Ventisette anni dopo la fine della Guerra Fredda, la Nato torna alle sue origini. Al Summit dell’Aja, tra il 24 e il 25 giugno 2025, i leader dell’Alleanza Atlantica hanno messo da parte le lunghe dichiarazioni retoriche del passato per concentrarsi sull’essenziale: come difendere un miliardo di cittadini da una Russia che si riarma a ritmi impressionanti e da un’alleanza sino-russa che sta ridisegnando gli equilibri globali. L’analisi del generale Ivan Caruso, consigliere militare della Sioi
Il Summit Nato dell’Aja del 24-25 giugno 2025 passerà alla storia come uno dei più significativi dalla fine della Guerra Fredda. In una dichiarazione finale sorprendentemente concisa – solo cinque paragrafi contro le decine di pagine del passato – i leader dell’Alleanza hanno sancito una trasformazione epocale: l’impegno a destinare il 5% del Pil alla difesa entro il 2035, più che raddoppiando l’attuale target del 2%.
L’Arrivo in ritardo di Trump e la nuova dinamica atlantica
Il Summit si è aperto in un clima di particolare tensione internazionale, con il presidente americano Donald Trump che è arrivato nei Paesi Bassi pochi giorni dopo aver preso la decisione di lanciare attacchi sui siti nucleari iraniani e ore dopo aver annunciato un cessate il fuoco nel conflitto Israele-Iran. L’arrivo di Trump, previsto per il tardo pomeriggio del 24 giugno, ha dovuto fare i conti con la complessa situazione mediorientale che rischiava di dominare le ripercussioni del Summit con i suoi attacchi militari sull’Iran, che comunque gli ha consentito di partecipare alla cena iniziale allo stesso tavolo con i reali d’Olanda e la Premier italiana Giorgia Meloni.
Come ha sottolineato il segretario generale Mark Rutte nelle sue osservazioni di apertura alla sessione dei leader: “Presidente Trump, caro Donald, tu hai reso possibile questo cambiamento. La tua leadership in questo ambito ha già prodotto mille miliardi di dollari in spese aggiuntive da parte degli alleati europei dal 2016. E le decisioni di oggi produrranno trilioni in più per la nostra difesa comune, per renderci più forti e più equalizzando la spesa tra l’America e gli alleati dell’America.”
Il piano del 5%: una rivoluzione finanziaria
La decisione di portare la spesa per la difesa al 5% del Pil rappresenta un salto quantico. Come specificato nella dichiarazione finale, questo obiettivo si articola in due componenti: almeno il 3,5% del Pil destinato alle spese militari tradizionali secondo la definizione Nato, e fino all’1,5% del Pil per investimenti in infrastrutture critiche, cybersicurezza, preparazione civile, innovazione e base industriale della difesa.
Le resistenze e le diverse percezioni della minaccia
Nonostante l’accordo formale, sono emerse significative differenze di vedute tra gli alleati, riflesso di diverse percezioni della minaccia russa e di complesse dinamiche di politica interna.
Il caso più emblematico è quello della Spagna. Come riportato nei documenti del Summit, il Premier Pedro Sánchez ha sostenuto che il suo paese può raggiungere gli obiettivi di capacità Nato spendendo solo il 2,1% del Pil, ben al di sotto del target del 3,5%. Il Primo Ministro belga ha commentato con sottile sarcasmo che se Sánchez riuscirà a farlo “sarà stato geniale”.
Anche l’Ungheria ha espresso posizioni critiche, con il Premier Viktor Orbán che ha dichiarato: “Se l’UE non riconsidererà i criteri dell’Unione che possono influenzare la definizione dei bilanci nazionali, nessun paese europeo sarà in grado di raggiungere gli obiettivi fissati dall’Alleanza. Il problema per l’Europa non è la sicurezza ma la perdita di competitività”.
L’industria della Difesa: la nuova guerra di produzione
Un pilastro centrale del Summit è stato il rilancio dell’industria della difesa. Come ha dichiarato Rutte: “Dobbiamo vincere questa nuova guerra di produzione. È semplicemente impensabile che la Russia, con un’economia 25 volte più piccola di quella Nato, riesca a superarci in produzione e potenza di fuoco”. Il Piano d’Azione Aggiornato per la Produzione di Difesa prevede un aumento quintuplicato delle capacità di difesa aerea, migliaia di nuovi carri armati e veicoli corazzati, milioni di munizioni d’artiglieria e l’integrazione di tecnologie emergenti attraverso i Nato Innovation Ranges. I Nato Innovation Ranges rappresentano una delle innovazioni più significative emerse dal Summit: si tratta di poligoni sperimentali dove testare e validare nuove tecnologie militari in ambienti operativamente realistici. Questi centri, istituiti da Estonia, Finlandia, Italia, Lettonia, Paesi Bassi e Svezia, permetteranno di accelerare l’integrazione di tecnologie emergenti nelle operazioni militari e di includere fornitori non tradizionali nella base industriale della difesa.
Il rapporto con l’Ucraina: sostegno incondizionato
Il Summit ha confermato il sostegno incondizionato all’Ucraina, con Rutte che ha annunciato come gli alleati europei e il Canada abbiano già promesso oltre 35 miliardi di euro per il 2025, superando i 50 miliardi dell’intero 2024.
Il Presidente Zelensky, presente al Summit, ha sottolineato come l’Ucraina stia trasformandosi da “consumatore di sicurezza” a “produttore di sicurezza”, con particolare riferimento alla sua industria dei droni, ora tra le più avanzate al mondo.
La cooperazione con l’Unione europea
Il Summit ha evidenziato un livello di cooperazione Nato-Ue senza precedenti. La presenza della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen al Forum dell’Industria della Difesa ha simboleggiato questa nuova fase. Il piano europeo “Readiness 2030” promette di sbloccare fino a 800 miliardi di euro per la difesa, integrando gli sforzi Nato. Questa cifra ambiziosa apre interrogativi cruciali sulla capacità dell’Unione Europea di affrontare con rinnovato vigore e maggiore flessibilità il tema del debito comune europeo per la difesa collettiva, superando le tradizionali resistenze che hanno finora limitato l’integrazione fiscale europea in ambito militare.
Una dichiarazione breve per tempi di crisi
La brevità della dichiarazione finale – in netto contrasto con i lunghi documenti del passato – riflette una Nato che ha ritrovato la sua vocazione originaria: la difesa collettiva. Come osservato da diversi analisti presenti, questa concisione rappresenta un messaggio chiaro: l’Alleanza non ha più tempo da perdere in dichiarazioni retoriche, ma deve passare ai fatti.
Il Premier finlandese, particolarmente impressionante per il suo senso di responsabilità secondo i cronisti presenti, ha sintetizzato efficacemente il momento storico: “Il mondo si sbagliò dopo la Prima Guerra Mondiale, creò un equilibrio abbastanza stabile dopo la Seconda Guerra Mondiale, fu mentalmente pigro dopo la Guerra Fredda, ma ora sta di nuovo cercando un nuovo equilibrio”.
Verso il 2035: le sfide future
Il cammino verso il 5% non sarà privo di ostacoli. Le diverse situazioni economiche nazionali, le pressioni della politica interna e le differenti percezioni della minaccia russa continueranno a creare tensioni. Tuttavia, come ha sottolineato Rutte: “Se non investiamo ora, non saremo in grado di difenderci tra 3-5 anni. Se vuoi prevenire la guerra, spendi di più. Pace attraverso la forza”. Il Summit dell’Aja ha quindi segnato una svolta epocale: la Nato del XXI secolo si prepara a una nuova fase della sua storia, dove la deterrenza non sarà più solo una questione politica, ma richiederà investimenti senza precedenti e una trasformazione industriale paragonabile a quella della Seconda Guerra Mondiale.