Washington tira dritto sulla revoca dei visti per gli studenti cinesi. Una mossa che racconta il difficile equilibrio tra la necessità di proteggere tecnologie sensibili e il rischio di danneggiare il tessuto collaborativo e innovativo delle università americane
Come contrastare l’influenza e lo spionaggio cinesi nelle università senza gettare ombre su accademici e studenti innocenti? È l’interrogativo che si pone ormai da anni il controspionaggio degli Stati Uniti, preoccupato sia delle attività di raccolta informativa su tecnologie sensibili sia da quelle di monitoraggio dei cittadini cinesi all’estero per evitare che si allontanino dalle direttive del Partito comunista cinese.
Il tema è tornato caldo dopo la decisione dell’amministrazione presieduta da Donald Trump di revocare i visti degli studenti cinesi negli Stati Uniti, nata proprio da preoccupazioni legate alo spionaggio. Basterà per infliggersi un duro colpo all’intelligence cinese? O rischierà di costare agli Stati Uniti la capacità di influenzare, se non addirittura reclutare, cittadini cinesi che studiano nei college e nelle università del Paese?
Come ha spiegato a Formiche.net il professor Enrico Fardella dell’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, la mossa dell’amministrazione Trump ha un duplice obiettivo: colpire internamente atenei come Harvard e NYU, fortemente dipendenti dalle rette e dai programmi di ricerca congiunti con la Cina, e indebolire dall’esterno la “testa di ponte” accademica del Partito comunista cinese.
La svolta sui visti rappresenta per certi versi un rafforzamento della “China Initiative” lanciata dal dipartimento di Giustizia nel 2018, sotto la prima amministrazione Trump: erano finiti sotto indagine migliaia di scienziati sospettati di nascondere legami con la Cina e la maggior parte dei casi è stata archiviata per mancanza di prove. Così, il programma è stato abbandonato nel 2022, un anno dopo che Joe Biden è succeduto a Trump alla presidenza degli Stati Uniti: l’amministrazione Biden ha rilevato come l’iniziativa avesse generato una “percezione dannosa” di pregiudizio razziale.
Ma tanto è bastato perché diventasse un “fattore di spinta significativo” per l’esodo di scienziati cinesi negli ultimi anni, come raccontato da uno studio della Stanford University pubblicato lo scorso luglio. Senza dimenticare le vite e le carriere accademiche rovinate, le ricerche interrotte e la paralisi della comunità scientifica soprattutto per quanto riguarda la collaborazione tra Stati Uniti e Cina.
Nicholas Eftimiades, ex funzionario dell’intelligence statunitense e tra i grandi esperti di spionaggio cinese, ha spiegato a Politico che la mossa di Trump potrebbe avere un’efficacia limitata contro lo spionaggio economico.“Se l’obiettivo è togliere dei giocatori dal campo, lo capisco. Ha perfettamente senso”, ha detto. “Ma se l’obiettivo è limitare l’accesso alla tecnologia, non è il modo più efficace per gestire una situazione di questo tipo”. La spiegazione è semplice: la Cina probabilmente risponderebbe inviando risorse nelle università britanniche e australiane che dispongono di competenze tecnologiche simili e collaborano regolarmente con gli atenei statunitensi.
Sempre Politico ha intervistato Susan Miller, sei volte capocentro della Central Intelligence Agency tra Russia, Cina, Medioriente e Asia. “Dobbiamo gestire meglio i numeri e fare un lavoro più attento nell’esaminare la provenienza di alcuni di questi studenti” ha affermato dicendosi però contraria a un divieto totale per tutti gli studenti cinesi. Ogni restrizione, ha spiegato, deve essere bilanciata con il vantaggio discreto ma importante in termini di soft power che deriva dall’accogliere studenti provenienti dalla Cina: “Molti di questi studenti vengono qui e diventano pro-democrazia”, ha spiegato.
Secondo Eftimiades c’è la possibilità che i cittadini cinesi negli Stati Uniti possano essere reclutati dai servizi di intelligence americani come risorse contro Pechino anche sfruttando un’eventuale apertura verso il modello democratico maturata durante il periodo nel Paese. Ma il loro valore potrebbe essere limitato, ha detto. “Se sei ridotto a fare questo, non è una grande capacità di intelligence”, ha affermato. “Non è come reclutare qualcuno che fa parte dei ranghi interni dell’Esercito popolare di liberazione”. Anche se, va detto, non sai mai che cosa può portare in dono un nuovo amico.
Intanto, il dipartimento di Stato resta fermo sulla sua linea nonostante le proteste di Pechino. La portavoce Tammy Bruce ha dichiarato ieri in un briefing con i giornalisti che “l’amministrazione Trump è focalizzata sulla protezione del nostro Paese e dei nostri cittadini salvaguardando la sicurezza nazionale e la sicurezza pubblica attraverso il nostro processo di rilascio dei visti”.