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Opposizione, perché da democristiano rimpiango il vecchio Pci. La versione di Merlo

Confrontando i rispettivi comportamenti politici e concreti, non solo cresce il rimpianto del ruolo e della cultura di governo della Dc – anche da parte dei suoi storici detrattori, tutti riconducibili alla cultura della sinistra italiana – ma, al contempo, aumenta in modo esponenziale il rimpianto di quel grande partito d’opposizione, il Pci, che anteponeva spesso gli interessi generali al mero tornaconto di partito

Il Partito Comunista Italiano è stato il più grande partito d’opposizione nella storia democratica del nostro Paese. Certo, non tocca a un democristiano di “rito” Carlo Donat-Cattin sfornare giudizi e valutazioni sulla storia, sull’identità, sulla cultura e, soprattutto, sul progetto politico del vecchio edantico Pci. Ma una considerazione, a mio parere, si può e si deve fare, e riguarda proprio il comportamento politico di un grande partito di opposizione.

Certo, la polemica politica e personale in quella lunga fase storica era accesa e senza esclusione di colpi. Basti pensare, per fare un solo esempio, proprio agli attacchi ripetuti e violenti che quasi l’intero Pci ha scagliato contro alcuni statisti e leader democristiani. Su tutti, com’è persin scontato ricordare, il leader della sinistra sociale della Dc Donat-Cattin fu il più bersagliato. Da Pajetta a Violante, da Natta allo stesso Berlinguer, il progetto politico e la stessa cultura di Donat-Cattin erano sempre nel mirino dei principali dirigenti comunisti. Ma, al netto di questa polemica politica del tutto fisiologica – anche se pesante, martellante e ripetuta – non possiamo non evidenziare che l’intera strategia del Pci, al di là dei primi anni del secondo dopoguerra, non era mai ispirata allo slogan del “tanto peggio tanto meglio”.

Certo, era un partito legato organicamente all’Unione Sovietica e, per molti anni, al suo sistema ideologico e perseguiva un progetto politico e un modello di società radicalmente alternativi a quelli coltivati e perseguiti dalla Democrazia cristiana e dagli altri partiti di governo di quella lunga stagione storica ma, al contempo, aveva sempre un atteggiamento serio e responsabile quando si parlava degli interessi generali del Paese. Con alti e bassi, come ovvio e scontato. Ma non possiamo dimenticare, al riguardo, alcuni passaggi decisivi: dal come contrastare la stagione drammatica del terrorismo ai governi di “solidarietà nazionale”, dai grandi temi sociali alla salvaguardia dei principi democratici e costituzionali e della stessa giustizia sociale. Ecco, il Pci non era un partito che cavalcava slogan populisti, demagogici e genericamente massimalisti. Era lontano anni luce, appunto, dal “tanto peggio tanto meglio” quando si parlava degli interessi generali del Paese e quindi delle esigenze concrete dei suoi cittadini in carne e ossa.

Ed è proprio su questo versante che si può dire tranquillamente, e senza alcuna polemica politica o forzatura pregiudiziale, che proprio quel comportamento è sideralmente lontano rispetto all’attuale atteggiamento della sinistra italiana. Cioè dell’attuale opposizione. E non parlo degli attacchi personali, delle invettive quotidiane e di ogni sorta di insulto che ogni giorno vengono rovesciati addosso alla presidente del Consiglio dai vari Schlein, Conte, Landini e Fratoianni/Bonelli. Quello, purtroppo, è la cifra del dibattito politico contemporaneo e non si può modificare con una bacchetta magica. No, quello che impressiona è che l’orizzonte del “tanto peggio tanto meglio” è diventato il cemento unificante di una posizione politica che esalta la sua dimensione radicale, populista, massimalista ed estremista a scapito della difesa degli interessi generali e della stessa credibilità del sistema Paese. Assistiamo, cioè, ad una eccitazione e ad un entusiasmo smisurati quando le cose vanno meno bene per il Paese e a una massiccia e corale depressione quando dall’estero arrivano giudizi positivi sull’Italia e su chi la dirige. E questo nel pieno rispetto della dialettica democratica e della fisiologica distinzione tra la maggioranza di governo e l’opposizione.

Ecco perché, confrontando i rispettivi comportamenti politici e concreti, non solo cresce il rimpianto del ruolo e della cultura di governo della Dc – anche da parte dei suoi storici detrattori, tutti riconducibili alla cultura della sinistra italiana – ma, al contempo, aumenta in modo esponenziale il rimpianto di quel grande partito d’opposizione, il Pci appunto, che anteponeva spesso gli interessi generali al mero tornaconto di partito. Anche in una stagione politica caratterizzata da una forte contrapposizione ideologica e quasi di “civiltà”. Per questo si rimpiange il vecchio e glorioso Pci, anche da chi comunista non è mai stato e mai lo sarà.


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