Il vertice NATO dell’Aja si è chiuso tra un’agenda strategica ancora fragile e l’annuncio dell’obiettivo del 5% del Pil da destinare alla Difesa. Mentre le proposte di un esercito europeo restano fumose, la vera sfida resta quella di rafforzare le capacità strategiche comuni, senza illusioni di autosufficienza ma neppure con una subordinazione passiva. L’analisi del generale Del Casale
Il Vertice NATO del 24 e 25 giugno sarà consegnato alla Storia per quell’immagine, emblematica e imbarazzante, del colloquio innanzi alla stampa internazionale tra il Segretario Generale dell’Alleanza, Mark Rutte, e il presidente americano, Donald Trump. Ancor più quelle parole, “papino a volte deve usare un linguaggio duro”, con cui l’ex premier olandese ha voluto chiosare il commento del tycoon, non proprio da scuola di diplomazia, in merito all’attacco aereo condotto in Iran. Un’espressione intrisa di blandizia e di cortigianeria, non da leader internazionale, ma che delinea il forte legame che unisce i nostri protagonisti. Occorre infatti risalire al 2018, quando, in occasione della riunione del G20, a Buenos Aires, l’allora premier olandese, Rutte, confermava a Trump -al suo primo mandato- di aver interrotto l’accordo commerciale con la Cina da parte dell’Asml, la holding dei Paesi Bassi leader europea nella produzione di semiconduttori, a beneficio degli Stati Uniti. Un risultato che quindi giustifica quel “daddy” indirizzato dal segretario generale della Nato al tycoon.
I contenuti del Summit
Sul piano dei contenuti, data per scontata l’adesione formale dei Paesi membri alla proposta di elevare le spese per la difesa sino al 5% dei rispettivi Pil nazionali entro il 2035, sebbene con i distinguo di Spagna e Slovacchia, le conclusioni del vertice sono apparse lacunose sul piano politico-strategico. In una sola parola, deludenti. Sia il premier spagnolo, Pedro Sanchez, che quello slovacco, Robert Fico, hanno dichiarato di essere in grado di soddisfare i requisiti dell’Alleanza senza dover raggiungere necessariamente il 5% di Pil entro il 2035. Non entriamo in una valutazione di convenienza politica, che soprattutto nel caso del leader spagnolo è legata a difficili equilibri interni, ma va detto che tale presa di posizione risponde a un legittimo e sovrano diritto di stabilire autonomamente il ritmo e la natura incrementale delle spese militari, adempiendo agli obblighi dell’Alleanza atlantica. Ma, paradossalmente, il punto è proprio questo. Quali (nuovi) obblighi ha fissato la Nato in ragione del tetto di spesa appena deciso a L’Aja? L’entità delle risorse da destinare alla difesa dovrebbe discendere da una visione politico-strategica incentrata sull’identificazione e sulla valutazione della minaccia per la sicurezza degli Stati aderenti e sullo strumento militare di cui ci si dovrebbe dotare, lasciando che ciascun Paese membro assuma le capacità necessarie per contribuire efficacemente alla propria difesa e a quella collettiva, secondo il proprio livello di ambizione. Senza fissare a priori un obiettivo economico-finanziario da conseguire. La sensazione è che si stia perpetuando un malvezzo ricorrente in Occidente: “attagliare” una visione geopolitica a un termine economico. Accadde già a metà anni ’90, quando, superata la fase storica della guerra fredda e consegnate le chiavi della sicurezza dell’Occidente agli Stati Uniti, gli eserciti non vennero più calibrati in relazione a una visione strategica di sicurezza, ma a budget sempre più risicati, sino a ridurre drasticamente organici e menomare capacità operative. Oggi, ripercorriamo la stessa strada all’incontrario. Trump vede l’Europa come un’antagonista commerciale, la tiene sulla corda sotto la minaccia dei dazi e si dice non più disposto a fornire le garanzie del passato. Così, “promuove” nuovi parametri economici da rispettare, sicuro di favorire l’industria militare americana. Ma qual è il Concetto Strategico dell’Alleanza per i prossimi dieci anni? Al momento, dovrebbe restare valida la Pianificazione 2022, la più recente, imperniata su deterrenza e difesa, prevenzione e gestione delle crisi e sicurezza cooperativa, con un chiaro riferimento alla guerra in Ucraina, all’epoca, da poco iniziata.
Riguardo la riorganizzazione strategica dell’Alleanza
Ma oggi, tale postura è ancora valida? Il costo del supporto a Kyiv è entrato nel bilancio della Nato, ma la Russia non è mai stata citata nel documento finale del vertice de L’Aja: un segnale forte della Casa Bianca, secondo cui i Paesi membri devono iniziare a camminare da soli e Mosca non deve essere più considerata un nemico. Proviamo ora a guardare “il bicchiere mezzo pieno”. Tutto l’Occidente ha da oggi la concreta possibilità di lavorare per dotarsi di strumenti militari con rinnovate capacità, da anni drammaticamente e pericolosamente perdute. La ricerca tecnologica ha ora nuove e concrete prospettive di sviluppo con un forte e positivo riflesso anche sulla vita civile delle popolazioni occidentali. La difesa viene finalmente declinata anche come sicurezza delle infrastrutture strategiche, del dominio cyber e di quello spaziale. Nel caso italiano, il 5% di Pil sarà ripartito per un 3,5% per le spese strettamente militari e per l’1.5% per la sicurezza, in generale. Qualche analista politico ha inneggiato alla crescita di un “pilastro europeo” della Nato. Un’espressione, al contrario, artificiosa e pericolosa. Cosa s’intende per pilastro europeo? Che l’Alleanza può fare a meno di Canada e, soprattutto, di Stati Uniti? Assurdo, pericoloso, inaccettabile. La Nato o è o non è. Certamente, i prossimi anni saranno contrassegnati dall’incertezza e dall’imprevedibilità di Donald Trump e dalla postura che gli Usa potrebbero assumere innanzi a una crisi internazionale, ma non è pensabile un’Alleanza atlantica disarticolata o a due anime.
Quale Europa nella Nato?
Quello che va invece sottolineato è come l’Unione europea, riunitasi in Consiglio subito dopo il vertice de L’Aja, abbia perso l’ennesima occasione per dar concretezza a un proprio sistema di difesa. Diversi opinionisti e leader politici continuano peraltro a criticare gli aumenti decisi, affermando che uno sforzo si sarebbe potuto piuttosto esprimere per creare finalmente un “esercito europeo”. Si tratta di un concetto elementare, banale e utopistico. Un esercito europeo agli ordini di chi? Sulla base di quale Statuto o Costituzione? E rispettando quale sovranità? Ipotizzare una prospettiva del genere dissimula di fatto la volontà “gattopardesca” di cambiare tutto perché tutto resti com’è. Oppure evidenzia la scarsa conoscenza dei temi legati alla Difesa e sicurezza. La Nato non possiede forze assegnata, ma coordina, pianifica e addestra gli eserciti dei Paesi membri e ha funzionato efficacemente per quasi ottant’anni. Non si comprende perché l’Unione europea non possa fare altrettanto, disponendo di un esempio più che positivo. Tra l’altro, esistono norme, trattati di cooperazione e attività operative condivise che già consentono una rilevante interazione tra Alleanza atlantica e Ue: si pensi all’accordo “Berlin plus” o all’art. 42 del Trattato dell’Unione sulla difesa reciproca, che richiama il noto art. 5 del Patto atlantico. Ciò di cui l’Europa necessita è piuttosto una propria struttura di comando e controllo delle attività e delle operazioni militari e di un organo di vertice strategico, autonomo, oggi inesistenti. E dovremmo pure interrogarci sulle ragioni di una Ue priva di peso diplomatico. Tra queste, vi sono l’inesistenza di una sovranità continentale, sovranazionale, e di una reale deterrenza militare. I Paesi membri europei della Nato rappresentano il 95% dell’Unione. Aumentarne le capacità di difesa porterà beneficio all’Europa intera. Ma la strada da percorrere è tutta in salita.