Crivu è molto più di un festival culturale: è una riflessione collettiva sul significato di sviluppo nei territori considerati “periferici”. Un laboratorio vivo, dove arte, educazione e paesaggio si intrecciano per attivare trasformazioni sociali durature e consapevoli
Crivu Festival dei paesaggi straordinari e delle rive sconosciute nasce dalla volontà di attribuire alla parola “sviluppo” un referente linguistico capace di ancorarla a esperienze reali e pratiche trasformative. Un’occasione per riflettere sulle forme che lo sviluppo può assumere nei contesti percepiti come periferici, e su come possa diventare realmente generativo. Il fatto che si tenga sull’Appennino, in un borgo dell’entroterra calabrese, Orsomarso (Cs), non dovrebbe evocare né retoriche pessimiste né entusiasmi fuoriluogo. La periferia non è una condizione geografica assoluta: anche nei centri urbani si incontrano fragilità strutturali; allo stesso tempo, proprio nelle aree periferiche e interne possono emergere risorse, energie, competenze capaci di orientare il cambiamento.
Con la seconda edizione vogliamo passare dal “perché” al “quindi”: interrogarci su cosa può essere fatto, con quali strumenti, e con chi. In questo senso, il festival non è solo un momento culturale, ma un’occasione politica, nel senso più ampio del termine: generare spazi in cui persone, pensiero, musica, arte, educazione e relazioni, possano diventare fattori abilitanti di trasformazione sociale ed economica. Il paesaggio stesso non è un semplice elemento scenografico, ma una componente attiva del processo formativo e relazionale. L’esperienza, se vogliamo, l’etica e l’estetica dell’interazione fisica con l’ambiente diventano occasione per misurarsi con la dimensione concreta dello spazio, del limite e della possibilità. Per restituire senso al tempo, allo spazio, e ai legami che vi si intrecciano. Crivu Festival promosso dall’Associazione culturale “cento giovani” – nel suo cinquantesimo anniversario – grazie al sostegno di Deloitte e Fondazione Deloitte, al partenariato editoriale con Rubbettino e alla collaborazione con l’Associazione Nazionale Presidi (Anp), si interroga su che cosa significhi “sviluppo” in luoghi spesso letti solo in termini di mancanza: di risorse, infrastrutture, opportunità. La sfida è capire quanto margine esista per scegliere, orientarsi, trasformare. Il concetto di fertilità simbolica diventa centrale: la capacità di una comunità di allungare lo sguardo, stimolare linguaggi, e allenare competenze in grado di costruire futuro anche a partire da bisogni concreti e da contesti fragili.
In questo quadro, la musica, l’arte, il linguaggio e la scienza sono leve di attivazione. Come la lingua, che è infrastruttura invisibile ma potentissima: ci permette di nominare, riconoscere e modificare ciò che viviamo. È con le parole che desideriamo, progettiamo, trasformiamo, ed è qui che l’educazione gioca un ruolo decisivo. Progettare spazi di trasformazione significa anche contrastare la dispersione scolastica, non solo come abbandono della scuola, ma come disconnessione tra le persone e il senso del proprio abitare. Offrire occasioni in cui scoprire opportunità che fino a quel momento sembravano lontane, o addirittura inesistenti. Opportunità che possano diventare visibili, concrete, e alla portata di chi si impegna, personalmente e insieme alla comunità. In questo, la scuola è un presidio fondamentale, ma può trovare forza e senso nuovo quando si allea con la creatività, con il territorio, con esperienze che aprono gli occhi sul mondo. L’innovazione autentica comincia dal rinnovare i fondamentali: lo studio, il senso del lavoro, dell’impresa, della cooperazione, della responsabilità, della possibilità. Senza queste basi, ogni prospettiva di futuro resta astratta. Solo da qui può nascere uno sviluppo sostenibile, perché duraturo e condiviso. Sono questi stessi fondamentali che, anche nel rapporto con la spinta innovativa delle tecnologie emergenti ed esponenziali, ci consentono di porre le domande giuste, formulare i giusti prompt, e utilizzare gli strumenti con consapevolezza. Si tratta allora di riconoscere che ciò che è già presente – relazioni, paesaggi, saperi – può diventare il punto di partenza per darci un orizzonte nuovo e nuove opportunità.
(Foto: Franco Grimone)