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Israele-Iran, anatomia di un attacco senza precedenti. Parla Trenta (Swansea)

Operazione con bombardamenti aerei, droni e azioni clandestine del Mossad. Nel mirino basi, impianti nucleari e leadership. Gravi le carenze tecnologiche e di controspionaggio di Teheran, spiega il professor Luca Trenta (Swansea University)

Israele ha inquadrato l’operazione lanciata ieri contro siti nucleari, basi e leadership dell’Iran come preemptive e di natura esistenziale. In realtà, lo scenario è diverso, spiega Luca Trenta, professore associato di Relazioni internazionali presso il Dipartimento di scienze politiche, filosofia e relazioni internazionali dell’Università di Swansea, nel Regno Unito, autore del libro “The President’s Kill List” (Edinburgh University Press).

In che contesto è avvenuto l’attacco?

Non è corretto definirlo un attacco strettamente preventivo o motivato da una minaccia esistenziale imminente. Arriva nel quadro di una guerra non dichiarata tra Israele e Iran in corso da decenni, intensificatasi nell’ultimo anno. Israele aveva già condotto numerose operazioni per indebolire le forze iraniane nella regione, ma non c’era un’evidente minaccia a breve termine che giustificasse un’azione preemptive nel senso classico. Iran e Stati Uniti stavano infatti preparando negoziati a Mascate, previsti per il weekend successivo.

Tecnicamente, quali elementi ha coinvolto questa operazione?

L’operazione è stata articolata su tre livelli: bombardamento aereo massiccio, uso di droni, attività covert del Mossad con una squadra operativa addirittura filmata su suolo iraniano. C’era sia l’obiettivo “preventivo” su basi militari e siti nucleari, sia la decapitazione della leadership militare iraniana e il proseguimento di assassinii mirate contro gli scienziati nucleari.

Quali conseguenze politiche apre un’operazione di questo tipo?

Dal punto di vista del diritto internazionale, si tratta di un atto di aggressione illegale: va oltre la tradizionale guerra segreta contro singoli individui, mirando all’élite militare iraniana. Inoltre, l’idea di un attacco preemptive e di un fallimento dell’accordo sul nucleare iraniano è sbagliata: l’accordo non è fallito, ma è crollato quando gli Stati Uniti si sono ritirati; e la diplomazia non è conclusa, come dimostra la trattativa imminente di Mascate.

E l’aspetto tecnico-militare dell’Iran?

L’Iran mostra debolezza sia nella tecnologia militare sia nell’intelligence sia nella risposta. Era già capitato con le uccisioni di leader di Hamas a Teheran: segnale di problemi nel controspionaggio. In generale, il confronto con Israele vede l’Iran in forte debolezza.

Un attacco simile ha un impatto psicologico sulla leadership del regime?

Un’operazione così aperta potrebbe galvanizzare il sostegno interno. Ma soprattutto rafforza la paranoia nella leadership, che teme di poter essere colpita in qualsiasi momento.

Come valuta l’effetto politico interno in Israele?

L’operazione ha avuto un chiaro rally‑round‑the‑flag effect: chi era pronto a far cadere il governo ora lo sostiene e l’opposizione ha parlato di successo, rafforzando la posizione del primo ministro Benjamin Netanyahu.

Ci sono prospettive per un’escalation?

Teoricamente, l’Iran avrebbe il diritto di risposta militare. Tuttavia, al momento la sua posizione è troppo debole, sia sul piano strategico sia su quello diplomatico. L’unica vera incognita è se la comunità internazionale riuscirà a imporre limiti o se l’uso della forza diventerà totalmente sdoganato.


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