In risposta al missile balistico ipersonico che ha colpito l’aeroporto Ben Gurion, le forze aeree israeliane hanno lanciato un secondo attacco in Yemen, distruggendo l’aeroporto della capitale e colpendo infrastrutture energetiche strategiche. L’operazione si inserisce nella strategia di “sette volte più forte”, annunciata dal ministro della Difesa Israel Katz dopo l’attacco Houthi a Tel Aviv. Questo nuovo raid, realizzato a meno di 24 ore dal bombardamento del porto di Hodeida, segna un’escalation significativa nella proiezione di potenza israeliana verso uno scenario sempre più regionale del conflitto. L’analisi del generale Caruso, consigliere militare della Sioi
Le forze aeree israeliane hanno condotto oggi un nuovo attacco contro obiettivi strategici in Yemen, devastando l’aeroporto internazionale di Sana’a, diverse centrali elettriche e installazioni militari nella regione. Questa operazione militare, che segue il bombardamento di ieri sul porto di Hodeida, rappresenta un’escalation significativa nella risposta all’attacco missilistico degli Houthi che domenica ha colpito l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, riuscendo a superare i sofisticati sistemi di difesa israeliani.
Secondo le informazioni diffuse dal portavoce dell’Idf, l’attacco ha portato alla “completa chiusura” dell’aeroporto di Sana’a, distruggendo il terminal passeggeri, comprese le sale partenze e arrivi, nonché diversi aerei civili presenti nello scalo. Le immagini mostrano enormi colonne di fumo che si alzano da diversi punti della capitale yemenita, mentre le squadre di difesa civile cercano di spegnere gli incendi divampati nelle strutture colpite.
L’operazione ha colpito numerosi obiettivi strategici, tra cui: L’aeroporto internazionale di Sana’a, completamente messo fuori uso, con la distruzione del terminal passeggeri e di tre dei sette aerei a disposizione degli Houthi. Il collegio dell’aviazione a ovest della città. Le centrali elettriche di Dhahban, Hezyaz e Asr, causando blackout in gran parte della capitale. Il cementificio di Amran, descritto dall’IdfF come “un’importante risorsa economica per il regime terroristico degli Houthi utilizzata per costruire tunnel e infrastrutture militari”. Depositi di armi nell’area di Fag Attan
Per quanto riguarda il coordinamento con gli Stati Uniti, non ci sono conferme dirette di un coinvolgimento attivo americano nell’attacco odierno all’aeroporto di Sana’a, a differenza di quanto avvenuto ieri nell’operazione contro il porto di Hodeida, descritto come un “attacco coordinato di Usa e Israele”.
Un elemento significativo dell’operazione è stato l’avviso preventivo emesso dall’Idf attraverso il portavoce per i media arabi Avichay Adraee, che ha ordinato ai residenti di “evacuare immediatamente” l’area dell’aeroporto di Sana’a. Nonostante questo avvertimento, il ministero della Salute controllato dagli Houthi riporta che almeno tre persone sono state uccise e 38 ferite negli attacchi.
Questo secondo attacco in meno di 24 ore dimostra la capacità di Israele di proiettare potenza militare a lunga distanza, colpendo obiettivi a oltre duemila chilometri di distanza. Questa capacità, che richiede supporto logistico e operazioni complesse di rifornimento in volo, evidenzia il salto qualitativo nella proiezione di forza israeliana nella regione.
Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha avvertito che l’Iran “si assumerà la responsabilità diretta” e “subirà tutte le conseguenze” per qualsiasi attacco degli Houthi contro Israele, sottolineando il legame che Tel Aviv vede tra Teheran e i ribelli yemeniti. La risposta degli Houthi non si è fatta attendere: il membro dell’ufficio politico degli Houthi, al-Bukhaiti, ha avvertito Usa, Regno Unito e Israele di “aspettare la risposta” del gruppo, dichiarando che le operazioni di supporto alla Striscia di Gaza continueranno “qualunque sia il sacrificio”.
Va notato che gli obiettivi colpiti non includevano siti missilistici, probabilmente per la difficoltà di localizzarli con precisione in assenza di forze di terra che possano designare gli obiettivi. Israele ha preferito colpire infrastrutture strategiche e strutture di supporto logistico che limitino le capacità operative degli Houthi.
Questo attacco giunge in un momento particolarmente delicato, alla vigilia dell’imminente visita del presidente Trump nei paesi del Golfo, prevista per metà maggio. La visita potrebbe rappresentare un’opportunità per espandere gli Accordi di Abramo, contribuendo potenzialmente all’isolamento dell’Iran, considerato da Israele e Stati Uniti il vero regista dietro le azioni degli Houthi.
Nel frattempo, lo scenario mediorientale si complica ulteriormente con l’annuncio di Netanyahu di essere “alla vigilia di un’invasione massiccia di Gaza”, approvata all’unanimità dal gabinetto di sicurezza israeliano. Il premier israeliano ha dichiarato che l’operazione avverrà “secondo le raccomandazioni dello Stato maggiore”, aggiungendo un ulteriore elemento di tensione in uno scacchiere già sull’orlo dell’esplosione.
L’attacco all’aeroporto di Sana’a e alle altre infrastrutture yemenite dimostra la determinazione israeliana a rispondere con forza a minacce provenienti da qualsiasi direzione, nonostante i rischi di un’ulteriore escalation regionale. Al momento la strategia israeliana sembra basarsi principalmente sulla forza aerea, evitando l’impiego di forze di terra che sarebbero necessarie per identificare con precisione i siti missilistici nascosti tra le montagne yemenite.
In questo complesso scenario, la tensione rimane altissima, con il rischio che il conflitto possa ulteriormente espandersi, coinvolgendo nuovi attori e complicando gli sforzi diplomatici per una stabilizzazione dell’area. Gli occhi sono ora puntati sulla visita di Trump in Medio Oriente, che potrebbe segnare un punto di svolta nelle dinamiche regionali o accelerare un’ulteriore polarizzazione tra i blocchi contrapposti.