Il Parlamento europeo dovrebbe essere periodicamente messo a conoscenza dell’attività del Mes in corso. Un primo importante passo nella giusta direzione. Una politica monetaria restrittiva, d’altronde, può essere scelta, solo se affidata, come minimo, ad organi politici che la controllano e che sono controllati dai cittadini. Il commento di Raffaello Morelli
Venerdì 7 giugno, al Convegno dei Cavalieri del Lavoro di Venezia presso la Fondazione Cini, il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ha sollevato un tema di rilievo che da anni aleggia irrisolto nel panorama italiano: la ratifica delle modifiche al trattato sul Mes, Meccanismo europeo di stabilità. Ha detto “superare la lacuna relativa alla trasparenza potrebbe essere un modo per superare un’impasse che blocca lo strumento.…Prevedendo ad esempio relazioni periodiche obbligatorie al Parlamento Europeo.”
Il tema Mes non è certo nuovo (ne ho scritto su Formiche diciotto mesi or sono), eppure è di rilievo perché non viene abitualmente dibattuto, né in Italia (unico paese a non aver dato finora via libera, bloccandone l’attuazione) né a livello Ue (ove, dominante il conformismo burocratico, la questione è trascurata). La cosa singolare, nel caso italiano, è che il tema è sotto traccia dal dicembre 2023 quando il Parlamento bocciò la ratifica di una riforma afittica (suscitando i lamenti dell’allora direttore di Repubblica Maurizio Molinari, il quale, non vedendo il problema, commentò “è stata persa un’occasione).”
Le parole del presidente Abi a Venezia sono perciò importanti, in quanto richiamano l’attenzione sul Mes e spingono a far maturare il principio che un meccanismo del genere, per stare tra quelli Ue, dovrebbe prima rispettarne i fondamenti costitutivi, di cui il primo è affidare ai cittadini le decisioni istituzionali. Per mostrare perché oggi tale principio non è rispettato dal Mes, vigente o riformato, ne ripercorro la storia in estrema sintesi. Nel 2010, a seguito della grande crisi Usa e della successiva recessione in Europa, l’Ue istituì il Fondo europeo di stabilità finanziaria, al fine di aiutare gli stati membri in difficoltà.
Una società di diritto lussemburghese, con un capitale sottoscritto dai paesi dell’Euro in proporziona a popolazione e a prodotto, con una procedura di fare prestiti nella logica dell’austerità e negoziata con il paese richiedente. Tale procedura è affidata nel momento clou ad un organo a tre, la Commissione Ue, la Bce e il Fondo Monetario Internazionale (organo conosciuto come la Troika). Di questi tre, la Bce non è un organo dell’Ue (ne fa parte solo il 70% dei suoi Stati) e il Fmi è addirittura estraneo all’Ue. Dunque una triade assai lontana dai cittadini europei, che si comporta nel rigoroso rispetto dei parametri economici nel segno dell’austerità, prescindendo dalle condizioni dei cittadini. Poi, dall’estate 2012, il Fesf venne sostituito dal Trattato del Mes, senza mutare la procedura per concedere i prestiti, troika inclusa, e distinta dalle regole Ue.
Fino al 2015 hanno usufruito del Fesf e del Mes Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro, in complesso appena oltre i 250 miliardi. Nel caso greco, una Commissione indipendente voluta anni dopo dallo stesso Mes, ha riconosciuto che gli aiuti hanno comportato anche effetti negativi sui cittadini greci. Le presidenze Bce di Draghi prima e poi della Lagarde, hanno ricondotto l’approccio al Mes in un ambito vicino ai fondamenti Ue, senza porsi però il problema di correggere il suo impianto istituzionale, che mantiene l’impronta di diritto corrispondente all’austerità. Tanto che, nello stesso periodo del cambio di Presidenza, essendosi diffusa a livello mondiale la pandemia Covid-9, in pochi mesi la Bce e in generale la Ue, hanno innovato, staccandosi dall’austerità per far fronte ai bisogni. Ma la linea di credito istituita dal Mes per la spesa sanitaria (con il ruolo decisivo alla Troika), non è stata scelta da nessun Stato .
Tratteggiata la vicenda quindicennale dello strumento Ue per fronteggiare le crisi economiche, torno al discorso del presidente Patuelli che ha riattivato in Italia il dibattito sul Mes. La proposta formulata è che il Parlamento europeo debba essere periodicamente messo a conoscenza dell’attività del Mes in corso, è un primo importante passo nella giusta direzione. Una politica monetaria restrittiva può essere scelta, solo se affidata, come minimo, ad organi politici che la controllano e che sono controllati dai cittadini. Lo impone il criterio cardine dell’Ue ed è surreale che l’Ue contenga un criterio disallineato dai principi. La questione Mes ha dunque gran rilievo politico. Rivela il continuo scontro tra la cultura liberale che ha voluto l’Ue affidata ai cittadini senza incertezze e la cultura elitaria del conformismo burocratico che si batte con ogni mezzo per conservare privilegi tentacolari e per non dare ai cittadini il controllo Ue.
Naturalmente, per realizzare tale obiettivo in prospettiva, occorre che dal Mes venga tolta la componente in contrasto con la missione Ue di imperniarsi sui cittadini. Tale rimozione non deve trasformarsi nella rinuncia ai fondi Fmi. Pertanto, il dibattito sviluppandosi potrebbe stabilire, quando il Mes eroghi fondi a membri Ue, che la Commissione Ue e la Bce forniscano adeguate garanzie per la restituzione ed inoltre si avvalgano del Fmi in veste di mero consulente esterno.
Questa soluzione conserverebbe il principio base europeo. Lo sviluppo si fonda sul dare ai cittadini la chiave delle scelte caratterizzanti l’Ue quale società impegnata ad ampliare il ricorso alla libertà. Ciò è essenziale poiché è l’esercizio dello spirito critico dei singoli cittadini che rende migliore la convivenza nel tempo e che fa maturare a passo a passo la rinuncia degli stati ai rispettivi privilegi sovrani. L’Ue non può ridursi ad una sorta di super Stato tradizionale di potere, che, come da Maastricht in poi, salvo il periodo Covid, si affida alle elites politico burocratiche chiuse nei corridoi di Bruxelles e non si preoccupa abbastanza dei cittadini.