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Senza Difesa, non c’è più l’Europa. Il nuovo libro di Michele Bellini

Di Michele Bellini

Il nuovo disordine globale e le incertezze transatlantiche riportano al centro il tema cruciale della difesa europea. Un’urgenza storica che l’Unione non può più rimandare, se vuole continuare a esistere come progetto politico autonomo. Questi i temi del volume “Rendiamoci conto. Senza difesa non c’è più l’Europa” di Michele Bellini, di cui proponiamo qui un estratto

L’aggressività di Putin. Il nuovo corso americano. L’Europa è davanti a un bivio. O l’irrilevanza e il vassallaggio, oppure un salto in avanti. La difesa dell’Unione è una necessità non rinviabile. E passa di nuovo – quante volte lo abbiamo sentito? – per una vera, compiuta integrazione.

“Ora o mai più”, l’enunciato è diventato un refrain spesso disatteso, quasi fosse un modo di dire. Ma stavolta è letteralmente così. Bisogna muoversi adesso. Per continuare a garantire la nostra sicurezza ma anche per salvaguardare la straordinaria eredità, di una cultura democratica che non ha eguali nel mondo, di ciò che Sergio Mattarella ha definito “eccezionalità europea”. I profondi e rapidi mutamenti del contesto mondiale non sono, infatti, l’unica ragione. Il mercato, da solo, ha esaurito la spinta propulsiva che ne ha fatto, fin dagli albori, il principale motore dell’integrazione. Lo hanno usato Robert Schuman, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi, Paul-Henri Spaak, Jean Monnet e gli altri apripista, per dare il via al percorso. Lo ha usato Jacques Delors, per approfondire l’integrazione e arrivare alla moneta unica. Lo ha usato Romano Prodi, per rendere possibile la più grande fase di allargamento. Ma oggi non basta più. Da esso continueranno a passare le vie dell’integrazione, ma non può più fare da surrogato all’unificazione politica.

È la realtà a imporre il recupero del mito fondativo, l’ambizione originaria del sogno europeo: democrazia, libertà, giustizia, pace. […] Riportare l’intera avventura europea nella sua dimensione essenziale, significa tornare su un piano prettamente politico. E la difesa ci obbliga a farlo, perché non esiste nulla di più politico di questo tema: insieme a giustizia e fisco, è il cuore della sovranità, la ragion d’essere del patto sociale. I grandi europeisti del passato sapevano che il mercato non sarebbe stato sufficiente. Erano consapevoli che la chiave unificatrice sarebbe comunque dovuta passare dalla difesa. Lo sapevano Altiero Spinelli e Alcide De Gasperi, che arrivarono vicinissimi a realizzare la Comunità Europea di Difesa, iniziativa che avrebbe completamente cambiato la storia europea. Ne era convinto Jacques Delors, quando sottolineava che il problema di una politica estera e di sicurezza comune andasse prima di tutto affrontato «sul piano politico, pratico, persino filosofico». Del ruolo vitale della difesa era certo anche Nino Andreatta, economista e statista cattolico, figura chiave del pensiero riformista italiano della seconda metà del Novecento e, tra i numerosi incarichi, ministro della Difesa dal 1996 al 1998. Nel 1984 a Firenze, aprì un convegno intitolato La sicurezza dell’Europa: retorica e realtà, con queste parole: “Si teme, inoltre, che l’Europa economica su cui si fondava la speranza di un prossimo traguardo politico non sia nemmeno in grado di reggersi da sola […]. Solo una comune difesa europea, prova evidente e concreta di una rinuncia, anche solo parziale, alla sovranità nazionale in un settore che ne è il simbolo stesso, potrebbe determinare lo strappo indispensabile fra il passato individuale e un destino collettivo. L’unico modo possibile perché gli europei “sfuggano alla trappola delle loro antiche tradizioni”. 

Lo strappo indispensabile: un’immagine che nel gergo ciclistico fa pensare a quei pezzi di salita particolarmente impegnativi, dove i campioni riescono a fare la differenza, dove si decide tutto. Oggi, la nostra ultima possibilità. Il contesto mondiale e il tradimento da parte dell’America di Trump dei valori condivisi suggeriscono che, questa volta, rimandare ancora significherebbe assestare il colpo definitivo alla nostra preziosa avventura collettiva e a tutto ciò che essa rappresenta. 

Non c’è nulla di più pericoloso, in questo momento storico, della tendenza a rimuovere, a non guardare in faccia la realtà. Dobbiamo invece renderci conto di ciò che è cambiato e agire di conseguenza, conoscendo quanto ci stiamo giocando, i rapporti di forza e le alternative disponibili. Questo libro nasce perché in Italia la consapevolezza della posta è scarsa, nebbiosa. E questa nebbia rischia di farci smarrire la strada, distaccandoci dal resto dei Paesi europei. Rischiamo di non veder passare il treno della Storia, proprio nel momento in cui l’Europa ha più bisogno di noi.


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