Dopo il festival organizzato a Gorizia da RT, emittente russa bandita dall’Ue, Marco Lombardo, senatore di Azione, spiega a Formiche.net i rischi di questi eventi per la libertà di espressione. E rilancia la proposta di istituire uno “scudo democratico” per contrastare le ingerenze straniere, dalla propaganda finanziata ai bot sui social: “Non è censura, è difesa preventiva”
“Le democrazie liberali hanno le loro regole e, tra queste, c’è la libertà di espressione e di manifestazione del pensiero, un diritto costituzionalmente tutelato. Anche questo, però, incontra dei limiti”. A parlare a Formiche.net, commentando il festival di RT (emittente russa bandita dall’Unione europea) svoltosi nei giorni scorsi a Gorizia, è il senatore Marco Lombardo. Esponente di Azione, assieme al leader del partito, Carlo Calenda, ha recentemente presentato una proposta di legge per l’istituzione di uno “scudo democratico”. “L’evento di Gorizia non è inedito”, dice. “Ricordo che già a Bologna c’era stato il caso di un film chiaramente di propaganda russa proiettato in luoghi pubblici o comunque in spazi sotto la responsabilità del Comune. Può un soggetto pubblico farsi strumento di propaganda e disinformazione?”.
Ma come si distingue propaganda da semplice opinione dissenziente?
Le democrazie liberali devono cominciare a ragionare seriamente su quali siano gli anticorpi rispetto a strategie di propaganda e di disinformazione che non hanno nulla a che vedere con il free speech, ma molto con le minacce di guerra ibrida. In Italia c’è ancora poca consapevolezza: ne parliamo solo tra esperti, ricercatori o persone già interessate al tema, ma non a livello più ampio.
Come fare a diffondere la consapevolezza su questi temi?
Se non si raccolgono e non si portano all’attenzione dell’opinione pubblica evidenze concrete, la gente continuerà a pensare che “voi siete i censori”. In realtà, non è censura. Piuttosto è una questione di fermare chi bara in anticipo. Immagina una partita a carte: se uno bara, non aspettiamo la fine del gioco per smascherarlo, lo fermiamo subito.
Il caso di Bologna, come detto, riguarda spazi sotto la responsabilità del Comune. Ma se ciò avviene tra privati, tramite associazioni?
Se un privato acquista uno spazio in ambito privato, è una questione privatistica: finché c’è chi dà soldi e chi li riceve, non si può fare molto, a meno che non si tratti di denaro illecito. Ma quando diventa un evento che chiede il patrocinio del Comune, chiede l’utilizzo di luoghi pubblici e richiede autorizzazioni, allora scatta la responsabilità pubblica. Ogni Comune ha un proprio statuto e regolamento: lì si individuano già dei limiti da imporre.
Come contrastare la disinformazione in questi casi?
Dal punto di vista privatistico, serve pluralismo dei media, giornalismo d’inchiesta, fact-checking indipendenti. Dal punto di vista pubblico, serve trasparenza finanziaria: “Follow the money”. Per esempio, in commissione sulle Politiche dell’Unione europea del Senato, di cui sono membro, ho proposto l’avvio di un’indagine sulle ingerenze straniere nei processi elettorali. Se non raccogliamo evidenze e non le portiamo all’attenzione pubblica, nessuno capirà la portata del fenomeno.
C’è qualche esempio specifico?
Sì. Nel caso del referendum di adesione della Moldova all’Unione europea sono stati registrati passaggi di denaro per oltre 40 milioni di dollari, arrivati ai conti di 138.000 cittadini moldavi. Poi c’è il caso del candidato presidenziale Călin Georgescu.
Come anticipare queste attività evitando di essere soltanto reattivi?
Quando parlo di “scudo democratico” intendo proteggere il processo elettorale in modo preventivo, identificando possibili flussi sospetti di denaro e interventi di propaganda prima che sia troppo tardi. La nostra proposta prevede, per esempio, comitati di analisi obbligatori all’interno delle piattaforme social e di tutti gli strumenti in cui si forma il libero convincimento. Analizzando i flussi informativi e finanziari si capisce subito se qualcosa non torna: per esempio, migliaia di iscritti a un gruppo Telegram dedicato esclusivamente alla disinformazione sono “cellule dormienti”. Bisogna intervenire prima delle elezioni, non dopo.
Un approccio nazionale è sufficiente?
A un approccio nazionale serve un approccio europeo. Proprio per questo ho chiamato “scudo democratico” la proposta: la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, per la prima volta, ha usato questa espressione. Ci vuole un approccio europeo, e andrebbe esteso anche ai Paesi candidati all’ingresso nell’Unione.
L’educazione digitale che ruolo può giocare?
In Svezia, per esempio, hanno un’agenzia per la difesa psicologica. Nelle scuole si insegna a riconoscere subito un chatbot o un contenuto generato da un algoritmo, rispetto a un contenuto umano. Questo sarebbe l’optimum. Allo stesso modo, il pluralismo dei media dovrebbe essere tale da garantire dibattiti politici seri, in cui ognuno presenti le proprie tesi senza ricorrere a urla o slogan, ma con confronti articolati. Per ottenere tutto ciò, bisogna lavorare sulla consapevolezza fin da giovani: se non hai coscienza del rischio, pensi che sia una perdita di tempo.
Tornando alla situazione italiana: cosa sta emergendo dall’indagine in Senato in termini di ingerenze specifiche nel nostro Paese?
Abbiamo iniziato esaminando i Paesi che hanno già subito interferenze, raccogliendo evidenze e modus operandi, per poi applicare lo stesso schema all’Italia. Tra gli attori ostili ci sono, oltre alla Russia, anche Cina, Turchia, Iran e persino le piattaforme social americane. In generale, considerato che l’obiettivo della guerra ibrida non è tanto far vincere un candidato filo-russo quanto piuttosto destabilizzare il risultato elettorale, è fondamentale che chiunque si riconosca nei valori democratici ed europei faccia da scudo. Non è una questione di destra o di sinistra: le elezioni sono il cuore della democrazia, e se non tuteliamo il cuore, tutto il corpo si ammala.