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Phisikk du role – Sulla demografia Giorgetti ha ragione, però…

La questione del crollo demografico italiano e delle sue conseguenze per l’economia è stata posta con la giusta attenzione dal ministro dell’Economia. Ma cosa si può fare per arginare questa desertificazione umana? La rubrica di Pino Pisicchio

Il ministro Giancarlo Giorgetti, che indubitabilmente rappresenta il volto umano e razionale della Lega, e che almeno per questo dovrebbe essere ascoltato, ha posto con giusta attenzione la questione del crollo demografico italiano e delle sue conseguenze per l’economia, lanciando un allarme più forte per l’area meridionale del Paese, proiettata verso una vera e propria desertificazione umana.

Il tema non è nuovo, ovviamente: ciclicamente l’Onu pubblica il rapporto “World Population Prospects ”, un quadro di riferimento demografico globale, che è sempre foriero di warning con la solita doppia angoscia che vede da un lato l’esplosione demografica globale e dall’altro il depauperamento senza speranza dell’Occidente.

Per capirci: all’altezza del 2060 il mondo toccherà il picco dei 10 miliardi di persone, a fronte degli attuali 8,2, dati che già non suggeriscono pensieri di intimità. Dunque allarme rosso per l’esplosione demografica che fa da moltiplicatore per tutte le penurie o gli eccessi del secolo: cibo, acqua, verde, materie prime, aria pulita e, di contro, rifiuti, circolazione di veicoli, smog, megalopoli, periferie degradate, impazzimento climatico eccetera…

Diremmo, da incurabili ammalati d’immediato, “parliamo del mondo tra qualche decennio ma l’argomento non ci colpisce e poi chissà quante cose cambieranno in trentacinque anni”. Forse, ma si tratta di numeri in progress che già agiscono oggi, con gli effetti che ognuno prova sulla sua pelle: vedi al capitolo ambiente. Ma, accanto a questo warning cosmico, ecco che la nostra Istat ne lancia uno su misura per l’Italia, che ha un segno del tutto opposto: nel 2060 gli italiani saranno 53 milioni, ma nel ventennio successivo, nel 2080, crolleranno a 46 milioni. Ed è l’ipotesi più rosea perché altre autorevoli ricerche delle Nazioni Unite, come quella della Population Division, prevedono per la fine del secolo un calo a 35,5 milioni.

Per quel che ci riguarda come italiani, impressiona la distribuzione territoriale del depauperamento: mentre il Nord perderebbe “solo” un 9,5%, passando da circa 27 milioni e mezzo attuali a quasi 25, il Centro il 20,5% (perdendo quasi due milioni e mezzo di abitanti), il Sud crollerebbe del tutto, perdendo quasi il 40% dei suoi cittadini di oggi, riducendosi dai quasi 20 milioni a poco meno di 12. I demografi fissano a 2,1 figli per ogni donna fertile la soglia per il mantenimento del numero di abitanti di ogni comunità, al netto dei decessi, ma in Italia siamo all’uno virgola quattro.

A questo punto potrebbe sorgere la domanda: ma come mai, a parità di riluttanza a procreare, il Sud – che l’iconografia racconta con profusione di figliolanze in famiglie numerose – perde nella prospettiva più vicina, più del Nord? Ma è chiaro: fino ad oggi la popolazione complessiva è rimasta intorno ai 59 milioni (perdendone “solo” un milione e poco più) perché ci hanno salvati gli immigrati che, per quanto nel primo impatto incontrino – venendo dal Mediterraneo – le coste sudiste, non si fermano al Sud. Vanno al Nord, più industrializzato ed attrattivo per la forza lavoro straniera. Perché è questa la verità: se fino ad oggi abbiamo contenuto i danni di un decalage ancora più disastroso della popolazione nazionale, lo dobbiamo ai nuovi ingressi di stranieri, i cui figli sono spesso celebrati campioni sportivi, acclamati persino da Vannacci, ma non sono ritenuti degni neanche di poter accedere alla cittadinanza in cinque anni, come accadeva prima del ‘92. Allora, forse il ministro Giorgetti potrebbe provare a rivolgere il suo giusto monito al segretario del suo partito nonché vice presidente del Consiglio.

Se questa storia avesse una sua morale sarebbe quella di un avvertimento a tutta la politica in due direzioni parallele: da un lato smetterla con le pregiudiziali anti-immigratorie che forse servono a raccogliere qualche voto, ma sono antistoriche e, per paradosso anche anti-italiane. E poi mettere mano a serie politiche per la famiglia e per il Sud. Questi ultimi sono capitoli infiniti che possiamo solo citare rinviando alle cospicue biblioteche di documenti e buone intenzioni accumulati nel tempo. E ormai densi di nebbiolina polverosa.


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