Un’occasione persa per l’Italia, ma soprattutto per l’Europa, l’esclusione del Finanziere, da parte di Parlamento europeo e Consiglio, dalla terna finale dalla quale la Commissione europea sceglierà il nuovo capo dell’Ufficio europeo per la lotta alla Frode (Olaf). L’opinione del generale in congedo Alessandro Butticé, dirigente emerito della Commissione europea, già portavoce dell’Ufficio, primo militare e finanziere in servizio presso le istituzioni Ue
L’annuncio è giunto come un fulmine a ciel sereno verso le ore 22.00 del 14 luglio, dopo la riunione in camera, a scrutinio segreto, della Commissione Controllo Bilanci del Parlamento europeo a Bruxelles. Il generale della Guardia di Finanza, Gabriele Failla, figura di spicco nella lotta alla criminalità economico-finanziaria, non è stato incluso nella terna finale dalla quale la Commissione europea dovrà scegliere il nuovo direttore generale dell’Olaf (Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode).
Nonostante un’audizione che molti tecnici presenti hanno definito eccellente, i voti del Parlamento e del Consiglio hanno visto prevalere gli altri tre candidati. Nell’ordine: il ceco Petr Klement (attuale vice del Procuratore Europeo, la rumena Laura Codruța Kövesi), con 70 voti; lo slovacco Ladislav Hamran (ex presidente di Eurojust), con 45 voti, e la polacca Joanna Kreziminska-Vamvaka (funzionaria dell’Eeas, il Servizio europeo per l’azione esterna, che aveva precedentemente già ricoperto un ruolo di rilievo all’interno dell’Olaf), con 30 voti.
I soli 17 voti che sarebbero andati a Failla sono un risultato che lascia l’amaro in bocca e oltre a rappresentare un’occasione persa per l’Europa, fanno anche avanzare alcune domande, pur avendo deciso di astenermi dal pubblicare quello che pensavo in proposito per stimolare il sistema Italia tra gli europarlamentari di tutti gli schieramenti, preoccupato unicamente di non danneggiare il lavoro sottotraccia (che alcuni ora vorrebbero essere stato persino “eccessivo”) compiuto da Mef, Guardia di Finanza e Farnesina.
Il rammarico di non avere suonato l’allarme
Solo il 10 luglio il Parlamento ha annunciato pubblicamente la data dell’audizione ed i nomi dei candidati. E questo nonostante un messaggio al personale dell’Olaf l’avesse annunciata sin dall’inizio di giugno, e voci di corridoio raccontassero di grande attivismo dei candidati nella terna finale nei confronti degli europarlamentari della Cont. Confermato a chi scrive da uno dei pochissimi giornalisti presenti all’audizione, che mi raccontava, prima dell’inizio dell’audizione, la narrativa che avevo già raccolto: Failla, a differenza degli altri candidati, era estraneo alla bolla di Bruxelles. Dimenticando che tutti e tre i precedenti direttori generali dell’Olaf, con parziale eccezione del direttore uscente, che era membro della Corte dei Conti europea, con sede a Lussemburgo, lo erano.
Da convinto europeista non posso nascondere il mio rammarico per una scelta che, di tutta evidenza, escludendo il Generale della Guardia di Finanza dalla terna, non ha premiato né il suo merito né la competenza dimostrata nell’audizione. Ma non ha premiato neppure, e va detto in modo chiaro e forte, gli sforzi e le risorse che l’Italia in generale, e la Guardia di Finanza in particolare, hanno prestato e prestano da oltre sette lustri nella tutela delle finanze dell’Unione europea. Sforzi che non hanno confronti – e per questo meritavano forse maggiore rispetto – con quelli posti in essere dagli altri Stati membri, a cominciare dai cosiddetti Paesi “frugali”, per finire a quelli dei quali sono espressione i tre candidati dai quali sarà prescelto il nuovo direttore generale dell’Olaf.
Come auspicavo già nel mio articolo su Formiche.net nel novembre 2024 (“Un italiano alla guida dell’antifrode Ue? La proposta del gen. Butticé“), l’Italia e la Guardia di Finanza avevano l’opportunità di giocare la partita schierando una figura di altissimo profilo per guidare l’Olaf. E la partita l’hanno giocata, con onore e determinazione. Perdendola però in semifinale. E, per questo, è una sconfitta che brucia di più.
Failla, con la sua profonda conoscenza del settore, la sua esperienza internazionale (anche presso Europol) e la sua preparazione manageriale e pedagogica nel campo delle indagini finanziarie, maturata anche al comando della Scuola Ispettori e Sovrintendenti della Guardia di Finanza, e quindi di migliaia di donne e uomini, che vanno ben oltre le 400 unità che avrebbe dovuto dirigere all’Olaf, avrebbe potuto dare un contributo significativo alla guida dell’Ufficio. La sua indiscussa competenza tecnica, la sua visione strategica e l’autorevolezza istituzionale sono infatti emerse in tutte le fasi della complessa procedura di selezione, e confermate in un’audizione pubblica, della quale esiste la videoregistrazione, impressionando molti osservatori che, prima del voto segreto, davano per scontato il suo inserimento nella terna, e persino ai primi due posti.
Una brutta giornata per l’Europa e per il Sistema Italia
Anche se, frequentando Bruxelles ed i palazzi del Parlamento Europeo dall’ultimo decennio del secolo scorso, poco riesce ancora a sorprendermi, considero l’esclusione di Failla una brutta giornata per l’Europa e per il “Sistema Italia” al Parlamento europeo ed al Consiglio. La nomina alla guida dell’Olaf dovrebbe privilegiare le competenze tecnico-investigative e l’alta dirigenza dei candidati, garantendo così che il prescelto possa esercitare la propria funzione di vitale importanza per le finanze unionali e per la credibilità dell’Ue. Non è sempre avvenuto in passato ma, questa volta, eravamo in molti a sperare che potesse accadere.
La mancata inclusione del generale delle Fiamme Gialle nella terna finale solleva quindi più di una domanda sulle dinamiche che hanno portato a questa decisione tutta politica. Il profilo militare e la familiarità con le materie relative alla sicurezza economica-finanziaria di un Finanziere rappresentavano un valore aggiunto certo per l’Ue in un periodo di crescente instabilità geopolitica e di guerra ibrida e cyber che minaccia l’Europa. La sua capacità di affrontare con efficacia le moderne sfide ibride, anche in ambito economico-finanziario e cyber, sarebbe stata preziosa per l’Olaf. Anche in periodi di Qatargate, Huaweigate, ed altri scandali che hanno coinvolto il Parlamento europeo, anche per dimostrare la volontà di un maggiore rigore ed un controllo altamente professionale sulla compliance etica dei membri delle Istituzioni Ue.
Quale futuro per l’Olaf?
La speranza è che la Commissione europea, cui spetta ora la scelta finale tra i tre che hanno superato le forche caudine dell’audizione di Parlamento e Consiglio, sappia individuare la figura più adatta a guidare l’Olaf con competenza e determinazione, nell’interesse della legalità e della lotta alla criminalità finanziaria in Europa.
La credibilità delle istituzioni europee ha bisogno di una guida dell’Olaf forte, ancorché equilibrata, autonoma e capace di garantire, dopo aver guadagnato stima e fiducia – non sempre scontate da parte degli investigatori, né per un magistrato, né per chi ha già prestato servizio al suo interno senza particolare esperienza investigativa – del personale dell’Ufficio, la dovuta efficienza, trasparenza ed il rigore investigativo che, pur nel rispetto delle istituzioni, consente di non guardare in faccia nessuno.
Il solenne giuramento di osservanza della Costituzione italiana (che, a differenza di altri Stati membri, sancisce la promozione delle organizzazioni internazionali e le limitazioni di sovranità) e delle leggi (che comprendono anche quelle Ue), prestato dal Generale della Guardia di Finanza, avrebbe posto un ulteriore sigillo a garanzia dell’indipendenza dell’Olaf, dando un segnale di forte determinazione nella difesa degli interessi unionali. L’altissima reputazione internazionale della Guardia di Finanza, tra gli addetti ai lavori, è indiscussa da tempo a livello mondiale. E lo si può affermare senza alcun timore di smentita. Basti ricordare l’accoglienza e gli applausi ricevuti negli anni, nell’emiciclo dell’Europarlamento, dagli ex Comandanti Generali, Giorgio Toschi e Giuseppe Zafarana.
Rimane quindi l’amarezza per un’occasione persa. L’Italia, con un lavoro di squadra senza precedenti fra Mef, Guardia di Finanza e Farnesina, era riuscita a partecipare con un candidato di altissimo livello, dotato di un profilo non politicizzato e fondato su meriti oggettivi. Ma non ha saputo tagliare il traguardo. E non si può che prenderne atto.
Il primo e migliore direttore generale che l’Olaf abbia mai avuto nel suo quarto di secolo di vita, il compianto procuratore tedesco Franz-Hermann Bruener, grandissimo ammiratore ed amico della Guardia di Finanza, sosteneva che l’Ufficio doveva essere considerato “il baluardo dell’Europa della legalità contro l’internazionale del crimine”.
Oggi più che mai, dopo la direzione surreale e controversa dell’ex magistrato e politico Giovanni Kessler, e quella un po’ letargica dell’ex ministro delle Finanze finlandese, Ville Itälä, è tempo di confermare la visione dei tempi d’oro dell’Olaf. Anche se, dopo l’esclusione del Generale Failla dalla terna finale, non resta che la speranza che Parlamento europeo e Consiglio, a questo baluardo, non preferiscano invece una tigre di carta.
Noi continueremo a sperare, ed a contare sulla buona scelta finale della Commissione europea. Ma senza tuttavia l’ingenuità di credere a ciò che non vedremo nei fatti concreti. E quello che vedremo, o non vedremo, continueremo a raccontarlo.