In ogni fase di crisi con Teheran, lo Stretto di Hormuz torna al centro dell’attenzione per il rischio di escalation. Sebbene l’Iran minacci periodicamente di bloccarlo, vincoli giuridici e fattori geografici rendono tale scenario improbabile. Teheran potrebbe però ricorrere a misure belliche asimmetriche. Di fronte a possibili evoluzioni imprevedibili, l’Ue è chiamata a rafforzare la propria presenza navale per garantire la sicurezza dei traffici energetici globali. L’analisi dell’ammiraglio Fabio Caffio
Come ogni volta che Teheran è al centro di crisi internazionali, lo Stretto di Hormuz riappare sullo sfondo della scena come possibile area di scontro. In passato l’Iran ha più volte minacciato di chiuderlo al traffico commerciale internazionale ed in particolare a quello di petrolio che rappresenta circa un terzo del trasporto mondiale via mare. Più di trent’anni fa tutto il Golfo Persico ed Hormuz divennero teatro di ostilità, nell’ambito della guerra Iran-Iraq, che coinvolsero la comunità internazionale.
Le imbarcazioni dei guardiani della rivoluzione iraniani adottarono strategie aggressive anche verso i mercantili neutrali sistematicamente sottoposti a controlli nell’ambito dei diritti di belligeranza. A farne le spese fu l’Italia il cui mercantile jolly rubino della Società Ignazio Messina fu colpito nel settembre 1987 durante il passaggio dallo Stretto. I Paesi occidentali coordinandosi tra loro dislocarono in area proprie navi da guerra a protezione dei mercantili di bandiera. Da allora la presenza navale in zona non è mai venuta meno sia per l’applicazione dell’embargo Onu contro Bagdad, sia per le successive ricorrenti fasi di attrito con Teheran divenuto nel frattempo oggetto di sanzioni statunitensi per impedire lo sviluppo del programma nucleare. Numerosi sono stati negli ultimi decenni gli episodi di incontri ravvicinati tra Unità Usa ed iraniane potenzialmente idonei a costituire un casus belli.
Questo ha indotto la Francia a organizzare la missione navale europea di sorveglianza nello Stretto di Hormuz (EMASoH) cui partecipa anche la nostra Marina. La missione, iniziata nel 2020 dopo il sequestro da parte iraniana del mercantile britannico Stena Impero, si propone di proteggere da minacce asimmetriche la libertà e la sicurezza della navigazione di mercantili riconducibili ai Paesi partecipanti. In zona opera inoltre l’International Maritime Security Construct, a guida Stati Uniti-Gran Bretagna, che agisce in funzione anti-iraniana e che si è confrontata con barchini della milizia dei Pasdaran nel corso di pericolosi incontri ravvicinati.
Al di là di tali tattiche provocatorie che cosa potrebbe accadere ora?
Lo Stretto di Hormuz, dal punto di vista geografico oltre che giuridico, è uno stretto internazionale sia perché è interamente coperto dalle acque territoriali di Iran ed Oman (21 miglia è la sua ampiezza minima), sia perché collega aree di alto mare e Zee. Le navi mercantili e da guerra straniere godono al suo interno di libertà di transito senza preavviso a condizione di rispettare le prescrizioni stabilite dalla
Convenzione del diritto del mare (Unclos) ed attenersi agli schemi di separazione del traffico approvati dall’Organizzazione marittima internazionale: canali larghi ciascuno un miglio, ricadenti nelle acque territoriali dei due Paesi, separati da una zona cuscinetto (buffer zone) di due miglia. In vicinanza della penisola omanita di Musandam, i corridoi di entrata e di uscita sono tuttavia posti integralmente nelle acque territoriali dell’Oman poiché dal lato iraniano la presenza di isole rende i fondali non idonei alla navigazione. Stando così le cose, il blocco dello Stretto può essere solo considerato un’intenzione propagandistica perché impossibile dal punto di vista giuridico e irrealizzabile sul piano pratico per l’esistenza di rotte alternative di passaggio in acque omanite.
Nulla però impedirebbe a Teheran di adottare contromisure belliche verso navi da guerra e mercantili dei Paesi “belligeranti” quali campi minati o attacchi dalla costa durante il transito, anche se le capacità navali iraniane sono tutte da dimostrare. Certo, volendo immaginare uno scenario apocalittico, si può pensare a minacce occulte a mercantili di Paesi terzi che navigando sovraccarichi sono un facile bersaglio. La tattica degli Houthi in Mar Rosso d’altronde insegna come ci voglia poco a rendere insicuri e scoraggiare i traffici commerciali. Tuttavia, da parte di vari osservatori viene notato che ora più che mai l’attuale dirigenza iraniana ha interesse a mantenere aperto il transito dal choke point energetico di Hormuz per continuare a rifornire Cina e Corea del Nord e garantirsi i relativi flussi finanziari. L’evolversi della crisi in atto non è in ogni caso prevedibile. Proprio per questo l’Ue farebbe bene a preparare un suo intervento navale ad Hormuz – magari facendo propria la missione EMASoH – incentrato sul mantenimento della libertà di navigazione con modalità simili all’Operazione Aspides del Mar Rosso.