Continua la propaganda del Cremlino contro Roma. Questa volta a parlare è l’ambasciatore russo Alexey Paramonov in un’intervista concessa al quotidiano moscovita Izvestija. L’Italia, sostiene, sarebbe prigioniera di due nuovi “virus politici”: la russofobia e l’ucrofilia
Dopo le “liste dei russofobi” e le accuse di complicità atlantica, l’Italia torna protagonista nella narrazione antioccidentale della Russia. Questa volta, il vettore è un’intervista concessa dall’ambasciatore russo a Roma, Alexey Paramonov, al quotidiano Izvestija. Un messaggio che, più che un atto di ordinaria diplomazia, somiglia a un messaggio calibrato per il pubblico interno russo e per gli strati più vulnerabili dell’opinione pubblica italiana: quella preoccupata per la guerra in Ucraina, per la recessione economica, per l’erosione di spazi culturali e libertà artistiche e per il riarmo in corso.
Nelle parole di Paramonov, l’Italia appare come un Paese ostile, isolato, “contagiato” da due nuovi virus, “russofobia” e “ucrofilia militante”, che avrebbero sostituito la pandemia di Covid nella mente delle élite italiane. Secondo il diplomatico, la leadership italiana avrebbe scelto di chiudere ogni canale di dialogo ufficiale con Mosca, autoimponendosi una quarantena politica che ricalca, a suo dire, il veto di Volodymyr Zelensky a ogni trattativa con la Federazione Russa.
Oltre alle parole. Il messaggio di Paramonov
Paramonov descrive un’Italia dove persino i settori più tradizionalmente pragmatici, dal mondo economico a quello culturale, preferiscono mantenere le distanze da Mosca per non essere percepiti come “contagiati” da simpatie filorusse. “La leadership resta ermeticamente chiusa ai contatti ufficiali con la parte russa a tutti i livelli”, ha dichiarato, in un passaggio che sa più di accusa pubblica che di constatazione diplomatica.
Il cuore del messaggio, tuttavia, è strategico: la Russia vuole mostrare un’Italia allineata in modo cieco alla Nato, pronta a sacrificare i propri interessi economici e sociali sull’altare di una politica sanzionatoria che, secondo Mosca, colpisce più i cittadini italiani che la Federazione Russa. L’ambasciatore insiste su un dato: l’aumento delle spese militari al 5% del Pil – cifra che, nella sua narrazione, raggiunge i 700 miliardi di euro complessivi – rappresenterebbe una “catastrofe” per le finanze nazionali. E, con una punta di allarme sociale, aggiunge: “Non capiscono perché il governo stia acquistando sempre più armamenti. Spingere spese così elevate incontrerà resistenze”.
La leva economica
Un altro tassello della costruzione narrativa riguarda l’economia. Per Paramonov, il governo italiano avrebbe illuso le imprese invitandole a lasciare la Russia per riposizionarsi sul mercato statunitense. Una strategia definita fallimentare: le sanzioni hanno chiuso la porta russa, mentre i dazi di Donald Trump rendono oggi più difficile l’accesso al mercato americano.
“Le aziende italiane si trovano intrappolate”, ha affermato, evocando uno scenario dove le imprese obbedienti a Palazzo Chigi finiscono penalizzate da un contesto geopolitico sfavorevole. Il commercio bilaterale è in caduta libera, con l’Italia scesa al trentesimo posto tra i partner della Federazione Russa. E questo declino viene presentato come il sintomo di un’Europa incapace di proteggere i propri interessi di fronte alle priorità strategiche di Washington.
La guerra culturale secondo Mosca
Il terzo asse della narrazione di Paramonov si gioca sul terreno culturale e simbolico. La cancellazione del concerto del direttore Valerij Gergiev in Italia diventa un caso emblematico di “russofobia” e di cultura della cancellazione, utile a dipingere un Paese che rinnega la propria tradizione di libertà artistica.
“L’annullamento del concerto di Gergiev è una manifestazione simbolica di russofobia, un atto di cancellazione culturale”, ha dichiarato.
Attraverso queste parole, Mosca non parla solo ai propri cittadini. Punta a solleticare la sensibilità dell’opinione pubblica italiana, storicamente affezionata alla grande musica russa e diffidente verso eccessi di censura. È la stessa strategia già vista in altri contesti: presentarsi come vittima di un’ingiustizia culturale per smussare l’immagine aggressiva della Russia sul piano geopolitico.
La strategia di disinformazione
Al di là del merito delle accuse, l’intervista di Paramonov si inserisce in un quadro più ampio di disinformazione e influenza strategica. Tre sono le direttrici principali. Vittimismo strategico: la Russia si dipinge come accerchiata da un Occidente irrazionale e ostile, per alimentare simpatia tra gli scettici della linea Nato; allarmismo economico: prevede crisi e sacrifici sociali in Italia, così da stimolare un sentimento anti-sanzioni; manipolazione culturale: trasforma episodi come il caso Gergiev in strumenti di propaganda soft.
In sintesi, l’Italia viene rappresentata come un Paese debole, obbediente e destinato a pentirsi del proprio allineamento. Un ritratto che non riflette l’equilibrio reale dei rapporti diplomatici, ma che serve alla narrativa russa per esporre le crepe nell’unità euro-atlantica e insinuare dubbi nell’opinione pubblica.
Nella visione di Paramonov, l’Italia resta quindi intrappolata tra le proprie scelte atlantiche, i costi economici di una politica sanzionatoria prolungata e una popolazione che, pur restando moderata, rischia di pagare il prezzo di un progressivo isolamento dalle opportunità offerte dal mercato russo.
Una fotografia che Mosca interpreta come la conferma di un Occidente compatto solo in apparenza, ma attraversato da crepe politiche, sociali ed economiche da sfruttare per la promozione di narrazioni antioccidentali e disinformazione, rappresentando un’Italia isolata e ostile.
L’intervista a Izvestija, amplificata anche in Italia da alcuni canali informativi, non è solo una cronaca di relazioni bilaterali difficili: è un mezzo di guerra ibrida, costruito per occupare il dibattito interno, fare leva su paure economiche e alimentare il mito di un’Europa incoerente e divisa. Non è solo retorica. Questo tipo di narrativa si inserisce in un preciso schema del Cremlino: delegittimare le scelte euro-atlantiche dell’Italia, descriverle come imposte dall’esterno e presentare la Russia come vittima di un’ingiustificata aggressione occidentale.