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Appalti pubblici e politica industriale. Così l’Italia può reagire ai dazi Usa

Di Daniele Ricciardi

Se l’America alza muri, l’Italia non può chiudersi. Ma può, e deve, rafforzarsi. E lo può fare partendo da casa propria: dai contratti pubblici. L’appalto, oggi più che mai, non è solo un atto tecnico. È un atto politico. Riceviamo e pubblichiamo il commento di Daniele Ricciardi, avvocato ed esperto internazionale in appalti pubblici, presidente Assorup, associazione nazionale dei responsabili unici del progetto

Nel cuore dell’economia italiana, esiste una leva potente e ancora sottoutilizzata: il mercato dei contratti pubblici. Con oltre 116 miliardi di euro generati nel 2024, secondo Anac, soltanto gli appalti di forniture pubbliche rappresentano quasi il 5% del Pil nazionale. Una massa economica che troppo spesso viene considerato un fabbisogno delle pubbliche amministrazioni, anziché una risorsa strategica. Una chiave di lettura sorprendente emerge osservando i principali fornitori della Pubblica Amministrazione italiana: Medtronic Italia, filiale di una multinazionale americana, è ai vertici per numero di contratti attivi e transazioni.

Questo rivela un lock-in tecnologico che condiziona le scelte pubbliche, limitando l’accesso delle imprese italiane e bloccando lo sviluppo di soluzioni domestiche. Investire in tecnologia nazionale non è solo una questione di competitività: è una questione di sovranità industriale. Nel nuovo scenario globale, segnato dal ritorno dei dazi – come quelli statunitensi al 30% previsti dal 1° agosto – l’Italia non può permettersi di restare in difesa. La risposta non può limitarsi a dichiarazioni formali, ad una diplomazia irrilevante o hashtag patriottici. È urgente strutturare una politica industriale interna che abbia nei contratti pubblici una leva di compensazione efficace.

Le regole europee consentono già oggi di attribuire punteggi aggiuntivi alla sostenibilità della filiera, all’impatto occupazionale e al valore territoriale di una fornitura. Non si tratta di aggirare i vincoli normativi, ma di usare con consapevolezza strumenti già disponibili per orientare la spesa pubblica verso obiettivi strategici. Ogni appalto può diventare un corridoio economico domestico capace di assorbire gli shock internazionali, sostenere l’occupazione e promuovere la qualità italiana.

In questo quadro, la proposta di istituire un Ministero dei Contratti Pubblici (come era previsto per i lavori sino al 1999) non è solo un riassetto istituzionale, ma un salto culturale. Servirebbe a superare la frammentazione tra Maeci, Mimit e Mef e a costruire una regia unica per gli appalti strategici, con funzioni regolatorie, direzionali e tecnologiche. Significherebbe usare la piattaforma Anac non solo per garantire trasparenza, ma anche per programmare lo sviluppo industriale italiano. Se l’America alza muri, l’Italia non può chiudersi. Ma può, e deve, rafforzarsi. E lo può fare partendo da casa propria: dai contratti pubblici. L’appalto, oggi più che mai, non è solo un atto tecnico. È un atto politico.


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