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Referendum, ora è chiaro. Riguarda la sinistra. La riflessione di Merlo

I referendum dell’8/9giugno erano uno strumento promosso, gestito, guidato e propagandato dalle varie sinistre italiane per regolare i conti al loro interno sotto lo stretto monitoraggio politico ed organizzativo della Cgil di Landini. Ma c’è un elemento che sovrasta tutto, e riguarda la guida politica della futura coalizione di sinistra. Al riguardo, pretendere di diritto che chi non si riconosce nella coalizione progressista si rechi alle urne oltreché sgrammaticato sotto il profilo tecnico e giuridico è anche volgare, nonché scorretto, sotto il versante politico. L’analisi di Giorgio Merlo

Lo sapevamo sin dall’inizio, come ovvio. I referendum dell’8/9giugno erano uno strumento promosso, gestito, guidato e propagandato dalle varie sinistre italiane per regolare i conti al loro interno sotto lo stretto monitoraggio politico ed organizzativo della Cgil di Landini.

Dall’indicazione del futuro candidato Premier al profilo della coalizione di sinistra e progressista per stabilire i rispettivi rapporti di forza. Era noto a tutti, del resto.

Adesso, però, abbiamo anche il timbro ufficiale. Dopo la decisione, peraltro scontata nonché legittima e corretta sotto il profilo giuridico della Presidente del Consiglio, adesso abbiamo la matematica certezza che la consultazione di fine settimana riguarda esclusivamente ed organicamente la sinistra italiana nelle sue multiformi espressioni.

Com’è noto, i quesiti sono del tutto secondari perché l’obiettivo, come ripetono ossessivamente e da mesi il duo Schlein/Landini, è quello di “ottenere un voto in più del consenso avuto dal centro destra alle elezioni politiche del 2022.” Beh, quando lo dicono apertamente i promotori principali della consultazione referendaria non c’è molto altro da aggiungere.

Ora, e al di là della legittima e del tutto comprensibile propaganda, si tratta anche di dire una parola chiara sulle modalità tecnico e politiche di questo referendum. Perché, al di là della grancassa mediatica della sinistra – i soliti talk quotidiani su La 7 con i relativi conduttori e i quotidiani schierati a sinistra – sono tre le posizioni ufficiali, nonché legittime, che si possano intraprendere in vista del voto di domenica e lunedì.

E sono anche molto semplici da descrivere. E cioè, si può votare SI, si può votare NO e ci si può astenere dal voto. Sono tre posizioni del tutto legittime e previste che non confliggono affatto con la retorica ipocrita sul voto referendario come “dovere civico”. O “dovere morale” che sia.

Perché, appunto, sono tre posizioni che attengono ad una consultazione referendaria. E chi non crede in questa battaglia referendaria perchè la ritiene addirittura dannosa ai fini della difesa degli interessi dei lavoratori o di altri soggetti, è del tutto legittimo che si adoperi per farlo fallire. Perchè lo contempla la Costituzione e le leggi che disciplinano la consultazione referendaria. Per queste ragioni, semplici ma essenziali, da ieri il referendum dell’8/9 giugno appartiene legittimamente al “campo largo” con la varie, nonchè trasparenti, posizioni che si articolano al proprio interno.

Del resto, essendo una coalizione che contempla il tutto e il contrario di tutto, è abbastanza scontato che ci siano tesi ed opinioni profondamente diversi su temi importanti che attengono all’agenda di governo. E cioè, la legislazione sul lavoro, i diritti dei lavoratori e il tema, altrettanto importante e decisivo, della regolamentazione dell’immigrazione.

Ma c’è un elemento che sovrasta su tutto e su tutti. E riguarda, appunto, la guida politica della futura coalizione di sinistra e progressista.

E quindi la sua leadership con le relative ripercussioni. Al riguardo, pretendere di diritto che chi non si riconosce nella coalizione progressista si rechi alle urne oltreché sgrammaticato sotto il profilo tecnico e giuridico è anche volgare, nonché scorretto, sotto il versante politico. Almeno riconoscerlo sarebbe un atto di onestà intellettuale.


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