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Phisikk du role – E se il Centro di Musk fosse una proposta seria?

Fino a ieri il “centro” americano ha dovuto far ricorso a risorse interne allo stesso bipartitismo per esprimere una linea politica. Fino a ieri, però. La scena politica sta cambiando precipitevolissimevolmente con il combinato disposto di tecnologie digitali e insoddisfazione per il presente. Che il pur mutevole Musk sia la persona giusta per tentare imprese di questo genere non è certo. Di certo la soap-opera, questa specie di “Pastorale Americana” senza pastori, continua. La rubrica di Pino Pisicchio

Il lessico della politica, a misurarlo con le intemerate americane, somiglia sempre più al turpiloquio cacofonico dei social, piuttosto che al linguaggio di protagonisti delle istituzioni, questo è certo. Soprattutto quando si trova a celebrare il disamore improvviso tra due tycoon, Trump e Musk, che somigliano a Gassman e Tognazzi ne “I nuovi Mostri” del ’77, in piene baruffe amorose nella trucida Hostaria trasteverina (e poi finiscono per servire a tavola la fagiolata con le cotiche con un paio di scarponi dentro. Calzettoni compresi). Ovviamente è il tema del giorno – “è divorzio definitivo? Torneranno insieme? È tutta una fiction?” le domande che fanno vibrare il petto agli osservatori politici di tutto il mondo – e lo lasciamo agli esegeti e a chi armeggia con gli aruspici. A noi interessa solo un pezzettino di questa lite americana, che ha visto volare stracci intrisi di materiale maleodorante, ed è un passaggio del signor Tesla che ha dichiarato di voler mettere su un partito suo. Lo chiamerebbe “American Party” per offrire all’80% degli elettori americani insoddisfatti del bipartitismo ruvido, l’alternativa “centrista”. Poffarbacco: gli americani che rincorrono il centro? È il mondo capovolto… Ma è una cosa possibile o è l’ennesima boutade in questa soap opera politica piena di colpi di scena?

Il sistema politico degli Usa poggia da sempre su una polarizzazione estrema tra democratici e repubblicani, che ha sempre trovato, peraltro, riscontro nella struttura sociale e territoriale degli americani, nettamente divisi tra aree metropolitane e provincia, tra territori costieri e aree interne, tra raggruppamenti etnici molto identitari. Ciononostante in passato si è cercato di mettere in campo elementi di riequilibrio per far fronte ai feroci conflitti, ma anche per guadagnare segmenti elettorali in bilico tra l’elefantino (repubblicano) e l’asinello (democratico), inglobando nei due partiti componenti “moderate”. Personalità politiche repubblicane, per esempio, come Eisenhower (presidente dal 1953 al 1961) invocavano la “terra di mezzo”, per indicare un governo con forte sensibilità sociale. Più recentemente John McCain, candidato repubblicano che si misurò con Barak Obama alle presidenziali del 2008, era considerato portatore delle istanze più vicine a una sensibilità centrista e a un’ideale di autonomia che lo portarono a contrastare nel 2016 l’avvento di Trump; così come venne considerato un repubblicano con idee centriste anche Nelson Rockefeller, vicepresidente degli Usa con Gerald Ford. Sul versante democratico vicino a visioni centriste può essere considerato negli anni Novanta Bill Clinton, che peraltro fu leader del gruppo dei Democratic Leadership Council, dichiaratamente centrista. Lo stesso Joe Biden è stato considerato un esponente centrista del Partito democratico.

Né sono mancati tentativi di formare un centro autonomo senza riuscire a produrre risultati significativi: da ultimo (risale al 2022) la nascita di Forward, un movimento dichiaratamente centrista promosso dall’ex candidato presidenziale Andrew Yang e dalla ex governatrice repubblicana del New Jersey Christine Todd Whitman.

Fino a ieri, dunque, il “centro” americano ha dovuto far ricorso a risorse interne allo stesso bipartitismo per esprimere una linea politica mentre il corpo elettorale si è abituato a fare le guerre alla maniera dei nativi americani descritti nei western di John Ford: prima di scendere in campo per il corpo a corpo si dipingevano il volto per fare la faccia truce minacciando gli scalpi dell’altra tribù.

Fino a ieri, però. La scena politica sta cambiando precipitevolissimevolmente con il combinato disposto di tecnologie digitali e insoddisfazione per il presente. Che il pur mutevole Musk sia la persona giusta per tentare imprese di questo genere non è certo. Né sappiamo se l’impresa resterà tra i suoi obiettivi oppure rappresenterà solo uno strumento dialettico nel conflitto di parole. Sicuramente Musk ha i mezzi. Adesso che ha risolto i suoi problemi debitori con le banche (13 miliardi di dollari) dopo l’acquisto per 44 miliardi di Twitter nel 2022, può prendere le giuste distanze da Trump senza subire danni immediati.

Di certo la soap-opera, questa specie di “Pastorale Americana” senza pastori, continua.


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