La parte lesa non rinunci a perseguire con la querela i colpevoli, noti, camuffati, ignoti che siano, del miserabile gesto di offesa, ma non aiuti l’hater a raggiungere l’obiettivo dell’eclatanza mediatica: lo spenga ignorandolo. Mandare il gesto sui giornali e in tv significa per queste personalità compulsive prendersi un pezzo di luce per un giorno. La rubrica di Pino Pisicchio
Il prof. Addeo ha tentato il suicidio, intento fortunatamente non riuscito per tempestivo intervento di carabinieri e pronto soccorso. Taddeo sembra non aver retto alla cospicua notorietà che si era ritagliato per aver vomitato orribili auspici di morte all’indirizzo dell’ incolpevole figliola settenne della presidente del Consiglio. Il mestiere dell’hater è quello di professore di tedesco negli istituti superiori italiani. Si supporrebbe, pertanto, di avere a che fare con persona dotata di strumenti culturali adeguati e di certificazioni d’idoneità a svolgere una funzione decisiva nel processo di formazione dei giovani cittadini italiani (sic!). Strumenti che, peraltro, gli avrebbero consentito di avere piena contezza di cosa stesse facendo quando metteva mano ai social per emettere vituperio.
Dunque il nesso causa-effetto non dovrebbe essere sconosciuto al professore di tedesco che, a questo punto, avrebbe dovuto prevedere gli esiti deflagranti della sua azione visto che aveva preso di mira non la dirimpettaia del suo condominio. Se il ragionamento che facciamo è giusto, allora si dovrà convenire che il clamore mediatico sollevato rappresentava proprio il risultato che il professor hater aveva voluto provocare. Poi probabilmente non avrà retto alla pressione abnorme dei media. La domanda sorge spontanea: perché, allora, lo abbiamo accontentato? Perché ne hanno parlato i giornali e le tv che, attenzione, hanno fatto così da amplificatori potentissimi perché hanno portato la notizia fuori dai social per agganciare un’altro e forse più importante bacino di attenzioni?
Il caso Addeo è clamoroso, non c’è dubbio, ma nonostante il suo clamore appare ordinario, come è usuale, in questo tempo di brutalità verbale diffusa anche in luoghi dove non dovrebbe, come la politica, l’esercizio dell’insulto, dell’ostilità , della pura cattiveria, della violenza in forma di parola che circola in rete, generata probabilmente da frustrazioni, inadeguatezze, invidia sociale e dalla viltà che il nascondimento dietro anonimato, profili falsi e nickname riesce a coprire. Il coraggio dei vigliacchi. Come difendersi da tanta violenza?
Dal punto di vista del diritto ci si muove all’interno di uno spazio antico che utilizza con l’art 595 del Codice Penale la fattispecie del reato di diffamazione, con pene che vanno dalle pecuniarie al carcere, aggravate nel caso in cui “l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad un’Autorità costituita in collegio”. Il mondo del web è coinvolto attraverso un aggancio residuale con il comma 3: “Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516”. Il web è, dunque, “un altro mezzo di pubblicità” che riceve solo di rimbalzo un’attenzione dalla legge penale senza mostrare consapevolezze particolari sulla peculiarità dello strumento usato per perpetrare il reato, ignorando, per esempio, che stiamo parlando di cyberspazio, un’entità che supera i confini nazionali. Senza contare la difficilissima rincorsa agli autori, sepolti sotto strati di rimbalzi identitari. Certo, esistono codici di comportamento a cui si attengono le maggiori piattaforme, incoraggiate anche dall’Europa , che in materia di web e digitale si è mostrata da sempre più attenta e sensibile. Ma siamo nel terreno del soft law, del diritto morbido, dell’autoregolamentazione, della rimessione al buon cuore.
Forse occorrerebbe metterci nuova mano. Tuttavia, legge penale a parte, qualche cosa si può fare: la parte lesa non rinunci certamente a perseguire con la querela i colpevoli, noti, camuffati, ignoti che siano, del miserabile gesto di offesa, ma non aiuti l’hater a raggiungere l’obiettivo dell’eclatanza mediatica: lo spenga ignorandolo. I profiler che hanno messo mano agli odiatori seriali si sono imbattuti in persone frustrate, inadeguate a reggere interazioni soddisfacenti con la comunità, dal contesto familiare precario o inesistente, persone con un livello di autostima sotto i piedi, eccetera. Mandare il gesto sui giornali e in tv significa per queste personalità compulsive prendersi un pezzo di luce per un giorno. Ecco: per cominciare spegniamo quella luce.