Un possibile incontro tra Putin e Zelensky, previsto per il 15 maggio in Turchia, apre uno spiraglio nella crisi ucraina. Ma la storia insegna che senza coraggio politico e visione condivisa, le strette di mano rischiano di restare solo simboli vuoti. Oggi, come ieri, serve andare oltre la propaganda e riscoprire la diplomazia come strumento di salvezza, anche tra nemici. L’opinione di Elisabetta Trenta
Negli ultimi giorni, qualcosa si è mosso. Dopo mesi di guerra e retorica muscolare, dalla Russia è giunta una proposta di dialogo: Vladimir Putin ha manifestato la disponibilità a incontrare Volodymyr Zelensky il 15 maggio, in Turchia. Il presidente ucraino, pur chiedendo con urgenza un cessate il fuoco, ha risposto: “Siamo pronti”.
Parole importanti, che aprono uno spiraglio. Ma che da sole non bastano. Perché la storia recente ci ha già insegnato che una stretta di mano può restare un’immagine vuota, se dietro non c’è la volontà politica di cambiare davvero le cose.
Nel 2021, sempre a Ginevra, Biden e Putin si incontrarono in un clima di attesa simile. Ma non ne scaturì nulla. Nessun percorso concreto, nessuna visione condivisa. Solo una foto di rito. Nessuno dei due osò mettere in discussione le proprie certezze. L’incontro passò e la guerra arrivò.
Oggi, davanti alla possibilità di un confronto diretto tra Putin e Zelensky, la speranza è che quel copione non si ripeta. Che entrambi, pur da posizioni lontanissime, abbiano il coraggio di assumersi un rischio reale, come seppero fare Ronald Reagan e Michail Gorbaciov negli anni più tesi della Guerra Fredda. Non firmarono la pace quel giorno, ma cambiarono il clima. Si ascoltarono. Si riconobbero come interlocutori. E, così facendo, crearono le condizioni perché il futuro fosse meno ostaggio della paura.
C’è bisogno oggi dello stesso spirito. Perché non c’è trattativa possibile se uno dei due cerca solo di umiliare l’altro. E non c’è pace duratura se non si riconosce il dolore e la dignità di tutte le vittime.
La memoria della Seconda guerra mondiale – che la Russia ha commemorato il 9 maggio come “Giorno della Vittoria” – ci ricorda che i conflitti si vincono anche con l’intelligenza politica, con la capacità di scegliere la via più difficile: quella del compromesso onorevole. Non si può celebrare la liberazione dell’Europa mentre si bombardano le sue città. Ma non si può nemmeno immaginare un futuro senza costruire ponti, anche con chi oggi sembra inaccettabile.
Putin dice di voler trattare. Zelensky risponde che è pronto. Il mondo osserva. E spera che, questa volta, dalle parole nasca un processo vero. Che non sia solo strategia, ma una scelta di responsabilità.
Ai due leader, allora, un ideale suggerimento: non abbiano paura del confronto. Non si facciano guidare dal timore di sembrare deboli. La vera forza, oggi, è saper fermare la distruzione. È saper uscire dall’angolo e scegliere la politica, non come propaganda, ma come arte della possibile salvezza.