Il cittadino cinese finito in carcere a Milano per accuse di hackeraggio si dichiara estraneo: “Qualcuno ha usato il mio account”. L’Fbi lo accusa, il legale parla di errore e l’ambasciata americana spinge per l’estradizione. Con l’ombra del precedente Uss e il viaggio di Salvini a Pechino, il caso è anche politico
Potrebbe trattarsi di uno “scambio di persona”. Questa è la spiegazione che Xu Zewei, il cinese di 33 anni arrestato il 3 luglio a Malpensa su mandato degli Stati Uniti con accuse di presunto hackeraggio e spionaggio, pure su vaccini e terapie anti-Covid nel 2020, ha fornito oggi all’udienza di identificazione per l’estradizione. L’uomo ha detto di non aver nulla a che fare con questa vicenda.
“Non avevo motivo per compiere ciò che mi viene contestato, qualcuno potrebbe aver violato e usato il mio account”, ha detto l’uomo, IT manager per un’azienda di Shanghai, difeso dall’avvocato Enrico Giarda, davanti alla giudice Veronica Tallarida, opponendosi all’estradizione. “Nel 2019-2020 sparì un mio telefono, che motivo avevo per fare spionaggio usando un account col mio nome e cognome?”, ha aggiunto. Quanto al possibile scambio di persona, l’avvocato ha spiegato: “Dobbiamo prima leggere gli atti e capire come è stato identificato proprio lui da parte dell’Fbi”, ovvero l’agenzia che ha richiesto l’arresto. “Può sembrare semplicistico, ma credo che nessuno compirebbe un’attività di spionaggio tra due Stati utilizzando il suo nome e cognome”, ha osservato. Peraltro, ha aggiunto, Xu Zewei “pare che sia un nome e cognome piuttosto comune in Cina”.
Come ha tenuto a spiegare oggi l’avvocato difensore ai cronisti, quella odierna è l’udienza per identificare il soggetto. Spetta ora al ministero della Giustizia confermare la richiesta di arresto. Poi ci saranno altri 40 giorni che partono dall’esecuzione della misura affinché lo Stato richiedente, ovvero gli Stati Uniti, mandi tutta la documentazione. Il consolato cinese “ha chiesto e ottenuto di poter visitare il proprio connazionale, ha già avuto l’autorizzazione da parte della Corte d’Appello”, ha concluso Giarda.
Dunque, ora si aspetta l’incartamento dagli Stati Uniti, la cui ambasciata aveva avvertito il 1° luglio le autorità italiane dell’arrivo dell’uomo. In quell’occasione, Washington aveva anche messo in guardia Roma dal “serio rischio” che l’uomo possa fuggire “se venisse rilasciato dalla custodia” in carcere, “anche per essere posto agli arresti domiciliari durante la pendenza del procedimento di estradizione” (come accaduto con Artem Uss).
La cosiddetta plausible deniability (ovvero la possibilità di negare credibilmente il coinvolgimento in un attacco) rappresenta un elemento chiave in ambito cyber. Se a questa si aggiungono le ambiguità su nome e cognome, ecco che questo caso potrebbe rivelarsi particolarmente intricato, con tre strati: la negabilità per lo Stato (la Cina), quella per il gruppo hacker (Silk Typhoon) e quella per l’hacker singolo.
Senza dimenticare, poi, gli aspetti geopolitici. A tal proposito, nei prossimi giorni Matteo Salvini, vicepresidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture, sarà a Pechino.