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Vi racconto l’Italia tra stabilità e trasformazione. L’analisi di Scandizzo

A fronte di un quadro geopolitico sempre più in preda di squilibri, conflitti e confusione, il nostro Paese sembra attraversare un periodo di calma, con deboli, ma significativi miglioramenti su tutti i fronti economici più importanti. L’analisi di Pasquale Lucio Scandizzo

Nei mesi di aprile e maggio 2025 l’economia italiana ha registrato una moderata ripresa in un contesto di rallentamento della economia globale dominato dall’incertezza. In un quadro europeo ancora privo di crescita significativa, la produzione industriale italiana, dopo una lunga stagnazione, sembra finalmente destinata di nuovo a crescere. L’aumento del Pil dello 0,3% del primo trimestre era stato sostenuto principalmente dai consumi privati e da un costante miglioramento del credito, ma la performance degli investimenti privati era ancora inferiore all’aggregato dell’Eurozona.

Questo quadro sembra mostrare un lieve miglioramento dal lato degli investimenti, benché le imprese italiane, e in particolare le piccole e medie imprese, siano rimaste prudenti, ostacolate da un contesto di instabilità internazionale, da una battuta d’arresto nell’attuazione operativa del Pnrr e da un perdurare del costo del capitale superiore a quello precedente alla crisi del Covid. Il contributo degli investimenti alla crescita economica è stato quindi contenuto, a differenza di quanto accaduto in Germania, Francia o Spagna, dove le politiche industriali e i piani di digitalizzazione hanno rafforzato la domanda di capitali privati.

La bassa dinamica degli investimenti privati riflette peraltro una tendenza di lungo termine, aggravata dalla attuale incertezza, specialmente per quanto riguarda la domanda esterna. Secondo le indicazioni dei modelli economici previsionali, essa dovrebbe mostrare significativi miglioramenti nei prossimi mesi a causa degli effetti strutturali dei progetti del Pnrr e dell’attenuazione della crisi economica tedesca. La performance del Pnrr è una fonte importante di speranze di ripresa, confortate da numerose evidenze econometriche e previsionali. La sua reale incidenza rimane però una sorta di mistero, tra dati contrastanti di progresso e di ritardo più o meno recuperabile.

Gli investimenti pubblici derivanti dal Pnrr stanno entrando solo lentamente nella fase di esecuzione, con possibili effetti positivi sull’occupazione nei settori dell’edilizia, sanità, digitale e transizione verde, soprattutto nel Centro-Nord. Tuttavia, alcuni effetti di più lungo termine dovrebbero già cominciare a vedersi, nonostante i lunghi profili temporali di molti progetti di infrastrutture. Gli effetti di breve periodo sono anch’essi di difficile lettura, e potrebbero essere nascosti da aspetti negativi della congiuntura, che contribuiscono almeno in parte a controbilanciare. Benché sia difficile controllarne la attendibilità, e la notizia di per sé non sia particolarmente confortante, numerosi segnali sembrano indicare che l’Italia è avanti alla maggior parte degli altri paesi nella realizzazione dei progetti del piano di ripresa dell’Ue.

Negli ultimi due mesi (aprile-maggio) e anche nella prima parte di giugno, il mercato del lavoro italiano ha mostrato sviluppi robusti e incoraggianti, posizionando il paese come un’eccezione relativa nel contesto europeo. Il tasso di disoccupazione è sceso al 5,9%, continuando un calo costante dal 6,1% di marzo e avvicinandosi ai livelli più bassi in oltre un decennio. I dati sull’occupazione sono cresciuti costantemente, con oltre 280.000 nuovi posti di lavoro aggiunti anno su anno, e la partecipazione alla forza lavoro è salita al 67,1%, la più alta degli ultimi due decenni. Anche la disoccupazione giovanile è diminuita in modo significativo, attestandosi ora al 19,2%, suggerendo una maggiore integrazione dei giovani lavoratori nel mercato del lavoro.

Queste dinamiche favorevoli contrastano con quelle complessivamente meno positive in Europa. Mentre numerosi paesi dell’Ue continuano a sperimentare una stagnazione economica o una debole crescita dell’occupazione, il mercato del lavoro italiano sembra più forte. Germania e Francia, ad esempio, pur mostrando anch’esse una evoluzione positiva, hanno registrato tendenze occupazionali più deboli, in parte derivanti dal declino industriale in corso e dalla ripresa interna che è stata più lenta del previsto.

Ciò che è degno di nota nel caso dell’Italia è che questi benefici del mercato del lavoro si stanno registrando mentre c’è una decelerazione delle esportazioni abbinata a un’apparente impennata delle importazioni. Questo modello paradossale trova la sua principale giustificazione nella ripresa della domanda interna innescata dagli stimoli fiscali del Ppnrr, dall’aumento della spesa per i consumatori, nonché dalla domanda accumulata di consumi delle famiglie. Di conseguenza, le aziende, in particolare nel settore dei servizi e nell’edilizia, stanno assumendo in numero crescente, anche se la loro esposizione ai mercati esteri è diminuita.

Numerose evidenze suggeriscono che le imprese italiane stanno “tesorizzando manodopera”, aggrappandosi ai lavoratori in tempi di incertezza esterna in attesa di un aumento sostenuto degli ordini interni. Allo stesso tempo, le pressioni salariali sono diventate un po’ più forti, con un aumento delle spese del lavoro di oltre il 3% rispetto al trimestre di un anno fa, a causa dell’inasprimento del mercato del lavoro. Ciò è in contrasto con alcune nazioni continentali settentrionali, dove i salari sono stagnanti e i timori di inflazione sono più acuti.

Altro elemento che può sembrare paradossale è che l’aumento della occupazione è inferiore a quello del prodotto interno lordo (PIL), segnalando un decremento della produttività. Questo fenomeno sembra in continuità con i dati del primo trimestre 2025, secondo cui l’indice della produttività del lavoro (output per ora lavorata) è sceso da 99,53 a 98,85, segnalando un calo rispetto al periodo precedente. Il rallentamento della produttività del lavoro, tuttavia, non implica necessariamente un deterioramento dell’efficienza economica complessiva, poiché una parte significativa dell’occupazione cresce in settori, quali l’istruzione, la sanità e la cultura, e, sebbene in misura minore, il turismo, in cui il valore di mercato è una misura imperfetta del valore sociale prodotto. La crescita occupazionale in questi settori può quindi far apparire la produttività stagnante o in calo, ma in realtà rappresenta un miglioramento della qualità dello sviluppo.

In sintesi, la recente salute del mercato del lavoro in Italia è potenzialmente meno trainata dalle esportazioni e più riequilibrante internamente sotto forma di consumi e investimenti fissi. Questa transizione, se sostenuta, rappresenterebbe un cambiamento strutturale nel rimbalzo dell’Italia post-pandemia, anche se aggiungerebbe nuove sensibilità sotto forma di una maggiore dipendenza dai fattori produttivi esteri e di vulnerabilità ai prezzi globali. Anche a livello di commercio internazionale, l’Italia sembra dispiegare un misto di resilienza e fragilità. Gli ultimi dati disponibili (per il mese di aprile) mostrano che le esportazioni verso i paesi terzi sono diminuite considerevolmente, anche scontando una parte dell’incremento dei mesi precedenti, mentre le importazioni, dominate dall’energia e dalle industrie intermedie, sono aumentate.

Queste variazioni hanno interessato in misura minore il Mezzogiorno, le cui esportazioni riguardano soprattutto beni finali, e in misura maggiore il Centro-Nord, più strettamente inserito nelle catene del valore internazionali. Ciò ha comportato una contrazione dell’avanzo commerciale rispetto all’andamento più equilibrato degli scambi nell’area dell’euro e corrisponde in parte a una minore competitività settoriale e a una maggiore apertura dell’Italia ai mercati più rischiosi, nonché a un modello di produzione meno orientato alle industrie ad alta tecnologia o con un’elevata resilienza globale. Il sentiment dei mercati riflette questo contrasto. I dati Istat più recenti mostrano un miglioramento nei servizi e nel commercio, ma una debole fiducia delle imprese nell’industria, dove le aspettative future di produzione e ordini rimangono spinte dalle preoccupazioni relative ai costi e alla domanda estera. La fiducia delle famiglie, invece, sta lentamente migliorando: i consumi sono tornati a crescere moderatamente (+0,7% le stime per il 2025), aiutati dal calo dell’inflazione e dalle resistenze del mercato del lavoro con l’occupazione in aumento (+1,2% su base annua) e il tasso di disoccupazione in lenta ma costante diminuzione.

L’Italia sembra quindi entrare in una fase di ripresa contenuta: il contesto macroeconomico è più solido, ma i ritardi nell’attuazione del Pnrr, la debolezza strutturale degli investimenti privati e il perduto dinamismo commerciale nei confronti degli Usa, e in parte degli stessi alleati europei, pongono sfide rilevanti. Per colmare questo divario, sarà importante accelerare l’efficienza della spesa dei finanziamenti europei, il miglioramento della produttività del sistema industriale e il rafforzamento del coordinamento tra le politiche pubbliche e i potenziali investimenti privati.

Dal punto di vista territoriale, sia i dati disponibili, sia le simulazioni di autorevoli modelli macroeconomici suggeriscono che le infrastrutture, i fondi dell’UE e gli investimenti verdi stanno alimentando una ripresa economica più forte nel Sud. Nel Nord, lo stimolo della domanda aggregata del PNRR appare invece più debole, a causa della crisi industriale e della difficoltà delle imprese nel reclutare lavoro specializzato. Il quadro macroeconomico presenta quindi aspetti rassicuranti, nonostante il debito pubblico rimanga molto elevato (136% del Pil), con sfide fiscali rilevanti su vari fronti. Ciononostante, Moody’s ha rivisto al rialzo le prospettive di credito dell’Italia a “positive” il 23 maggio, citando metriche fiscali più forti, un mercato del lavoro robusto e un outlook complessivo di stabilità finanziaria. S&P ha anche innalzato il rating a BBB+, nonostante abbia tagliato le previsioni sul PIL a circa lo 0,6%.

In conclusione, a fronte di un quadro geopolitico sempre più in preda di squilibri, conflitti e confusione, il nostro Paese sembra attraversare un periodo di calma, con deboli, ma significativi miglioramenti su tutti i fronti economici più importanti. Il rallentamento delle esportazioni e la crisi internazionale sembrano anche indicare che ci troviamo di fronte a una trasformazione critica di tutto il modello economico europeo, con una crescente necessità di integrazione e rafforzamento del mercato comune e della domanda interna come motore della crescita futura.


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