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Le tariffe di Trump riaprono il dibattito sulle regole del Wto. Ecco perché

Ngozi Okonjo-Iweala, direttrice generale dell’Organizzazione mondiale del commercio, ha sollecitato i Paesi membri a negoziare una definizione più rigorosa dell’eccezione per la sicurezza nazionale. Si tratta di una clausola di epoca bellica utilizzata di recente dagli Stati Uniti per giustificare minacce tariffarie senza precedenti

Ngozi Okonjo-Iweala, direttrice generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), ha invitato i Paesi membri a negoziare “una definizione più attenta” dell’eccezione per la sicurezza nazionale, clausola di epoca bellica che il presidente statunitense Donald Trump ha invocato per motivare una serie di minacce tariffarie.

Secondo le regole del Wtpo gli Stati possono ricorrere all’eccezione per la sicurezza nazionale, introdotta durante la Guerra Fredda per permettere misure altrimenti incompatibili con gli obblighi commerciali, ma “ora dobbiamo stabilire con precisione cosa possa davvero rientrare in questa deroga”, ha dichiarato l’economista in un’intervista esclusiva a Nikkei Asia. Pur senza fare nomi, Okonjo-Iweala ha riconosciuto la complessità del tema: “È uno degli argomenti più ostici, che i membri dovranno affrontare nel processo di riforma del sistema di risoluzione delle controversie”.

Le sue affermazioni arrivano in un momento in cui il ruolo arbitrale del Wto è sotto pressione. Dopo l’annuncio di tariffe globali al 10% su tutti i partner commerciali da parte di Washington e di dazi fino al 145% nei confronti della Cina, l’amministrazione statunitense aveva giustificato tali misure con ragioni di sicurezza. Pur avendo concordato una sospensione di 90 giorni, lo stallo dell’organo d’appello – dovuto al veto della precedente amministrazione Trump sulle nomine dei giudici – ha di fatto paralizzato il sistema di contenzioso.

Okonjo-Iweala, ex ministra delle Finanze nigeriana, ha sottolineato che la riforma deve avvenire “insieme e in cooperazione con gli Stati Uniti”, perché l’attuale “crisi” rappresenta un’opportunità per affrontare questioni mai toccate, come le critiche alle pratiche commerciali sleali e l’insufficiente coinvolgimento dei Paesi in via di sviluppo. In questo contesto, ha indicato anche la necessità di rivedere i criteri per lo status di “Paese in via di sviluppo”. In passato Trump aveva accusato la Cina di sfruttare indebitamente quel riconoscimento, considerata la sua massa economica. Diversamente da istituzioni come Fondo monetario internazionale e Banca mondiale, il Wto non dispone di una definizione chiara di “economia in via di sviluppo”: tale lacuna ha permesso ad alcuni Stati di beneficiare di trattamenti speciali e differenziati, che li sollevano da obblighi o ne posticipano l’adempimento.

“Nella riforma dovremmo stabilire a quale livello di prodotto interno lordo pro capite un Paese non ha più bisogno di aiuti e può implementare da solo gli accordi, senza ricorrere alle clausole speciali”, ha spiegato Okonjo-Iweala, senza citare esplicitamente la Cina. “Ciò che conta è l’accesso a questi strumenti, non tanto l’etichetta di ‘in via di sviluppo’ o ‘sviluppato’. Questi sono soltanto nomi”.


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