresa di import-export), ha affinato la propria conoscenza del turco e tessuto relazioni indispensabili per dirigere le attività senza destare sospetti. Il gruppo si sarebbe finanziato attingendo illecitamente dai conti correnti di ignari cittadini turchi, compromessi attraverso hacking mirato. I proventi delle rapine informatiche servivano poi all’acquisto di altri componenti elettronici e al sostentamento della rete, che definivano “autonoma” e “a costo zero” per Pechino.
Obiettivi: uiguri e funzionari turchi
Il principale bersaglio erano gli uiguri rifugiati in Turchia, visti da Pechino come potenziali dissidenti o organizzatori di movimenti di opposizione. Le intercettazioni puntavano a raccogliere dati sulle loro comunicazioni, contatti internazionali e spostamenti. Accanto a loro, venivano monitorati funzionari pubblici turchi, al fine di scoprire canali di dialogo con la diaspora uigura o altre informazioni sensibili.
Il confronto con altre operazioni
I vertici di intelligence hanno sottolineato come la “cellula cinese” operasse in modo diverso dalle reti scoperte in passato: quelle israeliane o iraniane ricorrevano in genere a investigatori privati, pedinamenti visivi e posizionamento di gps sui veicoli, mentre qui ogni fase — dalla progettazione alla realizzazione tecnica — è stata gestita internamente, con un taglio decisamente “high tech”. L’inchiesta, ancora in corso, punta ora a ricostruire i canali di finanziamento, i contatti in patria e eventuali altri supposti collaboratori. L’analisi forense dei dispositivi sequestrati potrebbe fornire ulteriori indizi sul grado di coinvolgimento di agenzie cinesi ufficiali e sul destino delle informazioni già sottratte nel corso di questi anni.