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Difesa, la sfida industriale che può unire l’Europa. L’analisi di Nones

Di Michele Nones

La costruzione di una vera capacità europea di difesa passa da un’iniziativa concreta tra pochi Stati pronti a condividere sovranità, costi e benefici. Serve una cooperazione strutturata e specializzata, capace di legare gli interessi industriali e strategici. Pubblichiamo un estratto del saggio “Prospettive e limiti dell’industria della difesa” di Michele Nones sul nuovo numero de “leSfide – Non c’è Futuro senza memoria”, periodico di studi, riflessioni e approfondimento edito dalla Fondazione Craxi dal titolo “Il nodo europeo. La difesa europea a cavallo tra due secoli”

La riorganizzazione e ristrutturazione dell’industria europea resta, comunque, un obiettivo strategico per l’Unione europea se si vogliono davvero aumentare le capacità di difesa e sicurezza europee e teoricamente può essere raggiunto nell’arco di questo decennio, ma a due condizioni: primo, deve esserci una forte volontà dei decisori politici che, a sua volta, può essere condizionata da quella dei vertici militari; secondo, devono essere adottate nuove coraggiose iniziative comuni per favorire questo processo, rendendolo per certi versi una strada obbligata e, per altri, incentivandolo direttamente e indirettamente.

Per non essere velleitaria, alla luce delle tendenze sovraniste di alcuni Stati membri e del diverso grado di “disponibilità” di molti altri, questo percorso non può che essere previsto e affrontato inizialmente solo da un ristretto numero di Stati membri che siano pronti fin d’ora ad affrontare gli inevitabili ostacoli, resistenze e costi politici, sociali, economici. 

Lo strumento iniziale molto difficilmente potrebbe essere quello della cessione di una parte di sovranità alle istituzioni europee (che, ad oggi, non hanno le competenze necessarie, ma, soprattutto, non hanno risolto il problema della loro governance, minato alla base dal meccanismo dell’unanimità e dalla limitazione di competenze insito nei Trattati, e che, bene che vada richiederà molti anni per essere sanato). 

Più credibile è, invece, l’ipotesi di un iniziale accordo fra alcuni Stati membri che potrebbero decidere di condividere fra loro una parte della loro sovranità attraverso una vera ed efficace cooperazione strutturata permanente che, stabilendo chiaramente i suoi obiettivi e la relativa area di applicazione, consenta di selezionare i partecipanti sulla base del principio willing and able dove conterebbe la volontà politica e militare, ma anche la capacità di contribuire effettivamente sul piano economico, tecnologico e industriale. Su queste basi la discriminazione non sarebbe soggettiva, ma, soprattutto, oggettiva. E resterebbe aperta a successive adesioni quando nuovi partner potessero dimostrare di aver maturato i requisiti necessari. Per garantire un accettabile equilibrio fra i partecipanti, al di là di un’adeguata governance istituzionale e politica, il principio di riferimento potrebbe essere quello dell’interdipendenza basata sulla specializzazione tecnologica e industriale. I futuri sistemi d’arma dovrebbero essere realizzati attraverso programmi di collaborazione che portino a specializzare progressivamente le imprese e i Paesi dove operano in modo che complessivamente aumenti l’interdipendenza o negli apparati e sottosistemi o negli stessi sistemi. In questo modo ciascun Paese diventerebbe indispensabile allo sviluppo e al mantenimento di determinate capacità tecnologiche e industriali e questo rappresenterebbe la sua “assicurazione” rispetto alla perdita di altre.

E tutti insieme risulterebbero indissolubilmente legati nel possedere per lo meno una parte delle capacità militari comuni. In quest’ottica va tenuto presente che lo sviluppo dei sistemi di sistemi, delle operazioni multi-dominio, della velocità e della traiettoria dei sistemi di attacco, oltre a molti altri cambiamenti, rendono ormai estremamente debole per ogni Paese europeo la credibilità di una capacità di difesa e deterrenza prevalentemente nazionale. E nel nuovo scenario internazionale delineatosi con la presidenza Trump la solidarietà politica e militare transatlantica sta scricchiolando pericolosamente. Di qui la necessità per l’Europa, o per lo meno per i Paesi più volenterosi, di assumere una nuova postura basata sullo sviluppo di una più forte capacità di difesa e sicurezza in tutti i contesti: dentro l’Alleanza Atlantica, dentro l’Unione Europea e dentro una nuova iniziativa intergovernativa fra gli Stati membri volonterosi. Va da sé che, essendo alleati e partner europei, dovranno rispettare gli impegni e gli accordi già stipulati in quei contesti, in particolare le normative e regolamentazioni europee riguardanti il funzionamento del mercato, sia sul fronte della domanda che dell’offerta…

 Continua su lesfide.org 


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