Il contesto globale impone un aggiornamento degli obiettivi di spesa Nato e un ripensamento della strategia collettiva. L’ipotesi di alzare il tetto al 5% del Pil si lega a un disegno più ampio: ridurre la frammentazione, potenziare la cooperazione e investire in tecnologie strategiche. In gioco c’è la credibilità della deterrenza, ma anche la capacità industriale e la coesione politica dell’Alleanza. La prospettiva di Lorenzo Cesa, presidente della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della Nato
L’obiettivo del 2% del Pil in spesa per la difesa, fissato dalla Nato nel 2014 dopo l’annessione della Crimea, fu adeguato per il contesto di allora. Ma oggi quel quadro è cambiato: la guerra in Ucraina ha trasformato una minaccia potenziale in realtà. La Russia è diventata un’economia di guerra, le minacce ibride sono sempre più pervasive. Dobbiamo prepararci a un’epoca nuova, in cui la sicurezza dell’Europa non può più essere data per scontata.
Per questo l’ipotesi di innalzare l’obiettivo di spesa dell’Alleanza è non solo legittima, ma necessaria. Tuttavia, l’aumento delle risorse non basta. Serve una visione strategica comune. A esempio, in Europa esiste una frammentazione eccessiva: per ogni sistema d’arma statunitense, gli Stati Ue ne hanno in media sette. Una razionalizzazione potrebbe far risparmiare tra il 10% e il 30%, rendendo la spesa più efficace. Dobbiamo puntare a una vera difesa fondata su interoperabilità e cooperazione, come auspicava già De Gasperi.
Anche il burden sharing deve essere aggiornato: non si può misurare il contributo dei Paesi solo sul piano economico. L’Italia, ad esempio, è tra i primi per numero di uomini e mezzi dispiegati nelle missioni Nato, dal Kosovo ai Paesi baltici. La deterrenza deve rimanere uno strumento di pace, non il preludio alla guerra.
La proposta del segretario generale Mark Rutte di alzare la soglia al 5% del Pil, con quote dedicate a equipaggiamenti e ricerca, va nella giusta direzione. Le tecnologie emergenti, come l’intelligenza artificiale, saranno decisive per il futuro della difesa. Investire in ricerca significa anche rafforzare la base industriale e creare occupazione qualificata.
Naturalmente, non tutti i membri dell’Alleanza hanno le stesse capacità fiscali. Alcuni, come la Germania, dispongono di più margine. È quindi essenziale sviluppare strumenti comuni, incentivare gli investimenti privati e garantire flessibilità fiscale. L’Italia è pronta a fare la sua parte, con responsabilità e visione strategica.
(Analisi pubblicata sul numero di giugno di Airpress)