Skip to main content

Mosca si svincola dalla moratoria sui missili. Cosa significa secondo Caruso

Di Ivan Caruso

Il 4 agosto 2025 il ministero degli Esteri russo ha annunciato formalmente l’abbandono della moratoria unilaterale sui missili terrestri a medio e corto raggio, segnando la fine definitiva del controllo degli armamenti nucleari post-Guerra Fredda. La dichiarazione, che giustifica la decisione con i dispiegamenti americani in Europa e Asia-Pacifico, rappresenta l’epilogo di una crisi iniziata nel 2019 con il ritiro statunitense dal Trattato Inf. L’analisi del generale Ivan Caruso, consigliere militare della Sioi

Il Trattato Inf: dalle origini al collasso

Il Trattato sulle Forze Nucleari Intermedie, firmato nel 1987 da Reagan e Gorbačëv, eliminò tutti i missili terrestri con gittata 500-5.500 km, ponendo fine alla crisi degli euromissili degli anni ’80. Il trattato rappresentò una pietra miliare: per la prima volta le superpotenze riducevano effettivamente i loro arsenali nucleari, distruggendo 2.692 missili entro il 1991.

Tuttavia, nel 2019 l’amministrazione Trump ritirò gli Stati Uniti dal trattato, accusando la Russia di averlo violato con il missile 9M729/SSC-8. Mosca negò le accuse e rispose con controaccuse sui sistemi Aegis Ashore americani in Europa, sostenendo che i lanciatori MK-41 potevano essere utilizzati per missili Tomahawk in violazione del trattato.

Le ragioni russe: una risposta simmetrica

La dichiarazione odierna del ministero degli Esteri russo elenca dettagliatamente i dispiegamenti americani che hanno portato all’abbandono della moratoria. Dal 2023, gli Stati Uniti hanno trasferito sistemi capaci di lanciare missili Inf verso paesi Nato europei per “test” durante esercitazioni. Nell’Asia-Pacifico, un sistema Typhon americano è stato dispiegato nelle Filippine nell’aprile 2024 e vi rimane tuttora.

La Russia sottolinea che aveva mantenuto volontariamente una moratoria unilaterale per cinque anni dopo il collasso del trattato, appellandosi invano a NATO e alleati americani per una reciprocità mai arrivata. La decisione russa rappresenta quindi una risposta simmetrica a quella che Mosca percepisce come un’escalation occidentale deliberata.

L’anticipazione di Putin: strategia o improvvisazione?

Il 1° agosto, tre giorni prima della dichiarazione ufficiale, Putin aveva già annunciato il dispiegamento dei missili Oreshnik in Bielorussia entro fine anno. Questa cronologia rivela un’apparente incongruenza: l’annuncio concreto ha preceduto la giustificazione formale.

L’annuncio di Putin sembrava inizialmente una risposta alle dichiarazioni di Trump sui sottomarini nucleari, a loro volta scatenate dai commenti provocatori di Medvedev. Tuttavia, la sequenza temporale suggerisce che la decisione fosse già maturata, rendendo la dichiarazione odierna più una formalizzazione che una nuova scelta strategica.

Il problema della “dual-use capability”

Al cuore di questa crisi sta l’ambiguità tecnologica dei sistemi moderni. I lanciatori HIMARS possono ospitare sia munizioni convenzionali (GMLRS, 80 km) che missili Inf (PrSM, >500 km). Analogamente, il sistema Typhon può lanciare Tomahawk nucleari (>1000 km) o SM-6 convenzionali (290 km).

Questa versatilità, che è un vantaggio operativo, diventa un fattore destabilizzante strategico: è impossibile distinguere dall’esterno se un lanciatore contiene armi convenzionali o Inf, costringendo gli avversari ad assumere il “worst-case scenario”. Il problema ricorda la crisi SS-20/Pershing II degli anni ’80, quando stessi lanciatori potevano ospitare diverse configurazioni di armi.

Implicazioni e sviluppi futuri

L’abbandono della moratoria russa apre la strada al dispiegamento di sistemi Iskander-M a gittata estesa e del famigerato Oreshnik. La Russia ha chiarito che le decisioni sui parametri specifici saranno prese dalla leadership basandosi sull’analisi della scala dei dispiegamenti occidentali.

Questa escalation segna il ritorno a una competizione missilistica aperta non vista dalla fine degli anni ’80. L’Europa orientale e l’Asia-Pacifico rischiano di diventare teatri di una nuova corsa agli armamenti, con tempi di preavviso ridotti a minuti e soglie di allerta pericolosamente basse.

Il paradosso finale è che entrambe le parti hanno ragioni tecniche valide nelle loro accuse reciproche: i sistemi sono effettivamente “dual-capable”. Ma questo riflette l’obsolescenza dei trattati tradizionali di fronte alle tecnologie moderne, dove i sistemi d’arma sono diventati intrinsecamente multifunzione, rendendo impossibile classificarli secondo categorie rigide basate sull’uso previsto.

Tuttavia, invece di adattare i trattati esistenti alle nuove realtà tecnologiche, le potenze preferiscono semplicemente abbandonare decenni di controllo degli armamenti. Una risposta più costruttiva richiederebbe nuovi negoziati che affrontino specificamente la “dual-use capability”: limitazioni sui software di controllo, trasparenza sui carichi utili, meccanismi di verifica per le configurazioni dei lanciatori, e forse limiti geografici sui dispiegamenti piuttosto che solo sui sistemi d’arma.

La crisi Inf dimostra, ancora una volta, non solo come l’innovazione tecnologica possa rendere obsoleti i trattati, ma anche la necessità di abbinare alla competizione militare un importante lavoro diplomatico di rinnovamento del controllo degli armamenti per il XXI secolo.

 


×

Iscriviti alla newsletter