L’operazione Ragnatela, condotta con droni guidati da algoritmi di machine learning, ha colpito con successo basi aeree russe in Siberia, sfruttando una rete clandestina di approvvigionamento e un sofisticato inganno logistico. Per il ricercatore Law (University of Cambridge) è “una cartolina dal futuro”: il vero salto sarà un’intelligenza artificiale generativa capace di coordinare in tempo reale rotte di trasporto, operazioni di copertura e pilotaggio autonomo di droni. Tuttavia, rimangono sfide pratiche che richiedono ancora ingenti risorse umane e infrastrutture
Il Cremlino parla poco ed evidentemente malvolentieri dell’operazione ucraina denominata “Ragnatela”. Mercoledì ha assicurato che la Russia farà “tutto il necessario” per scoprire le modalità e i colpevoli degli attacchi con droni contro quattro delle sue basi aeree durante il fine settimana, rivendicati dall’Ucraina. Secondo quanto riporta The Atlantic, l’attacco avrebbe reso “furioso” il presidente statunitense Donald Trump che nella giornata di mercoledì ha parlato con il leader russo Vladimir Putin: pur non dichiarandolo ufficialmente, l’inquilino della Casa Bianca sarebbe contrariato in quanto secondo lui rappresenterebbero un ostacolo alla pace. È la stessa linea di Keith Kellogg, il suo inviato speciale per l’Ucraina: il rischio di escalation “aumenta vertiginosamente” dopo che l’Ucraina ha colpito i bombardieri russi in Siberia, ha dichiarato mercoledì a Fox News.
Second Harry Law, ricercatore della University of Cambridge, “Ragnatela” è una “cartolina dal futuro”. Sul Time, l’esperto ha analizzato l’operazione, realizzata da droni Fpv (first-person view) guidati da algoritmi di machine learning per colpire diverse basi aeree russe fino a 8.000 chilometri di distanza dalle linee del fronte. Nonostante le versioni divergenti sul numero esatto di bombardieri strategici (alcune fonti occidentali stimano almeno 10 aerei distrutti o resi inutilizzabili; Kyiv parla di 41), l’aspetto più sorprendente non è tanto la portata fisica dell’attacco quanto la complessità logistica e tecnologica che ne ha permesso l’esecuzione.
In particolare, l’intelligence ucraina ha messo in piedi una catena di approvvigionamento clandestina in diciotto mesi: parti di droni e carichi esplosivi sono stati contrabbandati all’interno di container “camuffati” in carichi commerciali, assemblati in loco e poi caricati su autocarri dotati di scomparti segreti. Una volta giunti in prossimità delle basi russe, i tetti dei rimorchi si sono aperti per liberare lo sciame di droni, i quali hanno poi sfruttato le reti di telecomunicazione russe per raggiungere e colpire i bersagli predeterminati. Questo modus operandi si è basato su tre capacità sinergiche, evidenzia Law: logistica di consegna, inganno per mantenere nascoste le unità e coordinamento nel pilotaggio simultaneo di decine di droni.
Ma “Ragnatela”, prosegue l’esperto, è soprattutto un’anteprima di come la guerra potrebbe evolvere con l’avvento dell’intelligenza artificiale generale. Negli ultimi due anni, infatti, molte grandi realtà del settore tecnologico (tra cui OpenAI, Google e partnership tra aziende come OpenAI e Anduril) hanno iniziato a integrare i propri progetti di ricerca nel comparto della difesa, sia per applicazioni difensive che offensive. L’idea, già presa in considerazione dagli strateghi militari, è che un sistema di intelligenza artificiale generativa potrebbe orchestrare operazioni complesse in tempo reale, analizzando enormi quantità di dati, ottimizzando rotte di trasporto, gestendo documenti falsi (passaporti, licenze, contratti societari) e persino pilotando sciami di droni in modo autonomo.
In prospettiva, un’intelligenza artificiale generativa bellica potrebbe individuare i momenti più sicuri e meno sorvegliati per far transitare carichi di droni attraverso confini, sfruttando informazioni sul traffico, sui turni di guardia alle dogane e persino su eventuali sorvoli satellitari o di droni da ricognizione. Un tale sistema potrebbe inoltre emulare aziende fittizie in modo completamente automatizzato (creando siti web, documenti fiscali, conti bancari) per coprire le operazioni clandestine, nonché generare segnali falsi di Gps o manomettere feed di sorveglianza per disorientare le difese nemiche. Quando inizia la fase di attacco, l’intelligenza artificiale generativa potrebbe regolare continuamente le modalità di volo dei droni (per esempio: cambi di frequenza in caso di interferenze, variazione di quota per evitare radar) e orientarli verso i punti più vulnerabili degli aerei, come i serbatoi del carburante.
Non mancano, però, limiti pratici, avverte Law: la produzione e la manutenzione di droni (assemblaggio di detonatori, bilanciamento di rotori, controllo delle batterie agli ioni di litio) richiedono ancora intervento umano e infrastrutture specializzate, che non possono essere interamente automatizzate senza linee di produzione su larga scala. Inoltre, la creazione di reti di comunicazione jamming-resistant necessita di licenze per le frequenze, Sim dedicate o stazioni base clandestine, il che implica la presenza di personale “sul terreno” per installare antenne o ripetitori.
In definitiva, la parte hardware per una guerra Agi-driven è già disponibile, ma il vero salto in avanti consisterà nella capacità software di orchestrare operazioni complesse più velocemente di quanto l’avversario possa reagire. L’autore avverte che, se un’intelligenza artificiale generativa finisse nelle mani sbagliate, attacchi analoghi potrebbero essere condotti in tempi sempre più rapidi e da un numero ridotto di persone, rendendo la guerra basata su complessità e informazione ancora più letale. È quindi imperativo che ogni forza armata preveda questa nuova realtà strategica e pianifichi di conseguenza.