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Guerra ibrida, perché il dialogo Eu-Nordafrica sull’immigrazione ha echi globali

Lo scacchiere internazionale si presenta, oggi, come una competizione di influenza globale che mette in crisi il tradizionale multilateralismo. E che intreccia capacità economiche, politiche e militari in nuovi modelli di influenza attraverso conflitti per procura, attività di promozione di modelli di governo alternativi alle democrazie liberali occidentali e strumentalizzazione delle migrazioni

Dalle Primavere Arabe ad oggi, le migrazioni hanno saputo coinvolgere e dividere l’opinione pubblica, la politica e l’agenda setting statale in Europa più di ogni altro oggetto di dibattito e questo anche grazie alla loro portata coercitiva, intesa come capacità di provocare cambiamenti e fratture politiche e sociali.

La strumentalizzazione della migrazione ha vari e diversi effetti con altrettante varie e differenti cause scatenanti: alcune crisi migratorie possono essere provocate ad hoc, mentre altri scenari migratori possono essere sfruttati e manovrati per l’ottenimento di vantaggi strategici.

Gli obiettivi dietro alla creazione o la strumentalizzazione delle migrazioni possono essere molteplici: dalla destabilizzazione politica e sociale degli Stati che accoglieranno i migranti, all’utilizzo della questione migratoria come leva contrattuale per la richiesta e l’ottenimento di vantaggi finanziari, diplomatici o strategici.

L’utilizzo dei flussi migratori forzati come leva di politica internazionale, vede oggi l’Europa come bersaglio ideale: i dibattiti sulla gestione comune e condivisa delle migrazioni, insieme alla sovraesposizione geografica di alcuni Stati – tra cui l’Italia – rendono sin troppo evidenti le fragilità e le faglie di coesione politica europea, rendendo l’affaire migratorio una delle principali leve per la concretizzazione di una (dis)Unione Europea.

Come funziona la strumentalizzazione delle migrazioni

L’ibridazione delle minacce possiede l’effetto di rendere meno nettamente distinguibili le polarizzazioni concettuali sulle quali costruire modelli di analisi, operativi e comportamentali, come guerra/pace, sicurezza/insicurezza, impattando sulle percezioni e paure dei cittadini e degli esecutivi europei nei confronti di nuove ipotetiche ondate migratorie. Secondo i pattern ricorrenti, identificati dall’Hybrid Centre of Excellence dell’Unione europea, è possibile individuare uno schema dietro alla possibile strumentalizzazione dell’immigrazione irregolare o forzata e diretta in Europa: la strumentalizzazione delle migrazioni da parte di uno Stato in crisi, grazie alla sua capacità di controllare il flusso e le rotte, per ottenere vantaggi strategici, economici, politici e di influenza; uno Stato vettore o proxy State, ovvero Paesi in cui, data l’influenza e l’ingerenza di un attore statale terzo, utilizzano la propria instabilità e le migrazioni forzate provenienti dai propri confini per ottenere una revisione dell’ordine – status quo – regionale o internazionale; un attore non statale, organizzazioni criminali, terroristiche, tribali o di mercenari: la gestione degli snodi migratori e delle rotte dell’immigrazione irregolari conferisce a queste entità e alle loro condotte una ibridazione degli effetti. Gli obiettivi territoriali o transnazionali e quelli economici dietro al controllo della migrazione clandestina fanno di questi attori veri e propri interlocutori per la stabilizzazione e legalizzazione delle dinamiche regionali e mediterranee; uno Stato revisionista o antagonista, il cui principale obiettivo è il sovvertimento dello status quo internazionale e l’espansione della propria influenza. L’utilizzo di proxy State ed attori non statali, da parte della potenza revisionista, per la strumentalizzazione delle migrazioni mira alla destabilizzazione politica, sociale ed economica dello Stato – o degli Stati – bersaglio attraverso il danneggiamento della coesione politica interna e la frammentazione dell’opinione pubblica.

La corsa all’Africa e la competizione globale per l’influenza

Oggi il Continente africano rappresenta una dimensione di contesa multipolare strategica: terreno di influenza e portale sul Mediterraneo e sull’Europa per Russia e Cina, scenario strategico di dialogo diplomatico, economico e religioso per Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Turchia. Per l’Europa, vicino obbligato, partner necessario, potenziale motivo di instabilità o di opportunità: quella di coniugare europeismo, atlantismo e mediterraneità intesa come questione prettamente europea e, in particolare, italiana.

Lo schema operativo di Pechino e Mosca segue tracciati differenti ma non opposti: costruzione di basi militari (la Cina definisce logistica la base militare in Gibuti e la Russia opera tramite cellule proxy), espansione e sviluppo della propria presenza mediatica sul Continente africano, investimenti sulle infrastrutture strategiche che affacciano sul mediterraneo, medical diplomacy per Pechino e tentativo di contro-diplomazia all’Occidente in Nordafrica per Mosca. La politica degli Stati del Golfo, viceversa, basata su dialoghi economici attraverso investimenti commerciali e finanziari in vari settori, tra cui quello dell’estrazione commerciale, quello religioso e quello agricolo.

Comprendere le minacce ed evitare la passività

Ibridazione delle modalità per obiettivi ibridi. La competizione per l’espansione della propria influenza su scala globale vede nell’area subsahariana, nel Sahel e nel Nordafrica il tentativo da parte delle potenze revisioniste di trasformare queste regioni strategiche in culle di revanscismo antieuropeo, vero obiettivo di questa guerra moderna.

Il rischio e i costi dell’inazione sono quelli di dover nuovamente incentrare la politica estera italiana ed europea sulla gestione delle crisi continue; le opportunità, viceversa, consistono nel leggere prima le modalità di organizzazione ed attuazione delle minacce ibride, comprendendo le narrazioni antioccidentali e riuscendo a limitarne l’efficacia attraverso un lavoro di intelligence diplomatica ed economica, anche e soprattutto attraverso strumenti come il Piano Mattei e la European Neighbourhood Policy.


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