La decisione del Copasir di valutare la desecretazione dell’audizione su Paragon segna un cambiamento strategico verso maggiore trasparenza, spiega Niccolò Petrelli, ricercatore all’Università Roma Tre. In un mercato come quello degli spyware dominato dai privati, spesso stranieri, serve una pianificazione a lungo termine, avverte
La decisione del Copasir, presa ieri all’unanimità dai commissari, di riservarsi di desecretare l’audizione con i rappresentanti in Paragon rappresenta “un segno di mentalità più aperta e strategica, con un equilibrio migliore tra trasparenza e sicurezza nazionale”. A parlare è Niccolò Petrelli, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Roma Tre.
Come mai?
In Italia si sta iniziando a comprendere il valore di una divulgazione mirata di informazioni sulla sicurezza nazionale così come che il rifiuto categorico di divulgare qualsiasi informazione sta diventando controproducente: i costi di non comunicare aumentano e, in questo caso, la divulgazione potrebbe confermare la piena conformità alla legge dei nostri servizi.
Nella sua relazione sul caso Paragon, il Copasir suggerisce la necessità di nuovi strumenti di controllo parlamentare sull’intelligence alla luce della trasformazione digitale. E gli spyware lo dimostrano. In che situazione ci troviamo?
La trasformazione digitale rappresenta un problema globale, considerato che sono moltissimi i servizi di intelligence nel mondo che si affidano a società private per gli spyware. È un mercato controverso e, in generale, è preoccupante che un’agenzia di spionaggio si appoggi a soggetti privati, spesso stranieri, per acquisire capacità tecniche.
E in Italia?
In Italia il settore è abbastanza fiorente fin dagli anni Novanta: ci sono aziende che offrono servizi quotidiani a utenti istituzionali, anche per poche centinaia di euro al giorno per un singolo spyware. Fino agli anni Ottanta i servizi italiani si appoggiavano agli americani, ma poi il vuoto si è colmato internamente—come avvenuto con la signals intelligence decenni fa. Ora si sta lavorando anche per le capacità tecniche di raccolta, sia tramite reclutamento di profili tecnici, sia tramite investimenti mirati, sia tramite outsource con soggetti privati.
È possibile cercare un’autonomia nazionale su questi strumenti?
Il vero problema è la mancanza di una pianificazione di lungo periodo per le acquisizioni: se non esiste un programma a medio-lungo termine, un’istituzione di sicurezza nazionale è costretta a rivolgersi al mercato. Negli Stati Uniti l’Ufficio del direttore dell’intelligence nazionale ha centralizzato il procurement per tutte e 18 le agenzie, riducendo costi e rischi. Da noi il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza sarebbe in grado di fare lo stesso se ci sono alle spalle volontà politica e risorse. Servirebbe un piano di ricerca e acquisizione su 5–10 anni, con risorse dedicate.