L’intelligenza artificiale insieme alle tecnologie del digitale, la presa d’atto della fine del modello di cristianità che conosciamo e la pace disarmata e disarmante sono le sfide più urgenti che il pontefice sarà chiamato a raccogliere e, verosimilmente, a vincere. L’analisi di Stefano Zamagni, già presidente della Pontificia accademia delle Scienze sociali e professore di Economia politica presso l’Università di Bologna
Dei tratti della peculiare personalità di Papa Leone XIV e dell’impianto teologico agostiniano del suo pensiero già si è scritto tanto nelle settimane successive alla sua elezione. Scelgo allora di fissare brevemente l’attenzione su quelle che ritengo le sfide più urgenti che il nuovo pontefice sarà chiamato a raccogliere e, verosimilmente, a vincere. Dobbiamo mirare a “una pace disarmata e disarmante”: sono state le parole usate nel discorso di saluto alla folla festante in piazza san Pietro la sera dell’elezione. Che la pace debba essere disarmata è cosa ovvia. Non così, invece, che sia anche disarmante; una pace cioè che miri a costruire istituzioni di pace.
“Si vis pacem, para civitatem” è la posizione di Leone XIV che dimostra di aver fatto tesoro della nozione di “strutture di peccato”, per la prima volta introdotta nella dottrina sociale della Chiesa da Papa Giovanni Paolo II nella Sollecitudo rei socialis (1981). Le strutture di peccato altro non sono che regole del gioco, cioè istituzioni, che tendono a produrre risultati perversi, generatori di conflitti, a prescindere dalle motivazioni di coloro che in esse operano. Si pensi alle istituzioni della finanza internazionale (Fmi, Wb, Wto) e alle norme che legalmente consentono il land grabbing (accaparramento delle terre), i paradisi fiscali, il commercio trilaterale, eccetera. Una pace disarmante è allora quella che mira a modificare tali strutture di peccato. Altra sfida di straordinaria portata è quella che ha per oggetto la grande res nova di questo tempo: l’intelligenza artificiale e, più in generale, l’avvento delle tecnologie del digitale.
Il rischio è l’accettazione supina di una idolatria della macchina, una escatologia tecnologica. Il digitale – ci ricorda il Papa – non serve se asserve, disumanizzandoci, il che accadrebbe se l’essere umano diventasse incapace di pensare e pertanto incapace di essere libero. Cosa significa essere responsabili nell’era dell’IA? Saranno gli algoritmi a governarci in tutti i casi in cui le persone non sono in grado di comprendere le questioni sulle quali devono esprimere valutazioni? Questioni del genere sono parte di quel progetto, politico e filosofico insieme, che è il transumanesimo, noto e sviluppato negli Usa, la cui ambizione è sia fondere l’uomo con la macchina per ampliarne le potenzialità in modo indefinito – è l’intelligenza organoide di cui si comincerà presto a parlare – sia arrivare a dimostrare che la coscienza non è un ente esclusivamente umano, perché c’è anche la coscienza artificiale, il cui utilizzo consentirebbe di separare la mente dal corpo.
Come è agevole comprendere, il cristianesimo radicale proprio di Agostino sarà di grande aiuto a Leone XIV per affrontare questioni del genere. Di un’ulteriore sfida desidero parlare. Si tratta della presa d’atto della fine del modello di cristianità, quale abbiamo conosciuto durante la lunga stagione della modernità. Sappiamo che la cristianità è l’involucro storico del cristianesimo. Comprendere allora la differenza tra cristianesimo e cristianità vuol dire prendere coscienza del fenomeno della secolarizzazione, la quale non decreta la fine del primo, ma solo della seconda. La storia del cristianesimo che si riduce a cristianità è la storia del suo tradimento. Il cristianesimo, infatti, non è un’etica, sia pure elaborata, ma un avvenimento che si concretizza nell’incontro con la persona di Cristo.
Ebbene, il dilemma, non certo dei minori, che riguarda oggi la Chiesa sta in ciò: se vuole restare ancorata alla verità profonda del cristianesimo deve affermare che esso non è un’etica; ma per convincere il mondo della sua rilevanza pratica deve portare il suo messaggio, in qualche modo, sul piano dell’etica. Sciogliere un dilemma del genere è davvero una grande sfida. Il cristiano, a differenza del cristianista, non ama perché aiuta l’altro e si pone al servizio del povero, ma aiuta e serve perché ama. La Chiesa di oggi non è più di fronte all’ateismo praticante, come è stato fino a non tanto tempo fa, ma di fronte a una indifferenza radicale. Dio – si afferma – può anche esistere, ma è praticamente irrilevante e dunque se ne può prescindere. È l’immanenza mercantile, il cuore della cosiddetta seconda secolarizzazione, la cui cifra è l’abbandono della domanda di trascendenza. L’individualizzazione del credere conduce così all’affievolimento del pensiero cristiano come esperienza vivente, mentre resta ovviamente il pensiero cristiano come tradizione.
Nel saggio Cristiani in un mondo che non è più del cardinale J. De Kesel (Lev, 2023) si legge che il cristianesimo ha smesso di essere una religione culturale e la cultura (occidentale) ha smesso di essere religiosa. Il senso del sacro persiste, ma dentro l’universo delle scelte personali. Si tratta di un vero e proprio immiserimento, perché lo spazio pubblico ha bisogno di voci religiose e di profezie coraggiose. Quali saranno il futuro e la forma della Chiesa e della religione in un mondo secolarizzato è la grande domanda che non può essere elusa. Come si può comprendere, si tratta di sfide davvero enormi; ma ho motivo di ritenere che Leone XIV sarà in grado di affrontarle da par suo per riuscire ad armonizzare Chiesa e post-modernità. Non è forse vero che, come la sua biografia conferma, quando c’è un perché, si trova sempre anche un come?
Formiche 214