Il Consiglio dei ministri ha appena approvato un disegno di legge costituzionale che riguarda l’organizzazione e l’autonomia di Roma Capitale. È fondamentale sottolineare il metodo con cui si è arrivati a questo testo: un confronto aperto e libero che ha visto al tavolo delle riflessioni politica, istituzioni e tecnici. Ora ci si chiede cosa possa ostacolare un approccio simile anche per le altre riforme costituzionali ossia “premierato” e riforma della giustizia. L’analisi di Alessandro Sterpa, professore di Diritto costituzionale all’università della Tuscia
C’è una notizia da accogliere con soddisfazione oggi nel panorama istituzionale e politico italiano. Il Consiglio dei Ministri ha appena approvato un disegno di legge costituzionale che riguarda l’organizzazione e l’autonomia di Roma Capitale.
Un tema che dal 2001 affatica le istituzioni, la politica e i costituzionalisti in una difficile e tutt’ora incompleta attuazione del testo introdotto con la riforma del Titolo V.
Ma la vera notizia, forse la più rilevante, è che questa riforma arriva con un atto formale del Governo Meloni che propone di modificare la Costituzione dopo un serrato e costruttivo confronto con le istituzioni di Roma e con la Regione, grazie al lavoro di politici e tecnici dei tre fronti interessati, svoltosi con serietà e senza strappi; uscendo, insomma, dalla effimera ricerca di qualche like sui social che tanto attrae nel vuoto la frustrata capacità di innovare le istituzioni.
Prima di tutto l’approccio. Per anni Roma Capitale è stata regolata (o si è tentato di farlo) in un clima di scambi e compensazioni tra livelli di governo e forze politiche (ricordiamo il patto della pajata) e l’insuccesso dell’esito è sempre stato certo.
Pensiamo al “federalismo fiscale” che nel 2009 “infilò” impropriamente Roma nel suo articolato per compensare la maggiore autonomia regionale con un elemento di unità – la capitale per l’appunto – che ha portato a poche e ridotte novità senza respiro.
La svolta per superare questo approccio si è avuta durante il Governo Draghi allorché la Prima Commissione della Camera riuscì a portare in Aula un testo ampiamente condiviso che però naufragò insieme al Governo stesso poche settimane dopo, nonostante fosse la prima volta che finalmente delle norme di Roma Capitale si parlasse in termini di “questione nazionale”.
Il ricco confronto partì dal lavoro della Commissione presieduta da Francesco Saverio Marini nell’ambito del dicastero di Mariastella Gelmini. Il filo allora abbandonato è stato piano piano riannodato in questi anni, grazie alla volontà della politica certo, ma anche ad una serie di figure istituzionali di grande esperienza che hanno dialogato tra Palazzo Chigi, via Cristoforo Colombo e il Campidoglio.
Tant’è che l’approccio di fondo della riforma prende le mosse proprio dal testo su cui lavorammo nella Commissione governativa Draghi allora e sulla quale si ampliarono i consensi in Parlamento.
Sono oltre venti anni che mi occupo del tema e non nascondo una certa soddisfazione (come romano, come italiano e come studioso) per il passaggio istituzionale di oggi, per il riconoscimento qualificato e mirato della capacità di fare leggi, e mi auguro che si proceda conservando questa impostazione nel rispetto ovviamente della sovranità del Parlamento dove siedono i rappresentanti della Nazione che questo testo esamineranno.
Ma c’è un punto che mi permette di salutare con ulteriore soddisfazione questa deliberazione del Consiglio dei Ministri ossia il metodo con cui si è arrivati a questo testo: un confronto aperto e libero che ha visto al tavolo delle riflessioni politica, istituzioni e tecnici.
Nessuno ha pensato di “usare” questa proposta di riforma per sancire il “successo di una parte” ma tutti hanno dato al tema una portata che trascende le maggioranze di governo pro tempore nei diversi livelli di governo interessati.
Si potrebbe far derivare questo merito dalla forza politica di chi guida il governo nazionale, il comune di Roma capitale piuttosto che la Regione, tutti saldamente in sella e con prospettive di governo temporalmente ancora ampie. Tuttavia sarebbe una risposta riduttiva.
Sì, certo, Gualtieri per molti veleggia verso una probabile e meritata rielezione addirittura forse al primo turno e Giorgia Meloni non appare oggi avere una candidatura alternativa contro come guida del Governo tra due anni e le regionali sono ancora lontane.
Ma c’è qualcosa di più.
Ci si è seduti intorno ad un tavolo in senso metaforico ossia davanti ad una esigenza che è al tempo stesso della città e della Repubblica, di cui la capitale è simbolo assoluto nel mondo, dopo che tutte le forze politiche in questi anni si erano alternate al governo della città riscontrando molte volte, al netto della preparazione delle singole squadre, una serie di difficoltà di fondo che proprio con la Giunta Gualtieri sono state in parte affrontate con un lavoro di confronto con Palazzo Chigi e con la Regione (si pensi a Giubileo, PNRR e rifiuti).
Roma, dunque, torna al centro della sperimentazione istituzionale con una logica europea che mancava da tanto tempo alle nostre istituzioni, salvo momenti di lucidità sempre troppo ridotti, grazie alla capacità del Governo di affrontare nel merito i temi che la riguardano.
Ora ci si chiede cosa possa ostacolare un approccio simile anche per le altre riforme costituzionali ossia “premierato” e riforma della giustizia.
Sì perché, come dimostra la vicenda di oggi su Roma, se le opposizioni passano dalla logica di piazza a quella istituzionale e se il Governo permette al tavolo di funzionare senza barricarsi allora ecco che si trovano spesso soluzioni che rendono finalmente possibili le riforme lungamente attese.
La proposta dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio oggi portata avanti dalla maggioranza di Governo era già quella di ampi pezzi del centrosinistra e quella della divisione delle carriere dei magistrati lo era di molteplici settori dell’attuale opposizione (come confermano i voti in Parlamento).
Che Roma, oggi, la Roma tanto declassata e derisa, quella Roma (non più ladrona come diceva qualcuno) cantata nei suoi difetti ma amata da Remo Remotti, sì quella Roma lì, sia forse oggi salita in cattedra – come Comune e come Governo – per dimostrare che la politica può governare serenamente la complessità italiana delle riforme?